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9 Settembre 2024

Responsabilità dell’amministratore per l’inadempimento della società. L’amministratore di fatto

L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità degli amministratori per danni diretti nei confronti dell’altro contraente, atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi; laddove ne ricorrano tutti gli estremi può, peraltro, configurarsi un concorso tra l’inadempimento della società e l’illecito dell’amministratore.

La persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza. È quindi necessario dimostrare che l’amministratore di fatto svolge, in via sistematica e continua, le attività tipiche dell’amministratore, quali ad esempio la gestione di rapporti continui con i clienti e fornitori, la direzione del personale, l’assunzione di un potere decisionale tale da condizionare le scelte operative e organizzative della società, la gestione dei rapporti con il ceto bancario o la facoltà di operare sul conto corrente.

15 Aprile 2024

Responsabilità dell’amministratore per prosecuzione con una nuova società di un’impresa in stato di decozione

La prosecuzione con una nuova società di un’impresa in stato di decozione, senza affrontare e risolvere le cause che hanno determinato la crisi, è operazione che, malgrado il principio di normale insindacabilità nel merito delle scelte gestorie, obbliga gli amministratori a  rispondere del pregiudizio arrecato perché compiuta senza alcuna diligenza nel preventivo apprezzamento dei margini di rischio ad essa connessi.

La responsabilità solidale prevista dall’art. 2112, co. 2, c.c. presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda, con la conseguenza che non è applicabile ai crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a tale momento, salva in ogni caso l’applicabilità dell’art. 2560 c.c., che contempla, in generale, la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori.

La mancata o irregolare tenuta della contabilità non è in sé causa di danno risarcibile, poiché la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, ma non li determina ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro mancata o scorretta registrazione in contabilità. Ai fini risarcitori, dunque, occorre ulteriormente domandarsi se e quale pregiudizio sia potenzialmente ricollegabile a tale specifica violazione in termini di danno emergente o di lucro cessante a carico del patrimonio sociale e, una volta assolto l’onere della prova circa l’esistenza di condotte per lo meno astrattamente causative di un danno patrimoniale, la mera mancanza di scritture contabili o la loro scarsa intellegibilità, ove effettivamente preclusiva di una ricostruzione specifica del danno cagionato al patrimonio sociale, può fungere semmai da criterio equitativo ai sensi dell’art. 2486 c.c., co. 3, c.c., dispensando non già dalla prova dell’inadempimento degli amministratori e del pregiudizio arrecato al patrimonio della società, ma soltanto dalla prova precisa del quantum debeatur.

5 Aprile 2024

Elementi identificativi della figura dell’amministratore di fatto e responsabilità risarcitoria

L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur formalmente privo della qualifica di amministratore, non essendo stato nominato dall’assemblea, ne esercita sostanzialmente le funzioni decisorie, impartendo istruzioni agli amministratori di diritto e condizionando le scelte aziendali. L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare; (ii) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; (iii) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza.

La prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria.

Allo svolgimento di fatto di funzioni gestorie corrisponde il principio di responsabilità per danni eventualmente cagionati; all’amministratore di fatto si applica la medesima disciplina ex artt. 2392-2395, e 2476, c.c. in punto di responsabilità dell’amministratore di diritto per i danni arrecati nell’esercizio delle sue funzioni alla società, ai soci o ai terzi.

29 Marzo 2024

Responsabilità per aggravamento del dissesto e quantificazione del danno

La qualifica di amministratore di fatto può essere desunta dalla compresenza di indici sintomatici quali la conservazione del potere di firma ad operare sui conti correnti sociali, la conservazione della disponibilità delle auto di proprietà della società e il compimento, da parte di quest’ultima, di operazioni straordinarie aventi come effetto, anche indiretto, quello di recare esclusivo vantaggio a soggetti che formalmente non rivestono la carica di amministratori della società.

Nel contesto dell’esercizio di un’azione di responsabilità avanzata nei confronti di più amministratori, il tempestivo atto interruttivo della prescrizione rivolto a uno solo di questi è idoneo a interrompere il decorso del termine di prescrizione anche nei confronti degli altri amministratori, in virtù della natura solidale di tale obbligazione.

In presenza di una causa di scioglimento della società e di contestuale violazione dell’obbligo, gravante sugli amministratori, di attenersi a una gestione meramente conservativa dell’integrità patrimoniale, la mancanza della contabilità sociale , o la sua tenuta in modo sommario e non intellegibile, giustifica di per sé la condanna degli amministratori al risarcimento del danno in sede di azione di responsabilità promossa dalla società. In tale ipotesi gli amministratori agiscono in violazione di specifici obblighi di legge, idonei a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale e ad invertire l’onere della prova, normalmente gravante sul curatore, circa l’esistenza del rapporto di causalità tra condotta illecita degli amministratori e conseguente pregiudizio economico.

