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30 Aprile 2022

Rinuncia al compenso dell’amministratore per causa esterna e revoca per giusta causa

Il carattere oneroso per la società della funzione di amministratore è stabilito dall’art. 2389 c.c., essendo tuttavia possibile la rinuncia, competendo alla assemblea la relativa deliberazione, con facoltà di liquidazione giudiziaria in difetto. La rinuncia stessa si presenta formalmente quale una remissione del debito (art. 1236 c.c.), ovvero come negozio unilaterale cui la legge, alla condizione della sussistenza effettiva del rapporto obbligatorio, della piena volontarietà della remissione e della inequivoca comunicazione, fa discendere l’estinzione dell’obbligazione rimessa a prescindere da una causa specifica, con ciò derogando, settorialmente, al principio di causalità, come possibile unicamente, in ambito patrimoniale, per i negozi unilaterali tipici (art 1987 c.c.). Il carattere astratto della rimessione non è tuttavia un carattere necessario, ma solo una potenzialità di legge e nulla esclude che, invece, la remissione sia dotata di causa esterna e che si configuri come momento attuativo di un diverso negozio, in primis di un contratto. In tal caso, l’effetto della remissione resta collegato al contesto negoziale in cui la stessa si colloca. In ogni caso, tra le condizioni di una valida remissione vi è anche la piena consapevolezza del quadro di fatto relativo ai rapporti tra le parti nel momento in cui la dichiarazione viene fatta. Inoltre, è espressamente ammessa la rinunzia condizionata al credito, essendo evidente che la causa esterna della rinuncia possa essere riguardata, quantomeno, come condizione implicita della stessa.

In materia di giusta causa di revoca ante tempus degli amministratori di società di capitali, stante la competenza dell’organo assembleare, è stato stabilito un principio di fissità della contestazione, ricavabile per via indiretta. I motivi di revoca sarebbero in teoria liberamente apprezzabili anche a posteriori e, in effetti, la contestazione non esige termini. Tuttavia, posto che il decisone è l’assemblea, i motivi rilevanti restano fissati in quelli che l’assemblea stessa ha effettivamente preso in considerazione. In generale, non è ammessa come giusta causa la mera modifica strutturale dell’organo per ragioni organizzativa. Il tutto evidentemente al fine di non consentire aggiramenti facilissimi di altri limiti, e comunque addossando all’azienda il rischio economico della revisione delle sue deliberazioni in ordine alla composizione del vertice. In ordine alle ragioni soggettive, è ammessa un’ampia libertà da parte della società nella valutazione degli elementi in grado di far cessare il rapporto fiduciario, essendo richiesta la sola condizione di un contenuto oggettivo minimo, il quale consenta una sia pur essenziale valutazione obiettiva di scorrettezza (una valutazione diversa, e anche minore, dell’inadempimento). Il tutto al fine di distinguere l’ipotesi da quella del nutum prevista solo da disposizioni speciali. Infine, la mera contrapposizione di interessi e la reciproca difesa di diritti non è mai considerata giusta causa di revoca, per l’ovvia necessità di non compromettere diritti ammettendo la possibilità di una reazione abnorme alla loro difesa.

30 Aprile 2022

Mancata convocazione dell’assemblea per la ricapitalizzazione ex art. 2482 ter c.c. e responsabilità dell’amministratore unico

Il mancato adempimento dell’obbligo di convocare l’assemblea per la ricapitalizzazione di una s.r.l. ex art. 2482 ter c.c. non integra di per sé una responsabilità dell’amministratore nei confronti del creditore sociale insoddisfatto, atteso che, ove l’amministratore avesse ottemperato all’obbligo richiamato, i soci avrebbero potuto scegliere, in luogo della ricapitalizzazione, l’alternativa loro offerta dalla legge di sciogliere la società, cui sarebbero comunque conseguite l’incapienza del patrimonio sociale e, quindi, l’infruttuosità di qualsiasi tentativo di escussione del creditore.

14 Aprile 2022

Azione personale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali

L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c., in tema di s.p.a., e l’art. 2476, co. 7, c.c., in tema di s.r.l., esigono che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società. La mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.

14 Aprile 2022

Quantificazione del danno per indebita prosecuzione dell’attività in presenza di una causa di scioglimento

Il danno arrecato alla società ed ai creditori sociali per l’indebita prosecuzione dell’attività malgrado la sussistenza di una causa di scioglimento, nell’impossibilità di un più preciso conteggio, può quantificarsi, secondo i criteri consolidati nella più recente giurisprudenza di legittimità, nella differenza tra il patrimonio netto stimato alla data del fallimento, e quello stimato alla data del verificarsi della causa di scioglimento, dedotti quei costi che sarebbero stati sostenuti anche nella fase di liquidazione, e previa riclassificazione dei dati patrimoniali in prospettiva liquidatoria.

11 Aprile 2022

Azione sociale di responsabilità nella s.r.l.

