Insindacabilità delle scelte gestorie e responsabilità degli amministratori
All’amministratore di una società a responsabilità limitata [nel caso di specie, convenuto in giudizio dalla curatela fallimentare] non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. Sicché, gli amministratori non possano essere chiamati in responsabilità sol perché la gestione dell’impresa sociale ha avuto un cattivo esito.
Benché, quindi, la valutazione sull’eventuale responsabilità giuridica dell’amministratore non attenga al merito delle scelte imprenditoriali da lui compiute, la sua responsabilità giuridica ben può discendere, però, dal rilievo che le modalità stesse del suo agire denotano la mancata adozione di quelle cautele o la non osservanza di quei canoni di comportamento che il dovere di diligente gestione ragionevolmente impone, secondo il metro della normale professionalità, a chi è preposto ad un tal genere di impresa, ed il cui difetto diviene perciò apprezzabile in termini di inesatto adempimento delle obbligazioni su di lui gravanti.
E’ dovere primario dell’amministratore quello di perseguire l’interesse della società a lui amministrata, sicché ogni sua azione o omissione che sia invece diretta a realizzare un interesse diverso, ed in contrasto con quello, si configura immancabilmente come violazione del dovere di fedeltà immanente alla carica.
L’amministratore ha solo il dovere di gestire l’impresa sociale e, più in generale, di agire con la dovuta diligenza al fine di perseguire interessi compatibili con quelli della società da esso amministrata: non ha, al contrario, l’obbligo di amministrare la società con successo economico. Se, quindi, gli amministratori hanno agito con la dovuta diligenza e, malgrado ciò, abbiano scelto di compiere operazioni imprenditoriali che si siano rivelate inopportune, il principio dell’insindacabilità nel merito delle loro scelte comporta che gli amministratori non sono responsabili per gli eventuali danni così arrecati alla società (e ciò anche se si tratta di danni che altri amministratori, più competenti, avveduti e capaci, avrebbero con certezza evitato).
Il principio di insindacabilità delle scelte di gestione però non è assoluto. Esso incontra, infatti, i seguenti limiti di elaborazione giurisprudenziale: (i) la scelta di gestione è insindacabile solo se essa è stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta); e (ii) la scelta è insindacabile solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre.
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Carolina Gentile
Dottoranda presso la Scuola di Dottorato "Impresa, lavoro e Istituzioni" dell'Università Cattolica di Milano (curriculum di Diritto Commerciale).(continua)