Risarcimento del danno per illecito industriale: retroversione degli utili e criterio dello royalties presunte
L’art.125, III comma, c.p.i. introduce una forma di conseguenza economica dell’illecito, limitata al campo della proprietà industriale, per cui il risarcimento può andare oltre il semplice lucro cessante, ponendosi in una prospettiva non strettamente indennitaria bensì riparatoria, che si propone di annullare le conseguenze negative che l’illecito ha avuto sul corretto equilibrio di mercato. La disposizione legislativa impone quindi all’interprete di procedere secondo una logica “differenziale”, che chiede di regolare i diritti del titolare e gli obblighi del contraffattore stabilendo in via ipotetica cosa sarebbe accaduto se l’illecito non fosse stato compiuto. Così il danno risarcibile ex art. 125, III comma, c.p.i. si avvicina al “danno concorrenziale”, che considera le alterazioni del mercato conseguenti all’illecito e vieta ogni forma di parassitismo. La previsione normativa, introduce una forma di arricchimento senza causa sui generis, per la necessità di cancellare tutti gli effetti della contraffazione sugli equilibri di mercato. Ne consegue che, per accedere ad un così particolare livello di tutela, risulta necessario formulare esplicita domanda, sulla quale stimolare ab origine il contraddittorio.
Una privativa va considerata quale bene normalmente produttivo -sia sotto il profilo del vantaggio monopolistico attribuito al titolare che produca, sia sotto quello della redditività assicurata dalla concessione di licenza a terzi- dotato di un valore capitale che viene irrimediabilmente eroso dall’attività contraffattiva. Se manca una adeguata prova di contrazione delle vendite eziologicamente ricollegabile all’illecito subito, di permanenti potenzialità produttive tali da consentire anche la realizzazione dei beni commercializzati dal contraffattore e di coincidenza sostanziale sul mercato dei prodotti, anche in relazione ai prezzi praticati (al netto degli oneri di ricerca in ipotesi risparmiati dal contraffattore), può farsi utilmente ricorso al criterio delle royalties presunte, cioè quelle che sarebbero state corrisposte qualora il modello fosse stata sfruttato in regime di licenza. Nella valutazione della royalty deve peraltro considerarsi che il contraffattore opera in condizioni assai diverse da un normale licenziatario, cui sono addossati oneri (minimi garantiti, concorso nelle spese pubblicitarie, fees di ingresso ecc.) e rischi (es. in caso di sopravvenuta dichiarazione di nullità del brevetto) assai maggiori. Inoltre, proprio in ragione di tali mancati oneri, normalmente che agisce in contraffazione realizza risparmi che si traducono in una riduzione del prezzo praticato alla clientela (aumentando la competitività e fidelizzando il cliente anche per il periodo successivo allo scadere della privativa).
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Omar Cesana
AssociateAvvocato iscritto al foro di Milano. Attualmente lavora presso lo Studio Legale Mondini Rusconi, dove si occupa di proprietà intellettuale e food law.(continua)