L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità deve essere deliberato, anche nelle società a responsabilità limitata, dall’assemblea dei soci. L’autorizzazione assembleare, dunque, si pone come requisito necessario per attribuire al legale rappresentante della società la legittimazione processuale e la volontà dei soci deve necessariamente essere espressa mediante una deliberazione da assumersi nell’assemblea in sede ordinaria (art. 2364, co. 1 n. 4, c.c.), non essendo ammesse forme equipollenti.

L’azione sociale di responsabilità si configura, per consolidata giurisprudenza, come un’azione risarcitoria di natura contrattuale, derivante dal rapporto che lega gli amministratori alla società e volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del depauperamento cagionato dalla cattiva gestione degli amministratori e dalle condotte da questi posti in essere in violazione degli obblighi gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo, ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’obbligo di intervento preventivo e successivo. E’ onere della parte attrice allegare l’inadempimento sussistente in capo all’amministratore degli obblighi a lui imposti dalla legge e/o dall’atto costitutivo, nonché discendenti dal generale obbligo di vigilanza al fine di evitare il determinarsi di eventi dannosi.

La condotta dell’amministratore di s.r.l., equiparata per tale aspetto ai doveri che devono connotare il contegno degli amministratori di s.p.a., deve informarsi alla diligenza richiesta per la natura dell’incarico ed alle specifiche competenze del settore; trattasi, dunque, della speciale diligenza richiesta, ai sensi dell’art. 1176, 2° comma, al professionista e non, come previsto nei tempi precedenti alla riforma del diritto societario entrata in vigore il’1.1.2004, alla generica diligenza del mandatario.

Giova precisare che, ai fini della risarcibilità del danno, il soggetto agente, oltre ad allegare l’inadempimento dell’amministratore nei termini summenzionati, deve anche allegare e provare l’esistenza di un danno concreto, che si estrinsechi nel depauperamento del patrimonio sociale di cui si chiede il ristoro, nonché nella possibilità di ricondurre detta lesione alla condotta dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico.

La ripartizione dell’onere probatorio attribuisce alla parte attrice l’obbligo non solo di allegare l’inadempimento – nel caso di specie l’acquisto della società identificato come operazione antieconomica per la società e, dunque, lesiva del dovere di diligenza che impegna l’amministratore nei confronti della società stessa – ma anche l’onere di allegare e provare l’esistenza di un danno concreto, causalmente connesso alla condotta dell’amministratore.

11 Aprile 2022

Il limite alla sindacabilità delle scelte gestorie dell’amministratore di s.r.l.

L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità deve essere deliberato, anche nelle società a responsabilità limitata, dall’assemblea dei soci, ai sensi dell’art. 2487 c.c. in relazione all’art. 2393, co. 1, c.c. nel testo antecedente l’entrata in vigore del d. lgs., 17 gennaio 2003, n.3; la mancanza di tale presupposto, incidente sulla legittimazione processuale del rappresentante della società, può anche essere rilevata d’ufficio dal giudice. L’autorizzazione assembleare, dunque, si pone come requisito necessario per attribuire al legale rappresentante della società la legittimazione processuale e la volontà dei soci deve necessariamente essere espressa mediante una deliberazione da assumersi nell’assemblea in sede ordinaria (art. 2364, co. 1, n. 4, c.c.), non essendo ammesse forme equipollenti. Si ritiene che l’autorizzazione assembleare sia necessaria anche nelle società a responsabilità limitata in forza dell’applicabilità analogica dell’art. 2393 c.c. anche a questo tipo sociale.

La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l’osservanza dei doveri previsti dall’art. 2392 c.c. Per quanto riguarda il nesso di causalità, deve ritenersi che un evento sia da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non), nonché (in virtù del criterio della c.d. causalità adeguata) dando rilievo, all’interno della serie causale, solo a quegli eventi che non appaiono, ad una valutazione ex ante, del tutto inverosimili.

All’amministratore di una società di capitali non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che valutazioni di tal sorta ineriscono alla discrezionalità imprenditoriale e ricadono nell’ambito di applicazione della c.d. business judgment rule, potendo essere al più fatte valere come giusta causa della revoca dell’amministratore e non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.

Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, pur presentando queste profili di rilevante alea economica.

È necessario che il giudizio dell’organo giudicante si limiti alla sola diligenza mostrata nell’apprezzamento preventivo e prudenziale dei margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere. Ne deriva che rileveranno, ai fini del riconoscimento dell’inadempimento all’obbligo di diligenza ex art. 1176, co. 2, c.c. da cui discende responsabilità contrattuale, unicamente le condotte omissive delle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

Nella delimitazione del perimetro applicativo della c.d. business judgment rule occorre riferirsi ad alcune regole fondamentali riguardanti le facoltà decisionali degli stessi amministratori nella gestione della società. L’amministratore, difatti, è tenuto ad agire in modo informato e a operare con la cautela e la diligenza da lui esigibile ex art. 2392 c.c., deve decidere nei limiti di legge e operando non in conflitto di interessi.