Qualora l’assenza o la irregolare tenuta delle scritture contabili renda difficile per il curatore quantificare il danno conseguente agli inadempimenti degli amministratori che hanno contribuito ad aggravare il dissesto, il curatore può chiedere al giudice una liquidazione in via equitativa che tenga conto della differenza tra passivo accertato e attivo realizzato nella procedura.

Accertata l’ingiustificata mancanza di determinati beni la cui esistenza è provata in epoca anteriore al fallimento, si presume che il fallito li abbia dolosamente distratti. Tale presunzione è rafforzata dalla mancanza di una corretta tenuta delle registrazioni contabili che rende impossibile la ricostruzione del movimento degli affari del fallito.

Amministratore di fatto e responsabilità per i danni cagionati dallo svolgimento di attività gestoria

Allo svolgimento di fatto di funzioni gestorie corrisponde il principio di responsabilità per i danni eventualmente cagionati; pertanto, all’amministratore di fatto si applica la medesima disciplina ex art. 2392, 2395 e 2476, c.c., in punto di responsabilità dell’amministratore di diritto per i danni arrecati nell’esercizio delle sue funzioni alla società, ai soci o ai terzi. L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare; (ii) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; (iii) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza. La prova della posizione di amministratore di fatto implica, per ciò, l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria.

5 Febbraio 2024

Il socio di fatto nelle società di capitali. L’atto costitutivo non è interpretabile secondo l’intenzione dei contraenti

La società di fatto si ha quando la costituzione del rapporto non risulta da una prova scritta e questa non sia richiesta dalla legge ai fini della validità del rapporto sociale. Se è così, non è predicabile l’esistenza della figura del socio cofondatore o del socio di fatto all’interno di una società si capitali, giacché il legislatore richiede per la costituzione di questa tipologia di enti e per l’acquisto della qualità di socio delle formalità e delle attività che non sono surrogabili per fatti concludenti.

Le formalità imposte per la costituzione della società e per l’acquisto della qualità di socio sono richieste per ragioni di certezza del traffico giuridico e di tutela dei terzi. Tipo e scopo sociale, una volta compiute le formalità di legge, sono quelle che emergono dal sistema di pubblicità, con la conseguenza che l’atto di costituzione dell’ente non può più essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti e resta consacrato nei termini in cui risulta iscritto ed è portato a conoscenza dei terzi: le esigenze di tutela di questi ultimi assumono dunque prevalenza e rendono irrilevante la fase negoziale che ha dato luogo alla nascita del nuovo soggetto giuridico, che vive di vita propria, agisce e risponde dei propri atti in via autonoma, quale che sia stata la volontà dei soci sottostante alla formazione del contratto.

L’amministratore di fatto è un istituto concepito al fine di estendere il regime di responsabilità civile e penale previsto per gli illeciti gestori degli amministratori di diritto al soggetto che, pur senza rivestire formalmente tale qualità, si ingerisca con una certa stabilità e continuità nella gestione della società. L’amministratore di fatto non ha alcuna aspettativa giuridicamente tutelata alla conservazione della sua carica, in quanto è privo di una formale investitura proveniente dall’assemblea e, in assenza di tale adempimento, non è nemmeno logicamente configurabile una revoca ai sensi dell’art. 2383 c.c.

22 Gennaio 2024

La business judgment rule opera solo in assenza di un conflitto di interessi

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. ha carattere unitario e inscindibile poiché cumula le azioni disciplinate dagli artt. 2393 e 2394 c.c. in un’unica azione finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia dei soci e dei creditori, in modo tale che, venendo a mancare i presupposti dell’una, soccorrono i presupposti dell’altra. In caso di fallimento, pertanto, le diverse azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci di una società di capitali previste dal codice civile, pur rimanendo tra loro distinte, confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., la quale implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne muta i presupposti.

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e si configura come un’azione risarcitoria volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del suo depauperamento cagionato dagli effetti dannosi provocati dalle condotte dolose o colpose degli amministratori poste in essere in violazione degli obblighi su di loro gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo, ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità fra queste e il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sui sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Il danno risarcibile è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente e, in difetto di tale allegazione e prova, la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto.

La mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, purché l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo. Una correlazione tra le condotte dell’organo amministrativo e il pregiudizio patrimoniale dato dall’intero deficit patrimoniale della società fallita può prospettarsi soltanto per quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che, proprio in ragione di esse, l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque per quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza.

