Storno di dipendenti: indici sintomatici dell’illecito
Il passaggio di dipendenti/collaboratori da un’impresa ad un’altra non è di per sé solo elemento sufficiente ad integrare l’ipotesi di cui all’art. 2598 n. 3 c.c., costituendo espressione dei principii di rilevanza costituzionale di libera circolazione del lavoro (artt. 4 e 36 Cost.) e di libertà d’iniziativa economica (art. 41 Cost.).
La condotta di storno di dipendenti è illecita solo se attuata con l’intento di disgregare l’altrui organizzazione produttiva, ossia se connotata da animus nocendi, che deve essere desunto da elementi oggettivi e posta in essere con modalità del tutto inconciliabili con i principi di correttezza professionale, se non supponendo in capo all’autore il proponimento di arrecare un serio danno al grado di competitività dell’impresa stornata concorrente, disgregando in modo traumatico l’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito
Costituiscono indici sintomatici dell’illecito in parola ex art. 2598 n.3 c.c.: 1) la quantità dei soggetti stornati; 2) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente; 3) la posizione ricoperta dai dipendenti stornati, in ragione delle mansioni svolte e del loro grado di specializzazione; 4) la non facile e tempestiva sostituibilità dei lavoratori; 5) l’induzione a violare l’obbligo di fedeltà e di non concorrenza; 6) l’idoneità di tale atto a compromettere lo svolgimento ordinario dell’attività concorrente; 7) l’utilizzo di mezzi contrari alla correttezza professionale (tra i quali il compimento di attività denigratorie o la sottrazione di dati riservati)
Il labile confine tra la concorrenza sleale e non
Non costituisce atto di concorrenza sleale ai sensi dell’articolo 2598 n. 1 c.c. l’utilizzo come marchio di una denominazione che è ampiamente utilizzata sul mercato. Ai fini della configurabilità di un atto di concorrenza sleale, ex art. 2598 n. 1 c.c. è necessario che il segno sia utilizzato dall’impresa che lamenta la violazione come marchio e non in forma residuale.
Ricorre concorrenza sleale per appropriazione di pregi, ai sensi dell’articolo 2598 n. 2 c.c., quando un imprenditore attribuisce ai propri prodotti e servizi o alla propria impresa dei pregi che appartengono a prodotti o all’impresa di un concorrente, sì da incidere sulla libera scelta dei consumatori. Il divieto di appropriazione di pregi ex art. 2598, 1° e 2° co., intende impedire non l’inganno in sé al consumatore in relazione alla qualità del prodotto o di un’impresa ma piuttosto la decettività del riferimento, intesa come auto attribuzione di qualità o peculiarità di altrui impresa.
Si configura concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 2 c.c. quando siano diffuse a una pluralità di soggetti informazioni di carattere denigratorio, purché il loro carattere sia effettivamente diffamatorio. Per valutare il carattere diffamatorio occorre contrappesare l’effettiva volontà di screditare la controparte con i principi della libera concorrenza.
L’ipotesi di concorrenza sleale parassitaria prevista dall’art. 2598 n. 3 c.c. presuppone un continuo operare sulle orme del concorrente, da intendersi come riproduzione sistematica delle iniziative del concorrente.
Non integra concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 3 l’utilizzo di informazioni o documenti che non abbiano il carattere della riservatezza in quanto non protette adeguatamente dall’imprenditore che le detiene come know how. A tale proposito è necessario evitare una posizione di monopolio dell’ex datore di lavoro sulle conoscenze ed esperienza dell’ex dipendente, quando le informazioni o i documenti non siano segrete e dunque protette come diritti di Proprietà Industriale.
Affinché lo storno della clientela sia apprezzabile ai sensi dell’art. 2598, n. 3, è necessario che lo sviamento sia provocato con mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale, mediante utilizzo di mezzi illeciti secondo la deontologia degli imprenditori, in quanto l’imprenditore deve tollerare la concorrenza. L’utilizzo delle conoscenze e dei rapporti commerciali di un ex dipendente o di un ex agente non vincolato da un patto di non concorrenza, non costituisce concorrenza sleale. Non costituisce sviamento di clientela l’invio di una sola mail inviata dall’Ex dipendente, dirigente o socio, ad un ex cliente.
