Questioni varie in materia di impugnazione di delibere assembleari di s.r.l.
La reiezione sotto ogni profilo dell’impugnazione della “delibera-madre” assunta dai soci, comporta, quale necessario corollario logico e giuridico, il rigetto di tutti i capi della domanda attorea ove l’inesistenza o comunque l’invalidità di tale decisione assembleare è presupposta o richiesta; dovendo affermarsi che essa abbia ormai prodotto nella ‘vita’ della società effetti, diretti e indiretti, ormai irreversibili.
L’amministratore scaduto dalla relativa carica non vanta alcun titolo giuridicamente rilevante ad una nuova nomina, bensì – a tutto voler concedere – una mera aspettativa di fatto.
Il totale difetto di specifica preparazione tecnica nel settore dell’impresa esercitata è giusta causa di revoca dell’amministratore.
La regola statutaria secondo cui “gli amministratori durano in carica per il periodo che, di volta in volta, l’assemblea stabilirà all’atto della nomina, anche a tempo indeterminato o sino a revoca o dimissioni” è legittima e deve essere interpretata nel senso di facoltizzare i soci, nel momento in cui designino, di volta in volta, l’amministratore (o più amministratori), di decidere nel senso della loro revocabilità ad nutum, come dimostrato dalla distinzione letterale, consecutiva e disgiuntiva, fra tale ipotesi e quella di una mera nomina a tempo indeterminato (con le conseguenze, nel secondo caso, in punto di applicabilità dell’art. 2383 co. 3° c.c. – per il richiamo fattone, ante 2004, dal previgente art. 2487 cpv. c.c. -, ed oggi dell’art. 1725 cpv. c.c.).