Non può, tuttavia, affermarsi l’assoluta insindacabilità delle scelte di gestione dell’organo amministrativo, in quanto sussistono due ordini di limiti all’operatività della business judgment rule. Innanzitutto, la scelta di gestione è insindacabile ove legittimamente compiuta e, inoltre, essa non deve essere irrazionale. Per quanto concerne il primo limite all’applicazione del principio, è necessario operare un controllo sul processo decisionale che ha portato l’amministratore a compiere una determinata scelta. Relativamente al secondo limite, è necessario che la scelta sia definita come razionale e non irragionevole; ciò implica non solo che l’amministratore abbia posto in essere la diligenza esigibile in relazione al tipo di scelta e con le cautele, verifiche e informazioni necessarie, ma che sia ulteriormente necessario che queste abbiano condotto l’amministratore ad una scelta razionale e meditata.

4 Aprile 2022

Illegittimi prelevamenti dal conto corrente della società compiuti dall’amministratore e azione di ripetizione ex artt. 2033 c.c.

La ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. presuppone l’avvenuta esecuzione di un pagamento non dovuto per inesistenza di un rapporto obbligatorio, il che si verifica o quando il solvens erroneamente ritiene l’esistenza di un’obbligazione cui è vincolato od in ipotesi di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione del negozio (qualunque esso sia) che fu elemento genetico del rapporto obbligatorio. La ripetizione di indebito ex art. 2036 c.c. presuppone l’avvenuta esecuzione di un pagamento non dovuto dal solvens, essendo altro il soggetto passivo del rapporto obbligatorio in realtà esistente.

Se il pagamento effettuato va direttamente collegato sotto il profilo eziologico ad un atto illecito dell’accipiens (come deduce parte attrice che chiede accertarsi la illegittimità dei prelevamenti dal conto corrente della società operati dall’ex amministratore), è l’atto illecito in sé che si pone quale unica genesi dell’esborso sostenuto dal solvens, esborso che, quale ingiusta diminuzione patrimoniale è da qualificare come danno risarcibile a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale a seconda della configurazione che la parte danneggiata voglia dare della responsabilità in base alla fonte delle obbligazioni (contratto di amministrazione o neminem laedere). Invero, se un diritto può eventualmente vantare la società è solo a titolo di risarcimento danni per responsabilità sociale da azionare verso il suo ex amministratore, che “in occasione” della sua carica ha prelevato somme destinate a sue personali.

L’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c. ha natura residuale e non è esperibile quando sussiste nel sistema un rimedio tipico, nel caso di specie l’azione di responsabilità sociale ex art. 2476, comma 3, c.c.. L’eventuale intervenuta prescrizione della azione tipica ex art. 2476, comma, 3 c.c. non consente di considerare ammissibile la domanda ex art. 2041 c.c. posto che “l’azione generale di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato avrebbe potuto esercitare un’azione tipica e questa si è prescritta” (Cass. 30614/2018).

29 Marzo 2022

Responsabilità dell’amministratore ex art. 2485 c.c. e mancata restituzione del ramo d’azienda in affitto

L’amministratore di S.r.l. che abbia ritardato nel rilevamento e accertamento delle condizioni di scioglimento della società per erosione del capitale sociale al di sotto del minimo legale ex art. 2484, co. 1, n. 4 c.c. omettendo l’assunzione di una delibera di aumento del capitale al di sopra del minimo ex art. 2482 ter c.c., di scioglimento o di attivazione di una procedura concorsuale per la soddisfazione dei creditori, è responsabile per il danno derivante dalla violazione dei doveri in qualità di amministratore ai sensi dell’art. 2485 c.c. laddove egli abbia omesso di restituire il ramo d’azienda in affitto già dal momento in cui l’attività caratteristica non poteva più continuare,  in considerazione dell’andamento negativo e l’aumento esponenziale dei debiti già desumibile dai bilanci degli esercizi precedenti che avrebbe richiesto piuttosto una gestione in chiave conservativa e liquidatoria, determinando per il locatore una perdita per i canoni insoluti anche tenuto conto della possibilità di affittare il ramo d’azienda a terzi a pari condizioni.

Onerosità dell’attività di amministratore di s.r.l.

La presunzione di onerosità dell’incarico di amministratore di una società stabilita dall’art. 1709 c.c. non esonera l’amministratore che chiede la condanna della società al pagamento del proprio compenso dall’onere di dare prova delle attività concretamente svolte nell’interesse della società.

Clausola simul stabunt simul cadent e revoca dell’amministratore

Non c’è abusivo esercizio della clausola simul stabunt simul cadent (nel caso di specie con la previsione che, al venire meno della maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione, decade l’intero consiglio di amministrazione) nel caso di revoca dell’amministratore se le dimissioni dei consiglieri sono sorrette da valide ragioni e non strumentali alla revoca.

Anche ove dovesse ritenersi fondata la responsabilità di uno dei consiglieri per la promessa del fatto del terzo ex art. 1381 c.c. (nel caso di specie non provata), con riguardo alla quantificazione del danno, il risarcimento del danno potrebbe essere parametrato, al più, al compenso dovuto per il periodo di preavviso. Non può invece  considerarsi come componente automatica, nel conteggio del compenso annuale, anche la porzione variabile del corrispettivo.