Nullità del marchio registrato a fronte della rinomanza del marchio anteriore e concorrenza sleale
In caso di un marchio anteriore “rinomato” ad invalidare un segno posteriore basta la “somiglianza” tra i due segni, a prescindere dal rischio di confusione per i consumatori, in quanto la rinomanza/notorietà del marchio sul mercato fa sì che esso sia presente nella memoria dei consumatori, rendendo più facile che questi ultimi stabiliscano un nesso con il marchio successivo.
La somiglianza tra due marchi va valutata alla luce di un esame globale, visivo, fonetico e concettuale, che, quindi non deve essere “analitico” bensì basarsi sull’impressione complessiva prodotta dai marchi a confronto in considerazione dei loro elementi distintivi e dominanti, per cui, ad es. differenze fonetiche o visive possono essere neutralizzate dalle somiglianze concettuali; e ciò tenuto conto della normale diligenza e avvedutezza dei consumatori che eseguiranno il “confronto” tra il marchio che vedono al momento di effettuare un acquisto e quello che “ricordano” dell’altro. Ciò anche nel caso di marchi complessi, salvo che la capacità distintiva sia, in siffatti casi, affidata ad uno solo (o a più di uno) degli elementi che lo compongono (c.d. cuore del marchio); nel qual caso “l’esame da parte del giudice deve effettuarsi in modo parcellizzato per ciascuno degli elementi dotati di capacità caratterizzante”.
E’ principio pacifico in giurisprudenza che ai marchi dotati di un’elevata forza distintiva si deve riconoscere una tutela caratterizzata da una maggiore incisività rispetto a quella dei marchi “deboli”, dovendo ritenersi illegittime le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lasciano sussistere l’identità sostanziale del nucleo individualizzante.
Per valutare se sussistono i presupposti per assicurare tutela alla funzione distintiva del marchio deve essere verificato se in concreto i due segni sono idonei a generare confusione nei consumatori, anche solo in termini di un rischio di associazione tra i segni, che ricorre quando vi è, in concreto, la possibilità che il pubblico ritenga che i prodotti o i servizi contraddistinti da un marchio che imita quello di altra impresa provengano dalla medesima impresa o da imprese tra loro collegate. Invero si parla del c.d. rischio di associazione quando il pubblico sia portato a ritenere che sussistano, tra le diverse imprese, rapporti di natura contrattuale, quale, ad. esempio, un rapporto di licenza di marchio, in base al quale ad un’impresa venga consentita la produzione e la commercializzazione di uno stesso prodotto, ma, per esempio, ad un minor costo per consumatore con ridotte capacità di spesa.
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Daniela Russo
Avvocato del Foro di MilanoLaurea in giurisprudenza a pieni voti presso l'Università degli Studi di Parma e abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Milano. Tirocinio formativo presso la Sezione...(continua)