Meritevolezza della condizione risolutiva apposta ad un contratto di cessione di partecipazioni sociali connesso ad un rapporto di lavoro subordinato
La condizione risolutiva di un contratto di cessione di partecipazioni stipulato tra una società e un suo dipendente (o un dipendente di una sua controllata) che sia connessa alle dimissioni o alla cessazione del rapporto di lavoro nel corso di un c.d. “periodo di lock-up” e alla quale consegua il riscatto delle partecipazioni da parte del cedente a fronte dell’obbligo di corresponsione di un prezzo simbolico a favore del cessionario persegue un interesse alla “fidelizzazione” del dipendente meritevole di tutela.
La previsione dell’art. 1359 c.c., per cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa, costituisce una norma eccezionale dettata con riferimento specifico alla condizione sospensiva ed è, pertanto, insuscettibile di interpretazione analogica alle condizioni risolutive di fonte negoziale.
Una condizione risolutiva negoziale stipulata in termini oggettivi non può di per sé comportare alcuna obbligazione a carico delle parti, sicché una ipotetica condotta di mala fede della parte interessata all’avveramento della condizione non è suscettibile di paralizzare l’onere restitutorio gravante sul convenuto in dipendenza della clausola, potendo, semmai, dar luogo a pretese risarcitorie.
Il processo civile non può essere sospeso ex art. 295 c.p.c. in pendenza di un procedimento estero relativo a condotte la cui rilevanza ai fini della decisione giudiziale non sia stata individuata con precisione dal soggetto che ne richiede la sospensione.