La finalità della descrizione: acquisizione della prova ed entità della contraffazione
La misura della descrizione è finalizzata alla acquisizione e conservazione della prova della contraffazione ovvero della misura ed entità del fenomeno contraffattivo da utilizzarsi nel giudizio di merito risarcitorio e che è in tale ottica, diversa rispetto alle altre misure cautelari industrialistiche.
Sotto il profilo del fumus è sufficiente che vengano forniti indizi relativi alla titolarità della privativa in capo a chi agisce, e quanto alla contraffazione, che vi siano elementi tali da far escludere la mera esploratività della richiesta di descrizione fondando essi il “sospetto” della violazione ed elementi tali da far ritenere che gli elementi probatori, che si intendono acquisire e preservare con la misura della descrizione, siano pertinenti in relazione al giudizio di merito. Anche il periculum va rapportato alla indicata finalità di acquisire / salvaguardare la prova, avuto riguardo al fatto che tale prova si trovi nella sfera di disponibilità di un altro soggetto.
La tutela del marchio forte e natura della retroversione degli utili
La qualificazione del marchio come forte determina l’estensione della tutela a tutti gli elementi che lo compongono ma, ai fini della contraffazione, rimane necessario valutare se le coincidenze (pur parziali) tra marchio anteriore e successivo siano tali da ingenerare confondibilità tra i due segni. A tal fine, ove il nucleo idologico-espressivo del marchio forte rimanga impregiudicato (e quindi non confondibile con il secondo marchio), la tutela del primo si arresta, non essendo consentito ad un’impresa titolare di un marchio (anche se forte) di vietare ad un’altra l’uso di un marchio similare ma non confondibile, quando resti immutata la capacità distintiva dei suoi prodotti rispetto a quelli dell’altra impresa.
La restituzione degli utili ex art. 125, 3° co. c.p.i. è sanzione di natura diversa dal risarcimento del danno, fondandosi i due rimedi su presupposti e meccanismi diversi: il rimedio risarcitorio compensa la perdita subita dal danneggiato, mentre la misura restitutoria attua uno spostamento patrimoniale, con attribuzione al titolare del diritto violato dei profitti conseguiti attraverso l’uso della risorsa che è stata usurpata.
Contraffazione del marchio cromatico mediante la commercializzazione di vini spumanti prosecco aventi un packaging dal colore simile a quello di un noto champagne
Ciò che rileva nell’ambito della valutazione globale in punto contraffazione, è l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti contrassegnati: la confondibilità consiste nella possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente legate tra loro, onde è sufficiente che il grado di somiglianza tra questi marchi abbia l’effetto di indurre il pubblico di riferimento a stabilire un nesso tra di essi, non necessariamente a credere si tratti dello stesso produttore. La valutazione del rischio di confusione deve fondarsi perciò sull’impressione complessiva prodotta dai marchi in confronto, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti, rilevando la percezione dei segni da parte del consumatore medio, il quale “vede” normalmente il marchio come un tutt’uno e non effettua un esame spezzettato dei singoli elementi. Va altresì considerato che il giudice deve tenere conto, nel giudizio di confondibilità, che, al momento della scelta, il consumatore usualmente non ha di fronte entrambi i segni ma solo uno di essi, onde non confronta due marchi entrambi posti innanzi a sé per svolgerne un compiuto esame visivo, ma paragona solo mentalmente quelle che vede con il ricordo imperfetto e l’immagine mnemonica dell’altro. Di conseguenza, nell’esame di confondibilità dei marchi complessi contenenti elementi denominativi ed elementi figurativi, anche la parte figurativa del segno, ove si tratti di marchio complesso, va adeguatamente considerata nell’esame, non potendo escludersi la confondibilità sol perché sussistano diverse componenti denominative. [Nel caso di specie, si afferma la contraffazione del marchio di MHCS
da parte della convenuta stante l’evidente somiglianza cromatica dei colori utilizzati, tale da creare indubbia confusione nel consumatore medio, essendo proprio il particolare colore impiegato il cuore distintivo del marchio di MHCS. A ciò si aggiunga che gli Champagne Veuve Clicquot e i vini contestati alla convenuta (Prosecco, vini spumanti e vini bianchi in generale) sono prodotti che condividono la medesima destinazione commerciale e sono in diretto rapporto di concorrenza.]
Validità del brevetto e sussistenza dei requisiti del cd. “contributory infringement”
L’illecito consistente nel cd. “contributory infringement” o contraffazione indiretta, introdotto dalla l. n. 214 del 2016, al comma 2 bis dell’art. 66 del d.lgs n. 30 del 2005, consta di due elementi, che devono essere accertati in concreto dal giudice: a) l’elemento oggettivo consistente nella fornitura, o offerta di fornitura, a soggetti diversi
dagli aventi diritto all’utilizzazione dell’invenzione e necessari per la sua attuazione e la successiva contraffazione diretta da parte dei terzi; b) l’elemento soggettivo consistente nella consapevolezza – da accertare sulla base di dati fattuali tali da evidenziare la conoscenza, da parte del fornitore, circa l’obiettiva ed univoca destinazione concreta dei mezzi forniti all’attuazione del brevetto – non solo dell’idoneità, ma anche della destinazione concreta di detti mezzi ad attuare l’invenzione, ovvero la possibilità di acquisirla con l’ordinaria diligenza.
