Sulla segretezza dei dati ex art. 98 c.p.i. e sul perimetro di liceità del tentativo dell’ex agente di acquisire la clientela del precedente proponente
Il primo dei requisiti di protezione richiesto dall’art. 98, comma 1 lett. a) è la segretezza, nozione che fa riferimento ad una conoscenza qualificata e a una non facilità di accesso da parte degli operatori del settore; ne consegue che non possono essere considerate segrete o riservate le informazioni note o quelle facilmente accessibili a questi ultimi in tempi e con costi ragionevoli.
L’art. 98 richiede altresì che le informazioni abbiano un valore economico, nel senso che siano suscettibili di sfruttamento e utilizzo nell’ambito di un’attività economica; deve cioè trattarsi di informazioni il cui possesso esclusivo o quasi esclusivo assicuri al soggetto che le detiene un vantaggio concorrenziale rispetto agli altri operatori del settore.
Quanto, infine, al requisito della secretazione, la ragionevole adeguatezza delle misure di segretezza adottate va valutata in concreto, tenendo conto di tutte le circostanze del caso.
In ogni caso, alla luce della riserva contenuta nell’art. 99 c.p.i., che fa salva la normativa in materia di concorrenza sleale, deve ritenersi comunque applicabile l’art. 2598 n. 3 c.c. nelle ipotesi di utilizzazione e divulgazione di notizie riservate o, in genere, di know-how aziendale, quando non risultino soddisfatti per intero tutti i requisiti richiesti dall’art. 98 c.p.i., costituiti appunto dalla segretezza, dal valore economico e dall’adozione di misure ragionevolmente adeguate.
Chi invoca l’art. 98 c.p.i. ha l’onere, trattandosi di diritto non titolato, di allegare e provare tutti i presupposti richiesti dalla norma ed inoltre di indicare e descrivere dettagliatamente le informazioni segrete per le quali si chiede tutela, posto che, in difetto di tale descrizione, il convenuto non sarebbe in grado di svolgere le sue difese e il giudice non avrebbe la possibilità di valutare la sussistenza o meno dei requisiti previsti dalle norme richiamate.
Non è sostenibile neanche in via teorica che la segretezza possa avere ad oggetto semplicemente i tipi di prodotti e i relativi prezzi (questi ultimi destinati ai consumatori, all’ingrosso o al dettaglio, e quindi inidonei per loro natura a rimanere segreti). La segretezza o riservatezza potrebbe piuttosto eventualmente riguardare determinate politiche di prezzi elaborate dall’impresa.
Nell’ambito del rapporto di agenzia la clientela acquisita dall’agente costituisce patrimonio anche di quest’ultimo, come si desume dall’art. 1751 bis c.c., che prevede che, dopo lo scioglimento del contratto, sia possibile limitare, per un periodo non superiore a due anni e dietro il pagamento di un corrispettivo, la concorrenza da parte dell’agente in relazione alla zona, alla clientela e al genere di beni. Dalla norma in questione si evince allora che, in assenza di un patto di non concorrenza che presenti i requisiti previsti dalla disposizione, l’agente è libero di utilizzare le conoscenze acquisite nel corso di rapporto di agenzia, relative alla zona, alla clientela e al genere di beni, per fare concorrenza alla ex casa mandante.
Ai fini della configurabilità di una concorrenza sleale per sviamento di clientela, l’illiceità della condotta non deve essere ricercata episodicamente, ma piuttosto desunta dalla qualificazione tendenziale dell’insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento sul mercato.
Si è di conseguenza affermato che, nell’ipotesi di attività concorrenziale attuata dall’ex dipendente nei confronti del precedente datore di lavoro, deve ritenersi contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l’acquisizione sistematica di clienti del datore, più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite, dovendo di contro ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro.
Il richiamato principio appare applicabile anche al rapporto concorrenza tra l’ex agente e il precedente proponente, sia pure con le dovute precisazioni e cautele; può allora ritenersi, tenuto conto delle differenze tra la posizione dell’ex agente (che condivide il portafoglio clienti con l’ex preponente) e l’ex dipendente (che non può invece in alcun modo considerare come propri i clienti dell’ex datore di lavoro), che sia ravvisabile uno sviamento di clientela da parte dell’ex agente soltanto qualora quest’ultimo si avvalga “delle conoscenze riservate acquisite nel precedente rapporto”, ovvero eserciti l’attività di agente “con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale”.
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Chiara Petruzzi
Avvocato, già tirocinante ex art. 73 d.l. n. 69/2013 presso la Sezione Specializzata in materia d’Impresa del Tribunale di Milano. Cultore della materia presso la cattedra di Istituzioni di diritto privato...(continua)