Impugnazione da parte dei soci delle delibere del consiglio di amministrazione e nozione di “diritto” ex art. 2388 c.c.
Ai liquidatori, in difetto di norma espressa e diversa sul punto (tale non essendo quella dettata dall’art. 2489 co. 1° cod. civ., giusta il quale essi “hanno il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società”), si applica in forza del rinvio contenuto nell’art. 2488 anche la regola secondo cui “il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale” (art. 2384 co. 1° cod. civ.).
Poiché la legittimazione diretta dei soci all’impugnazione dei deliberati consiliari è prevista aggiuntivamente (“altresì”) rispetto a quella degli amministratori assenti o dissenzienti (e del collegio sindacale) ad impugnare le deliberazioni difformi da regole legali o statutarie, pare evidente che la condizione che essa sia lesiva dei diritti dei singoli azionisti si aggiunge a quella della contrarietà a legge e statuto, che deve pertanto comunque anch’essa ricorrere.
Alla parola “diritto” che compare nell’art. 2388 c.c. non può annettersi che il significato tecnico suo proprio di diritto soggettivo. Il socio dovrà allegare e dimostrare per impugnare una delibera consiliare l’incidenza sfavorevole di quella decisione su di un suo diritto, tale quindi da arrecare pregiudizio alla sua personale sfera giuridico-patrimoniale personale. Ne consegue che ordinariamente mai i soci possono opporsi ad una decisione del consiglio di amministrazione rivendicando una diversa e suppostamente preferibile interpretazione del reale interesse della società, idealmente collettivo, a perseguire per altra via più efficacemente il fine di lucro per il quale hanno effettuato i conferimenti originari e successivi, ovvero lamentando una qualche violazione da parte degli amministratori di una norma prescrittiva di fonte legale o statutaria che disciplini l’attività sociale in genere e gestoria in specie: perché a tali violazioni, a fini di efficienza dell’attività sociale e di certezza dei rapporti coi terzi, la sola reazione possibile resta quella, tutta endosocietaria, o della sfiducia del o degli amministratori e della eventuale azione di responsabilità che ne consegua. I soci avranno invece, eccezionalmente, diritto a far rimuovere dall’ordinamento -e, strumentalmente, a far sospendere- l’esecuzione di una decisione gestoria soltanto quando questa violi direttamente una posizione di diritto patrimoniale o amministrativo loro propria: ad esempio, quando sia scorrettamente valutata la loro partecipazione nei casi previsti dalla legge o dallo statuto, ovvero qualora sia loro negato il diritto di recesso, o ancora allorché sia compresso o escluso -immotivamente o al di fuori dei casi previsti dai commi 5° e segg. dell’art. 2441 cod. civ.- il diritto di opzione ad essi spettante.