Ai fini della configurabilità di un illecito di storno di dipendenti ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. è necessario che il concorrente sleale si appropri di risorse umane altrui:
– in violazione della disciplina gius-lavoristica, ad esempio senza rispettare i termini di preavviso o i diritti di Proprietà Industriale;
– con modalità fisiologiche, in quanto rischiose per la continuità aziendale di chi subisce lo storno;
– con modalità non prevedibili che provochino uno shock sull’ordinaria attività dell’impresa, non riassorbibile nel breve termine.
Lo storno di pochi dipendenti rispetto al totale di quelli impiegati ed entro un arco temporale diluito non integra illecito per storno di dipendente ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c.
E’ illecito lo storno di clientela anche nella forma del cherry picking
La figura dello storno di dipendenti e collaboratori esprime la sua problematicità nell’individuazione del discrimine tra le fattispecie lecite, frutto di una dinamica fisiologica del mercato, e quelle illecite, che esprimono una patologia quale espressioni più tipiche della concorrenza sleale per contrarietà alla correttezza professionale. Nell’applicazione di tale rimedio confluiscono invero opposte esigenze, presidiate anche da norme di rilevanza costituzionale, quali la libera circolazione del lavoro e la libertà d’impresa di cui agli artt. 36 e 41 della Carta, da limitare solo in presenza di condotte che alterino la dinamica della lecita concorrenza, anch’essa tutelata da disposizioni di natura primaria, anche sopranazionali.
Lo storno, in particolare, è considerato illecito ove il concorrente sleale si appropri di risorse umane altrui:
– in violazione della disciplina giuslavoristica (ad esempio, quanto ai termini di preavviso) e degli altri diritti assoluti del concorrente (quali la reputazione e i diritti di proprietà immateriale, quali le informazioni riservate);
– con modalità non fisiologiche, in quanto potenzialmente rischiose per la continuità aziendale dell’imprenditore che subisce lo storno nella sua capacità competitiva. E ciò tenuto conto, da un lato, delle normali dinamiche del mercato del lavoro in un preciso contesto economico e, dall’altro, delle condizioni interne dell’impresa leale (ad esempio, si è ritenuto che in casi di crisi aziendale o situazioni di difficoltà, lo smembramento della forza lavoro e i maggiori flussi in uscita dei dipendenti siano da considerare un effetto fisiologico);
– con modalità non prevedibili, in grado cioè di provocare alterazioni non immediatamente riassorbibili, e aventi un effetto shock sull’ordinaria attività di offerta di beni o di servizi dell’impresa che subisce lo storno (lo sviamento è stato ritenuto illecito ove il concorrente sleale si appropri di risorse umane altrui con modalità che provochino alterazioni oltre la soglia di quanto possa essere ragionevolmente previsto). D’altro canto, l’imprenditore leale deve tenere conto, a sua volta, di un mercato del lavoro che si muove dinamicamente, considerato il concreto quadro economico e giuridico nel quale egli stesso opera.
In tale contesto è da considerarsi illecito anche il c.d. “cherry picking”, il quale si verifica ove lo stornante ha compiuto una precisa scelta, consistente nell’assumere solo e soltanto collaboratori della concorrente dotati di una specifica competenza, in quanto provenienti da uno specifico settore e con un ruolo di fatto apicale nel comparto interessato.
A tali condotte sul piano oggettivo, si aggiunge poi l’animus nocendi, categoria che richiama quella penalistica del dolo specifico, da intendere quale volontà di recare danno, annientare o distruggere la concorrente. Si tratta di un requisito criticato dalla dottrina più attenta, giacché afferente alla sfera soggettiva dell’autore dell’illecito, benché in generale non richiesto tra i profili soggettivi della condotta quando si tratta di accedere alla tutela preventiva e inibitoria, e non anche a quella risarcitoria, nell’ambito della concorrenza sleale, retta dalla disposizione di cui all’art. 2600 c.c..
