Legittimazione processuale del fallito nel contesto di inadempimento contrattuale di associazione in partecipazione
Nel sistema delineato dagli artt. 52 e 95 legge fall., qualsiasi ragione di credito nei confronti del fallito deve essere dedotta, nel rispetto della regola del concorso, con le forme dell’insinuazione al passivo sicché, a seguito della dichiarazione di fallimento, se la parte che aveva agito in giudizio nei confronti del debitore coltiva la propria azione nei confronti del curatore, subentrato all’originaria parte ai sensi dell’art. 43 legge fall., la domanda dev’essere dichiarata improcedibile, in quanto inidonea a condurre ad una pronuncia di merito opponibile alla massa: salvo che il creditore non dichiari espressamente di voler utilizzare tale titolo, dopo la chiusura del fallimento, per agire esecutivamente nei confronti del debitore ritornato in bonis. La legittimazione del fallito ad essere convenuto è ammissibile dunque una volta che la domanda, pur avendo contenuto patrimoniale, sia stata dichiaratamente proposta contro il fallito al fine di munirsi di un titolo da spendere al di fuori del concorso fallimentare e a procedura concorsuale chiusa, e quindi a valere sul patrimonio relitto o futuro del convenuto dopo l’esaurimento del concorso dei creditori insinuati, rappresentando tale ipotesi un’eccezione alla regola dell’esclusività dello stato passivo.
Il potere di proporre anche domande riconvenzionali appare invece condizionato alla verifica che, rappresentata agli organi dal Fallimento la ragione sottostante in fatto e in diritto alla reconventio, questi siano rimasti inerti senza prendere posizione al riguardo: ché se invece lo abbiano fatto, tale sua pretesa deve ritenersi appresa all’attivo fallimentare e non è più azionabile in via autonoma, rimanendo assoggettata alle scelte discrezionali degli organi dal fallimento con conseguente sua improcedibilità in sede ordinaria.
La dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta, a norma dell’art. 43 l.fall., la perdita della sua capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore. Se, però, l’amministrazione fallimentare rimane inerte, il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali, sempre che l’inerzia del curatore sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando consegua ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia.
La perdita della capacità processuale del fallito, conseguente alla dichiarazione di fallimento relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare, essendo posta a tutela della massa dei creditori, ha carattere relativo e può essere eccepita dal solo curatore, salvo che la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto dedotto in lite, nel qual caso il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è perciò opponibile da chiunque e rilevabile anche d’ufficio.
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Giulia Giordano
Laurea con lode presso l'Università di Bologna; LL.M. International business and commercial law presso King's College London; Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso Università di Bologna; Junior...(continua)