15 Gennaio 2024

Sull’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore della società

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, dei liquidatori, e dei sindaci di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., la quale, assumendo contenuto inscindibile e connotazione autonoma rispetto alle prime, attesa la ratio ad essa sottostante identificabile nella destinazione di strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali, implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne immuta i presupposti.

L’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale. La prescrizione dell’azione proposta nei confronti degli amministratori e dei sindaci per mala gestio resta quinquennale e decorre non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, o dalla cessazione dalla carica, bensì dal momento dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti e, per meglio dire, dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado di venire a conoscenza di tale insufficienza. Detta disciplina, stante il disposto dell’art. 2489 c.c. che rinvia, quanto alla responsabilità del liquidatore, alle norme sull’amministratore, si applica anche ai liquidatori di società di capitali.

L’insufficienza patrimoniale di cui all’art. 2394 c.c. non corrisponde alla perdita integrale del capitale sociale, che può verificarsi anche in presenza di un pareggio tra attivo e passivo, né allo stato di insolvenza, trattandosi di uno squilibrio patrimoniale più grave e definitivo che può essere sia anteriore che posteriore alla dichiarazione di fallimento. Per presunzione iuris tantum, fondata sull’id quod plerumque accidit, la manifestazione di tale insufficienza si identifica con la dichiarazione di fallimento, mediante lo spossessamento del debitore e la presa in consegna delle attività da parte dell’organo della procedura. Tale presunzione non esclude come, in concreto, il deficit si sia manifestato in un altro momento, ma incombe sull’amministratore che eccepisce la prescrizione provare che l’insufficienza preesisteva e che era oggettivamente conoscibile da parte dei creditori in un momento anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Nonostante i doveri di amministratori e liquidatori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, essi possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione. Debbono considerarsi atti utili alla liquidazione, ai sensi dell’art. 2489 c.c., tutti quelli volti alla realizzazione dell’attivo e alla eliminazione del passivo sociale, in modo da consentire il riparto finale del residuo. La professionalità e la diligenza richieste secondo la natura dell’incarico conferito costituiscono parametri da valutarsi comunque con riferimento al fine ultimo della liquidazione ed estinzione della società e al compimento dei soli atti utili al raggiungimento di tale scopo; l’attività discrezionale, e come tale insindacabile, dei liquidatori ha quindi come limiti la ragionevolezza e la coerenza con le finalità proprie della particolare fase della vita della società cui sono preposti. Analogamente alla responsabilità degli amministratori, anche quella dei liquidatori è quindi una responsabilità qualificata e, per non incorrere in responsabilità, i liquidatori devono agire con la diligenza del corretto liquidatore, determinata in relazione all’incarico e alle specifiche competenze.

È da escludersi che sussista lo stato d’insolvenza in presenza di un passivo di bilancio, o allorché la difficoltà di adempimento delle obbligazioni sia momentanea, e non cronica, e riguardi non tutte le obbligazioni, ma solo poche obbligazioni in un lasso di tempo limitato. L’insolvenza, invero, dev’essere valutata dinamicamente, in relazione cioè al complesso delle operazioni economiche ascrivibili all’impresa: dunque a un elemento legato non all’incapienza in sé del patrimonio dell’imprenditore ma a una vera impotenza patrimoniale definitiva e irreversibile e non è, invece, ravvisabile in una mera temporanea impossibilità di regolare adempimento delle obbligazioni assunte.

Quando sia imputato all’organo amministrativo e di controllo il mancato incasso d’un credito, maturato dalla società in bonis prima del fallimento, non è sufficiente allegare l’inerzia degli amministratori nella riscossione di esso, occorrendo piuttosto allegare e provare che il credito è divenuto inesigibile a causa di quella inerzia.

Nel caso in cui un amministratore effettui pagamenti preferenziali in una situazione di dissesto, questi sarà tenuto a risarcire i creditori lesi dal pagamento preferenziale, ma non per l’intero credito, bensì per il danno da maggior falcidia dei crediti insinuati al passivo. Questo è rappresentato dalla differenza tra quanto i creditori avrebbero percepito dal riparto fallimentare se il pagamento non fosse stato effettuato, e il creditore preferito si fosse insinuato al passivo fallimentare, e quanto hanno effettivamente percepito.

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Fabiano Belluzzi

Fabiano Belluzzi

LL.M. candidate in International Business Law presso l'Universitè de Lausanne, Svizzera. Laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Padova e abilitato all'esercizio della professione forense.(continua)

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