Perimento di azienda oggetto di cessione: risoluzione del contratto e obblighi restitutori
Nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora le parti si addebitino reciproci inadempimenti proponendo vicendevolmente domande contrapposte o quando una parte si limiti a contrastare la domanda di risoluzione o adempimento, giustificando la propria inadempienza con l’inadempienza dell’altro contraente, il giudice deve procedere a una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi inadempimenti e verificare quale di tali condotte, in un rapporto di dipendenza e proporzionalità, nel quadro della funzione economico- sociale del contratto, sia prevalente ed abbia alterato il nesso di sinallagmaticità che lega le obbligazioni assunte con il contratto, non essendo consentita una valutazione frazionata di ciascuna domanda.
Alla luce di tale principio è compito del giudice, pertanto, verificare se vi siano stati comportamenti colpevoli delle parti ed, eventualmente, quale sia il comportamento colpevole prevalente che abbia modificato l’equilibrio tra le reciproche obbligazioni, dando causa al giustificato inadempimento della controparte.
Nella comparazione delle condotte delle parti, qualora risulti che sussistano le inadempienze di una sola delle parti, il giudice deve verificare se i descritti inadempimenti della convenuta rivestano il requisito dell’importanza di cui all’art. 1455 c.c..
Emersa la gravità delle inadempienze di una parte, il contratto di cessione d’azienda inter partes viene pertanto risolto, con conseguente insorgenza degli obblighi restitutori, essendo venuta meno la causa adquirendi. Tuttavia, può accadere che l’azienda debba ritenersi perita, con la conseguenza che essa non è più restituibile in natura. Detta circostanza comporta l’applicazione delle disposizioni generali in materia di pagamento dell’indebito di cui agli art. 2033 e ss. c.c., sicché, ove si verta nel caso di restituzione di una cosa determinata della quale sia impossibile la riconsegna, l’obbligo dell’ “accipiens” risulta disciplinato dall’art. 2037 c.c.; sicché, ove sia in malafede nel ricevere o trattenere il bene, è tenuto a corrispondere il controvalore, mentre nell’opposta situazione di buona fede è obbligato nei soli limiti del suo arricchimento.