5 Ottobre 2017

Questioni in materia di competenza ex art. 23 c.p.c. e di responsabilità di amministratori di s.r.l. per illegittimo utilizzo di casse sociali

Qualora un soggetto, socio e amministratore di una s.r.l., sia convenuto in giudizio in qualità di amministratore per l’accertamento di una sua eventuale responsabilità ex art. 2476 c.c., è manifestamente infondata l’eccezione di incompetenza territoriale per mancato esperimento della causa avanti il foro di cui all’art. 23 c.p.c., atteso che quest’ultima norma si riferisce esclusivamente alle cause fra soci aventi ad oggetto controversie che abbiano a fondamento una questione attinente, direttamente o indirettamente, al rapporto sociale (Cass. Civ., Sez. I, n. 2318/2006).

Qualora l’amministratore unico di una società storni parte delle casse sociali a favore di un’altra società in cui il medesimo riveste ugualmente la carica di amministratore unico, è fondata l’azione di responsabilità che si poggia sull’assenza di un valido titolo giustificativo delle somme corrisposte e, in particolare, sul fatto che: (i) l’approvazione del pagamento della fattura contestata dagli attori soci da parte del c.d.a. della società non vale di per sé come prova della effettiva debenza della somma pagata, non essendo atto idoneo a validare un eventuale pagamento indebito; (ii) l’eventuale produzione in corso di causa di un contratto in astratto idoneo a costituire titolo dello storno di liquidità non è rilevante qualora lo stesso contratto sia privo di data certa e sia stato sottoscritto da un unico soggetto in nome e per contro di entrambe le parti, in assenza di autorizzazione da parte di queste ultime e, dunque, in violazione dell’art. 1395 c.c.; (iii) l’eventuale stipula di un contratto valido non esonera l’amministratore da responsabilità qualora l’oggetto dell’accordo posto in essere dallo stesso riguardi un’attività, direttamente o indirettamente, estranea ai limiti dell’oggetto sociale della società danneggiata; (iv) l’amministratore non riesca con esattezza a dimostrare né la tipologia né l’ammontare esatto delle prestazioni dedotte in contratto (alcune delle quali, del resto, mai eseguite) e non riesca a spiegare il nesso tra la temporanee esigenze contabili in ragione delle quali il contratto sarebbe stato posto in essere e la durata indeterminata dello stesso.

In definitiva, l’amministratore di una società, ove disponga il pagamento a favore di un terzo che non sia creditore della società, mancando qualsiasi causa debendi, e, dunque, ove renda possibile un indebito oggettivo, viene meno sia al dovere generale del neminem laedere sia all’obbligo di gestire i beni sociali nell’interesse della società, giacché un simile pagamento si traduce in un arbitrario, e perciò illecito, atto di disposizione di detti beni assimilabile alla distrazione e cagiona un danno ingiusto alla società amministrata, pari quanto meno all’ammontare della somma indebitamente pagata (oltre accessori ed eventuali danni da accertarsi in concreto).

Il principio secondo cui gli interessi sulle somme di denaro, liquidate a titolo risarcitorio, decorrono dalla data in cui il danno si è verificato, è applicabile solo in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, in quanto, ai sensi dell’art. 1219, co. 2, c.c., il debitore del risarcimento del danno è in mora dal giorno della consumazione dell’illecito; invece, qualora l’obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, che è l’atto idoneo a porre in mora il debitore (Cass. civ. n. 637/1996) o da altro atto (es. la diffida ad adempiere) idoneo alla costituzione in mora del debitore medesimo ex dell’art. 1219, co. 2, c.c. (Cass., civ. n. 9415/1997).

 

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gabriele.scaglia

gabriele.scaglia

Notaio con sede in Triuggio (MB) e operante in tutta la Lombardia. Dottore di ricerca presso la Scuola di Dottorato "Impresa, lavoro e Istituzioni" dell'Università Cattolica di Milano (curriculum diritto...(continua)

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