Sui requisiti di ammissibilità dell’interrogatorio formale quale prova in giudizio della simulazione di una opzione di acquisto di quote di S.r.l.
La volontà di concludere un contratto simulato ovvero di farlo concludere ad altri, deve risultare da un apposito accordo di simulazione (c.d. “controdichiarazione”) che nel caso di interposizione fittizia deve essere un accordo (quanto meno) a tre, giacché devono partecipare alla controdichiarazione sia le parti del contratto simulato sia il terzo contraente effettivo.
A fronte della mancata produzione in giudizio di un accordo scritto di simulazione (c.d. controdichiarazione), è ammessa la confessione giudiziale quale prova della volontà simulatoria al fine di sentir dichiarare l’inefficacia nei confronti del soggetto interposto di un accordo concluso mediante interposizione fittizia di persona. Il Collegio giudicante ha nondimeno statuito che è da ritenersi inammissibile l’interrogatorio formale reso nei confronti di una parte cointeressata all’accoglimento della domanda [nel caso di specie, il soggetto interposto che ha concesso una – simulata – opzione di acquisto delle proprie quote]. Tale strumento, infatti, è volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confitente e favorevoli al soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante. Sicché, come precedentemente affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, eventuali dichiarazioni favorevoli rese dal confitente non potranno essere utilizzate neppure con valenza indiziaria.
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Nicolò Piccaluga
Avvocato presso lo studio legale Simmons & Simmons. Laurea magistrale presso l'Università degli Studi di Milano. Master in Corporate Finance presso la SDA Bocconi.(continua)