Responsabilità di amministratori e sindaci, la nozione di insolvenza
L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l. fall., è soggetta a prescrizione quinquennale, che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l. fall., derivante, innanzitutto, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito; in ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore (o sugli altri organi societari), la prova contraria della diversa data anteriore d’insorgenza dello stato d’incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa.
Ai fini dell’accertamento della responsabilità degli amministratori e dei sindaci, è necessario sia provare il danno, consistente nel deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, sia la riconducibilità causale di detto danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori e dei sindaci. In particolare, la concessione di prestiti fruttiferi, che, dunque, prevedono un ritorno per la società, a parti correlate, implica l’insorgenza di un danno e, dunque, la responsabilità di amministratori e sindaci, allorché si verifica l’inadempimento dell’obbligo di restituire le somme corrisposte; il danno, comunque, è necessariamente correlato alla mancata restituzione, per la somma non recuperata, e, se del caso, per i conseguenti danni per interessi corrisposti su indotto fabbisogno finanziario, e per eventuali sanzioni amministrative. A fronte di atti distrattivi, in quanto destinati a finalità estranee all’oggetto sociale, il danno va commisurato alla diminuzione patrimoniale subita dalla società per effetto dei prelevamenti.
Per essere esonerati da responsabilità i sindaci non devono limitarsi a vigilare e a denunciare nella relazione al bilancio le censure alla condotta dell’organo gestorio, ma è altresì necessario che si attivino al fine di porre in essere gli atti necessari, e a dare attuazione ad ogni loro potere di sollecitazione e denuncia. Deve, infatti, ritenersi che ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi, secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione degli stessi avrebbe ragionevolmente evitato l’illecito, tenuto conto di tutta la possibile gamma di iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica.
L’art. 2, co. 1, lett. b), c.c.i.i. definisce lo stato d’insolvenza come lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. È da escludersi, pertanto, che sussista lo stato d’insolvenza in presenza di un passivo di bilancio, od allorché la difficoltà di adempimento delle obbligazioni sia momentanea, e non cronica, e riguardi non tutte le obbligazioni, ma solo poche obbligazioni in un lasso di tempo limitato. L’insolvenza, invero, dev’essere valutata dinamicamente, in relazione cioè al complesso delle operazioni economiche ascrivibili all’impresa: dunque a un elemento legato non all’incapienza in sé del patrimonio dell’imprenditore, ma a una vera impotenza patrimoniale definitiva e irreversibile, e non è, invece, ravvisabile in una mera temporanea impossibilità di regolare adempimento delle obbligazioni assunte.
Allorché sia sottoposta all’assemblea di una s.r.l. la richiesta, rivolta ai soci, di versare somme a titolo di finanziamento, la sua approvazione non fa sorgere di per sé, neppure in capo a chi abbia espresso voto favorevole, l’obbligo di eseguire il versamento, essendo all’uopo necessaria un’ulteriore, distinta manifestazione di volontà negoziale da parte di ciascun socio uti singulus, la cui prova non richiede forme particolari.