A ciò si aggiungono le difficoltà sul piano probatorio da parte del soggetto vittima dello storno. Consapevoli di tali criticità, lo sforzo delle Corti è stato quello di “oggettivizzare” tale elemento, ancorandone l’accertamento a requisiti – per così dire – oggettivi. La condivisibile necessità di restringere le ipotesi di tutela (alzando la soglia della rilevanza dell’illecito) giustificata dall’esigenza di garantire condotte e libertà a copertura costituzionale nella normale dinamica della libera concorrenza del mercato (anche del lavoro) passa, dunque, attraverso la valorizzazione dell’elemento oggettivo, da sindacare in base all’intensità dell’offesa all’integrità aziendale, che, in via presuntiva, fa inferire l’elemento soggettivo, depotenziando sotto il profilo probatorio la necessità della prova diretta dell’animus nocendi.
Dunque, il problema di distinguere tra natura fisiologica e lecita dello storno di dipendenti e concorrenza sleale si ricompone sul piano oggettivo dell’intensità lesiva della condotta. L’interprete deve solo verificare se il concorrente (ritenuto sleale) si sia appropriato di risorse altrui, con modalità che abbiano messo a rischio la continuità aziendale dell’imprenditore nella sua capacità competitiva, ovvero provocato alterazioni non ragionevolmente prevedibili, e determinato uno shock sull’ordinaria attività di offerta di beni o servizi non riassorbibile attraverso un’adeguata organizzazione dell’impresa e di cui lo stornante non possa non essere consapevole giacché ciò corrisponde ad un suo vantaggio anticoncorrenziale. A tal fine, è stato allora coerentemente osservato che non rileva la prova della pressione esercitata sui dipendenti dell’impresa concorrente per indurre il personale alla trasmigrazione.
Storno di dipendenti e concorrenza sleale ex art. 2598, comma primo, n. 3) c.c.
La clausola contrattuale con cui un soggetto si impegni in favore di un altro a non espletare attività in concorrenza con quest’ultimo in un determinato settore è valida se: (i) è circoscritta temporalmente, (ii) è onerosa (tale dovendosi ritenere pure la clausola che preveda un corrispettivo inglobato nel prezzo delle partecipazioni sociali cedute), (iii) prevede una sufficiente determinatezza delle attività vietate.
Lo storno di dipendenti, oltre a costituire al ricorrere dei requisiti una fattispecie di concorrenza sleale, può integrare una fattispecie tipica di attività di concorrenza vietata contrattualmente.
L’art. 1460 c.c. non attribuisce ai contraenti la facoltà di non adempiere le proprie obbligazioni in caso di violazioni altrui, avendo la più limitata funzione di proteggere la parte diligente dal rischio dell’inadempimento dell’altro contraente, consentendogli, in via eccezionale e cautelativa, di autotutelarsi. L’eccezione di inadempimento non costituisce un rimedio contro l’inadempimento altrui, bensì un rimedio contro il rischio dell’inadempimento altrui, fornendo, nei contratti con prestazioni corrispettive, il potere di paralizzare la richiesta di adempimento del contraente a sua volta inadempiente.
Storno di dipendenti – quando è configurabile?
Il passaggio di dipendenti da un’impresa ad un’altra non è di per sé solo elemento sufficiente ad integrare l’ipotesi di cui all’art. 2598 n. 3 c.c., trattandosi di attività legittima espressione dei principi di rilevanza costituzionale di libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica, sanciti dagli artt. 35 e 41 della Cost.
Per configurarsi illecito ex art 2598 n. 3 cc deve invece sussistere uno storno di dipendenti attuato con l’intento di disgregare l’altrui organizzazione produttiva, ossia connotato da animus nocendi, posto in essere con modalità del tutto inconciliabili con i principi di correttezza professionale, desumibile da elementi oggettivi che facciano ritenere in capo all’autore il proponimento di arrecare un serio danno al grado di competitività dell’impresa stornata.
Ex dipendenti e informazioni riservate: tutela ex artt. 98-99 C.p.i. e art. 2598 c.c.
In tema di misure di segretezza (ai sensi dell’art. 98, co. 1, lett. c, c.p.i.) le modalità di accesso a sistemi informativi con user id e password sono del tutto ordinarie e non denotano quel quid pluris di segretezza proprio dei segreti industriali ex artt. 98-99 c.p.i.
