Non costituisce atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. lo specifico e reale interesse delle parti quando non è diretto all’esclusione dal mercato dal concorrente ma è sorretta da una precisa giustificazione oggettiva, commerciale, che non si pone in contrasto con la struttura concorrenziale del mercato
L’art. 2598, n. 3, c.c. costituisce una fattispecie generale della correttezza professionale, rispetto alla quale si individuano figure specifiche quali le comunicazioni ingannevoli, le manovre sui prezzi, la violazione di norme di diritto pubblico, lo storno dei dipendenti, la concorrenza parassitaria, il boicottaggio, la violazione di zone di esclusiva.
Non può costituire fattispecie di concorrenza sleale la previsione tra le parti contraenti di una clausola limitativa della superficie destinata a una determinata attività, non soltanto in quanto essa è evidentemente diretta alla funzione tipica, per la quale tale tipo di clausole è regolarmente utilizzato nella prassi, ma perché, nel caso di specie, manca l’intento emulativo dell’atto e l’ idoneità lesiva richiesti dall’art. 2598 c.c. ovvero la preordinazione dell’eliminazione di un operatore economico dal mercato, e ciò non soltanto per la rilevanza essenzialmente interna dei patti stipulati tra terzi contraenti ma, altresì, alla luce della considerazione che le pattuizioni contestate non sono in alcun modo impeditive dello svolgimento di ulteriori attività da parte degli operatori.
I requisiti soggettivi richiesti dall’art. 2598 c.c. sono la sussistenza di un intento emulativo, quanto meno nell’ipotesi di illecito concorrenziale realizzato attraverso il compimento di atti leciti.
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Silvia Di Virgilio
Avvocato del Foro di Milano, titolare di LexAround.me, esperta in consulenza aziendale, proprietà industriale, e-commerce. Gestisco prevalentemente questioni di natura stragiudiziale, dalla contrattualistica al diritto...(continua)