La figura dell’amministratore di fatto ricorre nelle ipotesi in cui un soggetto non formalmente investito della carica di amministratore si ingerisce nell’amministrazione, esercitando i poteri propri inerenti alla gestione della società. Tali funzioni gestorie esercitate in via di fatto debbono avere carattere sistematico e non esaurirsi nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea e occasionale.

All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere e, quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. L’insindacabilità delle scelte di gestione dell’amministratore trova un limite anche nella presenza di una situazione di conflitto di interesse non manifestata.

Sussiste un conflitto di interessi quando gli interessi di cui sono portatori l’amministratore e la società sono in una relazione di incompatibilità, tale per cui il perseguimento dell’uno comporta il necessario sacrificio dell’altro. Ciò significa che al vantaggio conseguibile dall’amministratore in base all’operazione deve corrispondere, anche se non in modo necessariamente proporzionale, uno svantaggio della società, che può anche consistere in un mancato guadagno. Il comportamento dell’amministratore che agisce in conflitto di interessi deve ritenersi sindacabile sotto il profilo della violazione del generale dovere di correttezza cui egli è tenuto nel rapporto con la società.

Ai sensi degli artt. 2482 bis e 2482 ter c.c., gli amministratori, in caso di perdita di oltre un terzo del capitale, devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la sola ed eventuale riduzione del capitale e non anche la messa in liquidazione, a meno che la perdita non comporti la riduzione al disotto del capitale minimo. Nel caso in cui il minimo legale non sia stato intaccato, la riduzione non è obbligatoria, potendo la società decidere di portare a nuovo le perdite, ma sussiste comunque l’obbligo, per gli amministratori, di convocare l’assemblea senza indugio per l’adozione degli opportuni provvedimenti e di redigere una relazione sulla situazione patrimoniale della società con le osservazioni del collegio sindacale o del revisore. In tal caso, la riduzione del capitale sociale ha funzione meramente dichiarativa, tendente a far coincidere l’entità del capitale nominale con quello effettivo, riconducendo il primo alla misura del secondo, se e in quanto questo sia realmente divenuto inferiore all’ammontare indicato nell’atto costitutivo.

27 Dicembre 2023

Responsabilità dell’amministratori di fatto

Le norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori delle società di capitali sono applicabili anche a coloro i quali, come amministratori di fatto, si siano ingeriti nella gestione sociale in assenza di una qualsivoglia investitura da parte della società, presupponendo la correlativa figura che le funzioni gestorie svolte abbiano avuto carattere di sistematicità e completezza.

In tema di società, la persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza.

18 Ottobre 2023

Amministratore di comodo e doveri gestori

L’amministratore di società, in forza della mera accettazione dell’incarico, è gravato dagli specifici obblighi contemplati dalla legge o dallo statuto nonché, dal generale dovere di esercitare le proprie funzioni con diligenza e in assenza di conflitto di interessi in vista del perseguimento dell’oggetto sociale. In particolare, l’accettazione del mandato gestorio comporta per l’amministratore l’obbligo di attivarsi affinché i beni e le risorse di pertinenza della società vengano destinati al perseguimento dei fini sociali e non siano in altro modo distratti o distolti. Pertanto, non esclude la responsabilità per mala gestio l’ aver assunto solo “formalmente” la carica di amministratore e di non aver, di fatto, gestito la società; ché, anzi, l’inerzia dell’amministratore di diritto e la circostanza che lo stesso, pur avendo accettato la carica di amministratore unico, abbia omesso le attività – anche di controllo – dovute in ragione della assunzione del mandato gestorio vale di per sé a fondare la responsabilità anche per eventuali sottrazioni o distrazioni di risorse sociali poste in essere da terzi senza l’opposizione del soggetto che, per legge, è gravato dal dovere di preservare l’integrità del patrimonio sociale e la destinazione dello stesso all’attività di impresa.

Il cosiddetto amministratore di comodo (o “testa di legno”) non può mai invocare tale sua posizione (di non concreta attività di gestione) per essere ritenuto indenne da responsabilità conseguente ad atti di mala gestio compiuti o, comunque, non impediti dal medesimo.

È amministratore di fatto chi, senza valido titolo – ad esempio, per nomina irregolare, per usurpazione dei poteri o per assenza di una formale investitura – gestisce, da solo o anche con l’amministratore formale, la società, esercitando con sistematicità e completezza un potere di fatto corrispondente a quello degli amministratori di diritto.

29 Giugno 2023

L’amministratore di fatto

L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare; (ii) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; (iii) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza. La prova della posizione di amministratore di fatto implica, perciò, l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale.