Legitimatio ad processum del curatore speciale e compromettibilita’ della impugnazione per nullità della delibera assembleare
Non è ipotizzabile un conflitto di interessi tale da necessitare la nomina di un curatore speciale nel caso in cui l’amministratore non sia, in concreto, portatore di un interesse a contraddire contrario a quello della società. Il curatore speciale, infatti, non deve essere inteso quale arbitro imparziale degli interessi sociali ma soggetto che deve sostituire l’amministratore quando – e soltanto quando, poiché diversamente verrebbe leso il diritto alla difesa della persona giuridica – la situazione concreta faccia ritenere che potrebbe essere indotto da interessi extra societari a valutazioni contrarie all’interesse sociale e non vi siano all’interno della società regole per la sua sostituzione (nella specie, l’attrice lamentava che la delibera impugnata aveva stabilito il raggruppamento delle azioni della società riducendone il numero e che, in tale modo, l’azionista di maggioranza nonché amministratore – in thesi versante in conflitto di interessi – avrebbe mirato a ottenere l’espulsione di una serie di soci minori dalla compagine sociale. Il Collegio ha ritenuto che l’interesse dell’amministratore e quello della società coincidessero nel mantenimento della delibera).
La legittimazione al processo nasce dal solo fatto di essere costituiti parte (con riferimento alla legittimazione a stare in giudizio e a concludere in esso del curatore speciale, nominato nonostante non ne ricorressero i presupposti).
E’ arbitrabile la controversia relativa alla impugnazione per nullità di una delibera assembleare, non essendovi alcuna connessione tra arbitrabilità e nullità.
Non coincidono l’ambito della nullità e l’area (più ristretta) dell’indisponibilità del diritto, dovendosi in quest’ultima ricomprendere esclusivamente le nullità insanabili, le uniche caratterizzate dal regime della assoluta indisponibilità e dalla non compromettibilità del relativo diritto. Tale conclusione appare avvalorata dall’art. 36 del d.lgs 5/03, che esplicitamente prevede che gli arbitri debbano decidere secondo diritto anche “quando l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere assembleari”, il che allude all’intenzione del legislatore di ammettere generalmente l’arbitrato sulle delibere societarie.
Nè va confusa la inderogabilità delle norme con la indisponibilità dei diritti che ne nascono: inderogabilità significa che l’ordinamento esige la applicazione di determinate discipline, eliminando spazi di autonomia privata, la quale può solo aderire o meno ad uno schema processuale prefissato; indisponibilità significa che il privato non può con il proprio consenso o dissenso determinare la applicazione di un diritto, come avviene ad esempio in materia di filiazione. In questo senso se inderogabile è la norma, il diritto che ne nasce può essere disponibile, come sono inderogabili, ad esempio, le norme di tutela dell’acquisto del consumatore, senza che ciò significhi che il suo acquisto sia un atto indisponibile: anzi, la inderogabilità è posta, proprio a tutela del suo atto volontario di acquisto. Tale ragionamento può essere applicato alle delibere sociali, atto di per sé soggetto alla volontà delle parti.