19 Ottobre 2019

Sull’amministratore di fatto e sulla utilizzabilità del criterio del deficit patrimoniale nelle azioni di responsabilità nel fallimento

Il ruolo di amministratore di fatto di una società di capitali può essere ricostruito mediante l’utilizzo di elementi indiziari e fattuali (ad esempio delega di firme ad operare su conto corrente, rapporti di parentela tra le parti, esistenza di rapporti e collegamenti contrattuali o giuridici con fornitori e clienti, contatti e gestione ordinativi e del magazzino e dei rapporti con i fornitori ed il personale etc), nonché attraverso il ricorso alla prova testimoniale e/o all’interrogatorio formale.

La figura dell’Amministratore di fatto ricorre allorché un soggetto si sia ingerito nella gestione sociale in assenza di una qualsivoglia investitura, sempre che le funzioni gestorie svolte in via di fatto e gli atti compiuti abbiano carattere sistematico (ovvero non si esauriscano nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea ed occasionale) ed incisivo (in quanto idonei ad influenzare le scelte imprenditoriali in settori chiave e ad assoggettare la società alle sue direttive, condizionandone le scelte operative). In quest’ottica, pur dovendosi riconoscere che un siffatto condizionamento non può non trasparire nei rapporti con i terzi, deve altresì escludersi la necessità che esso si traduca nel diretto compimento di atti a rilevanza esterna, risultando, invece, sufficiente che le determinazioni riguardanti la gestione sociale siano riconducibili alla volontà dell’amministratore di fatto, eventualmente anche in concorso con l’amministratore di diritto, il quale non deve necessariamente rivestire il ruolo di mero prestanome.

Nelle azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci esercitate dalla Curatela il danno può essere liquidato in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. mediante il criterio della differenza tra attivo e passivo tutte le volte in cui la mancanza delle scritture contabili renda di fatto impossibile accertare quale sia il danno derivante dagli inadempimenti contestati; tuttavia, detto criterio non può operare automaticamente per tutte le ipotesi in cui vi sia stata la violazione dell’obbligo di regolare tenuta della contabilità, dal momento che in tal caso si attribuirebbe all’azione di responsabilità funzione sanzionatoria, allo stato non consentita dall’ordinamento, in luogo di quella ripristinatoria. D’altra parte, il mancato rinvenimento delle scritture contabili, non consente di per sé di ritenere che l’intero deficit patrimoniale della società sia allo stesso riconducibile per la considerazione che la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa e non li determina.

Il criterio del deficit patrimoniale può essere, dunque, utilizzato per la liquidazione del danno qualora sussistano i seguenti presupposti: (i) le violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa devono essere così generalizzate da fare pensare che proprio a cagione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore; (ii) siano individuati (oltre alla mancata regolare tenuta delle scritture contabili) altri eventuali e specifici inadempimenti ascrivibili all’amministratore potenzialmente idonei a produrre un danno ed a porsi come causa del deficit patrimoniale della società o, comunque, siano stati la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza (operando solo a tali condizioni il suo esonero dalla dimostrazione del nesso di causalità tra inadempimento e danno). Per contro, se le dedotte violazioni avessero soltanto aggravato il dissesto, unicamente tale aggravamento potrebbe essere ad esse collegato.

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Giovanni Celano

Giovanni Celano

Avvocato

Avvocato specializzato in diritto commerciale, societario e della crisi di impresa; esercita la professione forense prevalentemente presso il Foro di Pisa ed ha maturato importante e solida esperienza nell'ambito della...(continua)

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