Le informazioni aziendali di carattere commerciale e tecnico, pur non qualificate in termini di segretezza ex artt. 98-99 c.p.i., possono costituire patrimonio aziendale riservato (know how), la cui diffusione/utilizzazione senza il consenso del titolare può integrare, nella ricorrenza degli altri presupposti della fattispecie illecita, concorrenza sleale, ai sensi dell’articolo 2598, n. 3, c.c.
Lo storno di personale non è di per sé illecito, essendo imprescindibile che lo stesso sia caratterizzato da connotazione ulteriore, quale è l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva del concorrente, disgregandone l’efficienza aziendale e procurandosi un vantaggio competitivo indebito.
La concorrenza parassitaria consiste nell’imitazione sistematica (e protratta nel tempo) dell’attività imprenditoriale del concorrente, laddove ciò che distingue tale fattispecie di modalità scorretta di concorrenza (ex art. 2598, n. 3, c.c.) rispetto ai casi tipici di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 2598 c.c., è il continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali in un contesto temporale prossimo, così da rivelare l’intento di avvantaggiarsi sul mercato, sfruttando il lavoro e gli sforzi altrui.
I presupposti per la fattispecie di concorrenza sleale per storno di dipendenti
Affinchè possano ravvisarsi gli estremi della fattispecie dello storno di dipendenti di un’azienda da parte di un imprenditore concorrente – comportamento vietato in quanto atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. – non è sufficiente il mero trasferimento di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente, né la contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore altrui. Lo storno deve essere infatti caratterizzato dall’ “animus nocendi”, che va desunto dall’obiettivo che l’imprenditore concorrente si proponga – attraverso il trasferimento dei dipendenti – di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando nel mercato l’effetto confusorio, o discreditante, o parassitario capace di attribuire ingiustamente, a chi lo cagiona, il frutto dell’investimento (ossia, l’avviamento) di chi lo subisce.
Il giudizio di difformità dello storno dai principi della correttezza professionale non va condotto sulla base di un’indagine di tipo soggettivo, ma secondo un criterio puramente oggettivo, dovendosi valutare se lo spostamento dei dipendenti si sia realizzato con modalità tali, da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di arrecare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva dell’imprenditore concorrente, svuotandola delle sue specifiche possibilità operative.
In base a questi principi al fine di verificare la sussistenza del requisito dell’animus nocendi, si valuta non solo se lo storno sia stato realizzato in violazione delle regole della correttezza professionale (come nei casi di impiego di mezzi contrastanti con i principi della libera circolazione del lavoro, di denigrazione del datore di lavoro, o avvalendosi di dipendenti dell’impresa che subisce lo storno, o quando il trasferimento del collaboratore sia finalizzato all’acquisizione dei segreti del concorrente), ma principalmente se le caratteristiche e le modalità del trasferimento evidenzino la finalità di danneggiare l’altrui azienda, in misura eccedente il normale pregiudizio che può derivare dalla perdita di prestatori di lavoro trasferiti ad altra impresa, non essendo sufficiente che l’atto in questione sia diretto a conquistare lo spazio di mercato del concorrente.
Per potersi configurare un’attività di storno di dipendenti, alla luce del requisito dell’animus nocendi, assumono rilievo i seguenti elementi: a) la quantità e la qualità dei dipendenti stornati; b) il loro grado di fungibilità; c) la posizione che i dipendenti rivestivano all’interno dell’azienda concorrente; d) la tempistica dello sviamento; d) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente.
Principi in materia di contratto sociale e responsabilità ex art. 1218 c.c. del socio per inadempimento degli obblighi nascenti dal rapporto societario
Il contratto sociale di cui all’art. 2247 c.c. è un contratto di natura associativa, caratterizzato dalla comunione di scopo e soggetto alla più generale disciplina codicistica in materia di obbligazioni e contratti, salvo laddove il legislatore abbia dettato una disciplina speciale, di carattere derogatorio, volta a regolare taluni aspetti più specifici del rapporto societario (come, ad esempio, in punto di domanda di risoluzione del contratto). Al contratto di società si applica l’ordinaria disciplina in tema di adempimento, il quale deve essere perciò valutato alla stregua del parametro della diligenza di cui all’art. 1176 c.c. In particolare, con la conclusione del contratto di società nascono, in capo al socio e nei confronti della controparte contrattuale, una serie di obblighi di fedeltà, lealtà, ma soprattutto, di diligenza e correttezza inerenti alla natura fiduciaria del rapporto societario.
