Marchio debole e marchio forte e intensità della tutela
La nozione di identità di segno distintivo, rilevante ai fini della fattispecie considerata dall’art. 20, lett. a), c.p.i., presuppone la simmetria sostanziale e numerica dei componenti degli elementi posti in comparazione. Il rischio di associazione tra i segni ex art. 20 lett. b) c.p.i. si verifica allorquando il consumatore, pur rendendosi conto che i segni distintivi in conflitto sono di titolarità di due imprese diverse e che pertanto i relativi prodotti e servizi provengono da due diversi operatori economici, è comunque indotto a ritenere, data la somiglianza tra i segni, che fra dette imprese vi sia comunque un legame, sia contrattuale che di mera appartenenza a un medesimo gruppo societario. In tema di tutela del marchio l’accertamento sulla confondibilità dei segni, in caso di affinità dei prodotti, non deve essere compiuto in via analitica, attraverso la separata considerazione dei singoli elementi di valutazione, ma, al contrario, in via globale e sintetica, con riguardo all’insieme degli elementi grafici e visivi complessivamente dotati di efficacia individualizzante e senza omettere l’esame relativo alla natura “forte” o “debole” del marchio esaminato. L’esame deve dunque essere effettuato con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento e singolare esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro. Il grado di tutela accordata al marchio muta, in termini di intensità, a seconda della qualificazione di esso quale marchio “forte” (ovverosia costituito da elementi frutto di fantasia senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti, e, quindi, con modesta capacità descrittiva rispetto alla tipologia di prodotto contrassegnata) o “debole” (ovverosia costituito da un elemento avente una evidente aderenza concettuale rispetto al prodotto contraddistinto). Per il marchio debole, anche lievi modificazioni o aggiunte sono sufficienti ad escludere la confondibilità, mentre, al contrario, per il marchio forte, devono ritenersi illegittime tutte le variazioni e modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del “cuore” del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume caratterizzando la sua spiccata attitudine individualizzante (nel caso di specie, il Tribunale ha stabilito che il marchio “Allure” non può qualificarsi quale marchio forte, atteso che esso non è costituito da un elemento frutto di fantasia senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti. Inoltre, il Tribunale ha sottolineato come sia noto che il termine “allure”, secondo un uso progressivamente invalso in ambito internazionale e settoriale, indichi complessivamente tutti i prodotti afferenti al mondo della profumeria, della cosmesi e più in generale della “bellezza” della donna e della sua immagine).