Responsabilità degli amministratori per continuazione dell’attività sociale nonostante la perdita del capitale: quantificazione del danno e tutela cautelare
Ai fini della quantificazione del danno derivante dalla continuazione dell’attività di rischio nonostante la perdita integrale del capitale, appare legittima – nel caso di impossibilità di ricostruire i dati con l’analiticità necessaria ad individuare le conseguenze dannose riconducibili alle operazioni non coerenti con il fine conservativo – l’utilizzazione del criterio presuntivo e sintetico della differenza dei netti patrimoniali, che ben può sorreggere una valutazione equitativa del danno (conf. Cass. n. 2538 del 2005).
A differenza del regime antecedente alla riforma del diritto societario, oggi il criterio da seguire in materia di capitalizzazione dei costi di manutenzione è solo quello dettato dall’art. 2426, primo comma, n. 5) c.c., senza la possibilità di adottare i criteri previsti dalle norme tributarie, valide solo per il calcolo delle imposte.
La redazione dei bilanci secondo criteri idonei ad occultare la perdita del capitale sociale ai terzi vale, già di per sé, ad integrare il profilo soggettivo del periculum, necessario per la concessione della tutela cautelare, poiché non permette di sperare che il convenuto si asterrà in futuro dal compiere atti di dispersione patrimoniale in pregiudizio delle aspettative risarcitorie dei terzi, e impone, per converso, la previsione di condotte di dispersione della garanzia patrimoniale generica ex art. 2470 c.c.