Costituiscono gravi inadempienze al contratto sociale e, pertanto, fonte di responsabilità ex art. 1218 c.c., sia le condotte del socio che risultano idonee ad impedire il raggiungimento dello scopo sociale, sia quelle che abbiano inciso negativamente sulla situazione della società, tanto da rendere anche solo meno agevole il conseguimento delle finalità sociali. Ad esempio, costituiscono gravi inadempimenti l’omissione di ogni collaborazione nella conduzione dell’esercizio sociale, il compimento di atti ostruzionistici alla normale gestione societaria e il porre in essere atti di concorrenza sleale nei confronti della società.
Il comportamento del socio che ponga in essere atti di concorrenza sleale e storno di dipendenti, oltre a costituire grave inadempimento al contratto sociale (e, quindi, assumere rilevanza sotto il profilo contrattuale), integra anche gli estremi, oggettivi e soggettivi, della responsabilità extracontrattuale, sia per violazione del generale principio del neminem laedere, sia a titolo di concorrenza sleale di cui all’art. 2598, nn. 2 e 3, c.c.
Le regole speciali dettate dal codice civile in materia di contratto di società precludono la possibilità di pronunciare, con riguardo a tale tipologia contrattuale, la risoluzione di cui agli artt. 1453 ss. c.c. in quanto le norme sull’esclusione del socio per gravi inadempienze, di cui agli artt. 2286 e 2287 c.c., hanno carattere speciale e sostitutivo del rimedio della risoluzione per inadempimento previsto dagli artt. 1453 ss. c.c., inapplicabile al contratto di società per essere quest’ultimo caratterizzato non già dalla corrispettività delle prestazioni dei soci, bensì dalla comunione di scopo. Pertanto, in caso di inadempimento del socio al contratto sociale, il rimedio tipico è quello della esclusione del socio inadempiente.
Nei contratti consociativi, quali quello di società, caratterizzati non dalla biunivocità dei rapporti e dalla corrispettività delle prestazioni, bensì dalla circolarità dei rapporti e dalla destinazione delle prestazioni al perseguimento dello scopo comune, non risultano utilizzabili i rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale (in particolare, risoluzione del contratto ed exceptio inadimpleti contractus) ma solo i diversi rimedi del recesso e dell’esclusione dei soci.
Le circostanze oggettive che determinano la sussistenza dell’illecito di concorrenza sleale per storno di dipendenti
Anche ove il convenuto non stia ancora operando sul mercato, sussiste comunque una sua responsabilità a titolo di concorrenza sleale, allorché si configuri una situazione di concorrenza potenziale, ravvisabile sia in relazione ad una possibile estensione o espansione nel futuro dell’attività imprenditoriale concorrente purché nei termini di rilevante probabilità, sia nell’ipotesi di attività preparatorie all’esercizio dell’impresa, quando si pongano in essere fatti diretti a dare inizio all’attività produttiva.
L’illecito di concorrenza sleale per storno di dipendenti si ritiene sussitente al ricorrere di alcune circostanze oggettive e sintomatiche di un comportamento contrario ai principî di correttezza professionale, vale a dire: 1) il passaggio diretto dei dipendenti dal precedente datore di lavoro al concorrente che ha posto in essere lo storno; 2) il fatto che lo storno coinvolga un numero significativo di dipendenti; 3) il fatto che i dipendenti stornati rivestissero ruoli apicali all’interno dell’organigramma aziendale; 4) il fatto che lo storno di tutti i dipendenti sia avvenuto in un lasso di tempo limitato; 5) la difficoltà di sostituire questi dipendenti rapidamente; 6) il fatto di essersi avvalsi nella manovra di storno di metodi contrari alla correttezza professionale. A ciò va aggiunto che la concorrenza sleale è un illecito di pericolo per il quale non rilevano solo i trasferimenti effettivamente verificatisi, ma anche i tentativi di storno.