Responsabilità di amministratori e sindaci per aggravamento del dissesto
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali.
In ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.
Pur in assenza di un’espressa previsione normativa, esigenze di coerenza sistematica inducono a ritenere che anche agli amministratori di s.r.l. sia richiesta una diligenza di carattere professionale, determinata in funzione della natura dell’incarico e delle loro specifiche competenze, così come previsto per le s.p.a. all’art. 2392 c.c. La responsabilità degli amministratori verso la società si configura quale responsabilità risarcitoria, di natura contrattuale, che grava in solido su tutti gli amministratori. Spetta agli amministratori, dunque, provare con riferimento agli addebiti contestati l’osservanza dei doveri previsti dall’art. 2392 c.c., con la conseguenza che gli amministratori dotati di deleghe (cc.dd. operativi) – ferma l’applicazione della business judgment rule – rispondono non già con la diligenza del mandatario, ma in virtù della diligenza professionale esigibile ex art. 1176, co. 2, c.c. Quanto all’azione dei creditori sociali, per la quale il curatore è legittimato straordinario ai sensi dell’art. 2394 bis c.c., essa si fonda sulla violazione da parte degli amministratori del dovere di conservare l’integrità del patrimonio sociale, quale garanzia generica dell’adempimento delle obbligazioni verso i terzi (art. 2740 c.c.). Essa ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.
In tema di criterio applicabile alla quantificazione del danno nel casi di azione di responsabilità esercitata dal curatore nei confronti dell’amministratore, l’inadempimento di specifici obblighi (quali la distrazione di alcuni beni sociali, la mancata redazione di due bilanci di esercizio e delle relative dichiarazioni fiscali e l’omessa tenuta delle scritture contabili) non giustifica di per sé la determinazione del danno risarcibile nella misura della differenza tra il passivo e l’attivo, che può integrare un parametro per la liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. La mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili addebitabile all’amministratore della società, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizione, sempreché il ricorso ad esse, in ragione delle circostanze del caso concreto, sia logicamente plausibile e sia stato, comunque, allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentando, con specifica indicazione delle ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.
Il criterio c.d. della differenza dei netti patrimoniali consiste nella comparazione dei patrimoni netti, determinati secondo criteri di liquidazione previa, se del caso, rettifica delle voci di bilancio scorrette, registrati alla data della (doverosa) percezione del verificarsi della causa di scioglimento da parte degli organi sociali e alla data di messa in liquidazione della società (o di fallimento della stessa). Il danno in termini di “perdita incrementale netta” consente di apprezzare in via sintetica, ma plausibile, l’effettiva diminuzione subita dal patrimonio della società (dunque, il danno per la società e per i creditori) per effetto della ritardata liquidazione.
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Edoardo Cecchinato
Avvocato presso il Foro di Venezia. Dottorando in Diritto dell'Economia presso il Corso di Dottorato in Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Padova.(continua)