Contraffazione del modello comunitario multiplo e difetto di giurisdizione del giudice italiano
Accertamento dell’interferenza di un brevetto di secondo uso medico
Nel caso di un brevetto di secondo uso medico l’interferenza non può dirsi accertata ove il farmaco generico, nella propria autorizzazione al commercio, contenga già una chiara limitazione ad usi liberi da vincoli brevettuali. Perché sussista interferenza da parte di un altro prodotto proveniente da un altro operatore di mercato, è necessario che quest’ultimo non solo sia idoneo in astratto all’impiego rivendicato ma occorre che nel foglietto illustrativo sia indicato l’uso rivendicato nel brevetto.
Il rimedio riparatorio della c.d. retroversione degli utili è di natura non risarcitoria, ma riconducibile all’arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.
In materia di diritti di proprietà industriale vige la regola della presunzione di colpa ex art 2600 c.c., superabile solo con stringenti prove di segno contrario a carico del contraffattore, al fine di dimostrare la buona fede. La presunzione di colpa non può essere superata con la sola prova della circostanza di avere interrotto immediatamente le vendite delle res litigiose a seguito della diffida delle attrici.
Con riguardo alla posta riparatoria della retroversione degli utili la questione del profilo soggettivo della condotta si affievolisce. Invero, tale rimedio va inteso come autonomo strumento non risarcitorio ma riconducibile all’alveo dell’arricchimento senza causa di cui all’art. 2041 c.c. e svincolato dunque da profili soggettivi della condotta. E ciò in ossequio all’art. 45 Trips e all’art. 13, comma 2, della direttiva Enforcement.
Accertamento della contraffazione e conseguenze della cessazione delle condotte contraffattorie in corso di causa
La spontanea cessazione, in corso di giudizio, della condotta contestata non fa venire meno, di per sé, l’interesse all’accoglimento delle domanda di colui che agisce, ben potendo la parte all’esito del giudizio riprendere la condotta censurata, senza alcuna sanzione. Dovrà quindi procedersi, di volta in volta, ad una valutazione prognostica in merito alla probabilità di ripresa delle condotte contestate, che tenga conto delle peculiarità e delle specificità del caso sottoposto al vaglio del giudice (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto insussistente il rischio di reiterazione, da parte delle convenute, delle condotte contestate, tenuto conto, in particolare, dello stato di apparente inattività di queste ultime, nonché della sopravvenuta installazione di un’insegna del tutto diversa, in cui è spesa una denominazione differente dai segni distintivi azionati in giudizio dalle attrici).
Non sussistono elementi che consentano di ravvisare un danno da contraffazione allorché non sia provato che il presunto contraffattore ha concretamente fatto uso, in violazione dell’art. 20 c.p.i. e nell’ambito della propria attività economica, dei marchi e dei segni distintivi di altrui titolarità, con conseguente non configurabilità, neppure sul piano del pericolo, di un danno da sviamento di clientela ai sensi di cui all’art. 2598 c.c. (nel caso di specie, pur nella contumacia delle convenute, da elementi prodotti agli atti – quali le visure camerali delle convenute o la prova dell’omessa consegna di diffide – il Tribunale ha desunto lo stato di “inattività” delle convenute, per l’effetto rigettando le domande delle attrici volte ad accertare la contraffazione e/o la concorrenza sleale, con ogni conseguenza anche di tipo risarcitorio).
Deve procedersi d’ufficio alla riduzione ad equità della penale, ai sensi dell’art. 1384 c.c., la cui “eccessività” risulta, ex actis, dai documenti legittimamente acquisiti al processo (in applicazione del suddetto principio il Tribunale ha ritenuto che, ove un contratto di licenza permetta al licenziatario di fare legittimo uso di segni distintivi ed allestimenti del licenziante a fronte di un corrispettivo annuo di euro 2.800,00 oltre oneri, risulta manifestamente eccessiva una penale che, alla cessazione del contratto di licenza, preveda l’obbligo per il licenziatario di pagare una somma di euro 100,00 giornalieri per ogni giorno di ritardo nella rimozione di detti segni distintivi ed allestimenti; in sostituzione è stata ritenuta congrua una penale pari al doppio del corrispettivo annuo previsto nel contratto di licenza).
Contraffazione del modello comunitario registrato e criterio della retroversione degli utili per il risarcimento del danno
Utilizzando il parametro della retroversione degli utili, si deve procedere sottraendo il prezzo di acquisto del bene contraffatto all’ingrosso dal prezzo di rivendita al pubblico. È necessario altresì sottrarre la quota corrispondente ai presumibili costi sostenuti per la commercializzazione del bene. Il risultato deve poi essere moltiplicato per il numero dei capi contraffatti prodotti e venduti.
Accertamento della contraffazione e sussistenza dei requisiti per la tutela di un segno come marchio di fatto
La genesi di un marchio di fatto non si ricollega automaticamente all’uso, pur protratto ed esclusivo, del segno, ma richiede la prova che tale uso gli abbia attribuito “notorietà”, ossia abbia determinato il diffuso radicamento della forza distintiva del segno nella percezione dei consumatori. Pertanto, l’intensità dell’uso del segno e, conseguentemente, la sua notorietà rappresentano le condizioni primarie e necessarie ai fini del suo riconoscimento e della sua tutela industrialistica come marchio di fatto. L’uso del marchio, per conferirgli la necessaria notorietà, deve essere, quindi, intenzionale e continuo, non precario né sperimentale, occasionale o casuale, e deve assicurare la conoscenza effettiva e diffusa del prodotto contraddistinto.