L’accertamento della natura manifesta dell’errore nella determinazione del valore delle quote societarie ai sensi dell’art. 2473 terzo comma c.c.
L’accertamento della natura manifesta dell’errore segue criteri differenti a seconda che l’art. 1349 c.c. trovi applicazione nel suo ambito naturale, ovvero la determinazione dell’oggetto del contratto, o nel diverso caso previsto dall’art. 2473 c.c.. Mentre nella materia contrattuale, nella determinazione dell’oggetto del contratto l’arbitratore può procedere ad una valutazione discrezionale e fondare il suo apprezzamento sul criterio dell’equità mercantile, nel caso di cui all’art. 2473 terzo comma c.c. relativo alla stima del valore della quota , l’erroneità o meno della valutazione dell’esperto nominato dal Tribunale deve essere apprezzata sulla scorta delle regole tecniche di settore, il che vale anche ai fini dell’accertamento del carattere manifesto o meno dell’errore, che dovrà risultare evidente rispetto alle conoscenze di settore proprie dell’esperto, di chi legga il suo elaborato o sia fornito delle medesime competenze. Ne deriva che quando si ricorre all’art. 1349 c.c. per valutare la correttezza della valutazione compiuta dall’esperto nella determinazione del valore delle quote societarie, deve tenersi conto della diversità dei criteri che attengono a tale operazione rispetto a quelli di cui può servirsi l’arbitratore nella determinazione dell’oggetto del contratto.
Nel caso di cui all’art. 2473 terzo comma c.c., l’esperto non effettua la stima del valore delle quote in base all’equità – come avviene invece nella determinazione dell’oggetto del contratto da parte dell’arbitratore ai sensi dell’art. 1349 c.c. – ma è vincolato al criterio legale del valore di mercato. Pertanto, salvo che si rilevi una differenza del tutto irrisoria, la natura manifesta dell’errore sussiste ogniqualvolta l’errore emerga dagli atti e sia frutto di una scorretta applicazione di criteri tecnico-scientifici rientranti nell’ambito di conoscenza specifico dell’esperto, mentre si prescinde dal requisito dell’ultra dimidium ex art. 1448 c.c. – in applicazione del quale dovrebbe escludersi la natura manifesta dell’errore ogniqualvolta il valore corretta delle quote sia inferiore alla metà del valore indicato dall’esperto – che è applicabile solo ad adiuvandum, ossia per rafforzare la decisione giudiziale resa nel caso disciplinato dall’art. 1349 c.c. la quale, basandosi sulla correttezza o meno di una determinazione raggiunta in via equitativa dall’arbitratore, presenta profili di incertezza e opinabilità ben maggiori rispetto a quelli che possono emergere nel caso previsto dall’art. 2473 c.c.
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Fabio Clarizio
Avvocato in Torino presso Grande Stevens Studio Legale Associato da settembre 2017. Laureato con 110/110 e Lode nel 2016 presso l'Università Europea di Roma con una tesi in Diritto Commerciale sui "Doveri degli...(continua)