Puntualizzazioni sugli oneri di allegazione rispetto alla condotta di “svuotamento” del patrimonio sociale ad opera del liquidatore. Valenza probatoria della sentenza ex art. 444 c.p.p. in sede civile.
La domanda proposta dalla parte creditrice ai sensi degli artt. 2489 e 2395 c.c., fattispecie che si riferisce al danno diretto che la parte lamenti di aver subito nel proprio patrimonio per effetto della condotta illegittima del liquidatore, ha ad oggetto l’affermazione di una responsabilità extracontrattuale del liquidatore, sicchè incombe per intero su parte attrice la prova della esistenza della condotta del liquidatore, della sua illiceità, del danno al patrimonio dell’attore stesso e del nesso di causalità tra condotta illecita e danno. Tuttavia, qualora l’addebito fondamentale consista nello “svuotamento” del patrimonio sociale in corso di liquidazione, esso non pare inquadrabile nella configurazione dell’azione ex 2389 e 2395 c.c. prospettata dalla parte attrice, giacchè in base a quella configurazione il comportamento di mala gestio addebitato al liquidatore non incide direttamente sul patrimonio del creditore, ma sul patrimonio sociale, depauperandolo e così ledendo solo di riflesso le ragioni creditorie, per effetto della diminuzione della garanzia di cui essi godono su detto patrimonio ai sensi del 2740 c.c. Tuttavia, a fronte di una causa petendi e di un petitum articolati, in via astratta, in modo completo e corretto, ma rispetto ai quali l’attore abbia errato nella qualificazione giuridica, al giudice non è consentito senz’altro rigettare la domanda, dovendo invece procedere a riqualificarla correttamente, per poi proseguire a valutarne la fondatezza nel merito (Cfr. Cass. n. 3539 del 2017; Cass. n. 118 del 2916). Il giudice deve procedere quindi a riqualificare la domanda attorea in termini di azione di responsabilità proposta dai creditori sociali ex artt. 2489 e 2394 c.c., per gli atti di mala gestio che hanno determinato l’insufficienza del patrimonio sociale e la conseguente lesione delle ragioni creditorie.
Nell’ambito dell’azione di responsabilità dei creditori, avente natura extracontrattuale, l’allegazione della condotta di “svuotamento” del patrimonio sociale, per essere ammissibile ed assicurare l’effettivo esercizio dei diritti di difesa e contraddittorio delle parti convenute, abbisogna di essere integrata con la precisa indicazione dei comportamenti posti in essere dal liquidatore o dagli amministratori, adeguatamente circostanziati sul piano materiale, con riferimento alla composizione del patrimonio sociale ed ai beni oggetto delle condotte, nonché sul piano temporale, spaziale e giuridico. È necessaria altresì la precisa allegazione della loro attitudine a provocare direttamente la sottrazione/distrazione/distruzione/dissipazione dell’intero patrimonio sociale, con conseguente indiretta lesione dei diritti dei creditori. Infatti, il termine “svuotamento” è atecnico e ambiguo poiché può designare tanto la situazione finale di un patrimonio sociale inizialmente capiente e poi divenuto insufficiente rispetto alle ragioni creditorie, quanto una generica e generalizzata distrazione dell’intero patrimonio sociale. Occorre poi che l’attore fornisca adeguata prova delle sue allegazioni.
In punto di valenza probatoria in sede civile della sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., poiché la legge esclude che la stessa possa avere efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno (artt. 445 co. 1 bis e 651 c.p.p.) e preclude al giudice penale, nel caso di costituzione della parte civile, di decidere sulla relativa domanda (art. 444 co. 2 c.p.p.), si ritiene che la pronuncia, nel giudizio civile di danno, non ha efficacia vincolante quanto a sussistenza del fatto, sua illiceità e affermazione che l’imputato lo ha commesso. Ne deriva che “non può farsi discendere dalla sentenza di cui all’art. 444 c.p.p. la prova della ammissione di responsabilità da parte dell’imputato e ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile” (Cass., n. 8421 del 2011; Cass. n. 6047 del 2003). Ciò posto, secondo indirizzo meno rigoroso “la sentenza di patteggiamento può solo costituire un elemento che va valutato dal giudice, ai fini del suo convincimento in merito all’esistenza del reato” (Cass. n. 23906/2007; Cass. n. 2724 del 2001). Secondo invece indirizzo più rigoroso,“la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., pur non configurando una sentenza di condanna, presuppone comunque una ammissione di colpevolezza, sicchè esonera la controparte dall’onere della prova e costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda discostarsene, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione” (Cass. n. 3980 del 2016) (nel caso di specie, la sentenza di cui si è discusso nel giudizio statuiva l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. in ordine al reato di cui al 388 c.p. per lo “svuotamento” del patrimonio sociale nella fase di liquidazione al fine di sacrificare il soddisfacimento dei diritti di credito vantati da parte attrice e riconosciuti in un giudicato civile. Il Tribunale ha ravvisato plurimi elementi che inducevano a riconoscere scarsissimo valore probatorio di tale pronuncia invocata da parte attrice a fondamento della responsabilità dei convenuti. In particolare, da un lato, ha ritenuto che il risparmio dei costi della fase dibattimentale e del tempo della pendenza del processo, l’omessa pronuncia sulle domande della parte civile, l’applicazione di una pena estremamente esigua, solo pecuniaria e condizionalmente sospesa, congiunta alla possibilità di estinzione del reato e di ogni effetto penale nel termine di cinque anni alle condizioni di cui all’art. 445 comma 2 c.p.p., ben potesse aver indotto gli odierni convenuti, in un calcolo di costi/benefici, a preferire subito un’applicazione di pena sostanzialmente indolore, piuttosto che rischiare, pur innocenti, una condanna in sede penale e civile, con in più il pagamento dei relativi costi in termini di denaro, di tempo e patemi d’animo. Dall’altro lato, ha sostenuto che le ragioni per cui il giudice penale ha emesso la sentenza di applicazione della pena devono essere provate dalla parte che vuole avvalersi della sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. mediante produzione della sentenza stessa comprensiva di motivazione. In assenza di deposito delle motivazioni non è possibile, per fatto addebitale alla parte attrice, esprimere un giudizio in proposito con soccombenza della stessa).