Rimborso dell’apporto all’associato in partecipazione
L’invalidazione della quietanza, che ha natura probatoria di confessione stragiudiziale, è consentita nel duplice intento di garantire la verità della dichiarazione confessoria e di tutelare il confitente dal rischio di subire le conseguenze pregiudizievoli di una dichiarazione non veridica compiuta per errore o per costrizione: così che la obiettività delle tutele apprestate fornisce anche il limite ed il contenuto del potere di invalidazione. Ne discende che, per privare di efficacia la dichiarazione confessoria, non è sufficiente dedurre e fornire la prova della non rispondenza a verità del dichiarato come vero, ma è necessario anche dedurre e provare che un certo accadimento storico sia stato, per l’erronea sua rappresentazione o percezione, ritenuto vero ignorandone la falsità o che quell’accadimento sia stato affermato come vero a seguito di costrizione: in altri termini l’allegazione e la prova concernono il vizio d’origine della dichiarazione confessoria e non la rispondenza al vero del “fatto” confessato. Pertanto, contrariamente a quanto si afferma in ricorso, non è sufficiente che le prove testimoniali avessero dimostrato la non corrispondenza al vero dell’orario di lavoro risultante dai fogli di presenza, essendo invece necessario dimostrare anche le circostanze che hanno indotto il confidente all’errore ovvero i fatti di violenza” (nella specie, la parte ricorrente chiedeva un provvedimento cautelare a tutela del diritto di credito, consistente nel rimborso dell’apporto versato in qualità di associato in partecipazione, mentre la parte resistente deduceva che le somme indicate nelle quietanze versate in atti non sarebbero state in realtà mai versate).