Natura dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare.
L’azione sociale, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo.
La norma di cui all’art. 2392 c.c. struttura, quindi, una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente sia dal richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione menzionata, alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità) sia dalla circostanza che il secondo comma consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa. Dalla qualificazione in termini di responsabilità contrattuale dell’azione consegue che, mentre sull’attore (società o curatore fallimentare che sia) grava esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato), il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. In altre parole, l’inadempimento si presumerà colposo e, quindi, non spetterà al curatore fornire la prova della colpa degli amministratori, mentre spetterà al convenuto amministratore evidenziare di avere adempiuto il proprio compito con diligenza ed in assenza di conflitto di interessi con la società, ovvero che l’inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c., ovvero, ancora, che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo (cfr., in questo senso, Cassazione civile, sez. I, 24 marzo 1999, n. 2772; Trib. Roma, 8 maggio 2003; Cassazione civile, sez. I, 22 ottobre 1998, n. 10488).
Di contro, l’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, la cui natura extracontrattuale presuppone l’assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti ed un comportamento dell’amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (art. 2740 c.c.), con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere (cfr., Cass. 22 ottobre 1998, n. 10488; Cass. 28 novembre 1984, n. 6187; Cass. 10 giugno 1981, n. 3755).
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Chiara Petruzzi
Avvocato, già tirocinante ex art. 73 d.l. n. 69/2013 presso la Sezione Specializzata in materia d’Impresa del Tribunale di Milano. Cultore della materia presso la cattedra di Istituzioni di diritto privato...(continua)