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28 Settembre 2021

Responsabilità solidale dell’amministratore di diritto per gli atti gestori dell’amministratore di fatto

L’amministratore, al momento della nomina e con l’accettazione della relativa carica, assume – tra gli altri – l’obbligo di vigilanza sulla società, che deve essere esercitato e non viene meno neppure qualora l’amministrazione sia effettivamente esercitata da altri soggetti, né in presenza di delega a uno o più componenti del consiglio di amministrazione, né tantomeno in caso di assunzione di fatto del ruolo di amministratore da parte di un terzo. Pertanto, il soggetto che accetti di ricoprire la carica di amministratore di una società di capitali e poi consenta, con pieno assenso e consapevolezza, che a gestire l’impresa sociale sia di fatto un terzo, è sotto il profilo causale necessario compartecipe e sotto quello giuridico corresponsabile di ogni singolo atto di gestione che abbia lasciato compiere all’amministratore di fatto, e , ove quest’ultimo arrechi un vulnus all’integrità del patrimonio sociale, la responsabilità in relazione a tale evento dannoso risulta ascrivibile, in via solidale, anche all’amministratore di diritto.

20 Settembre 2021

Responsabilità degli amministratori per prosecuzione dell’attività d’impresa nonostante la perdita integrale del capitale sociale e quantificazione del danno

Gli amministratori vengono meno agli obblighi di legge, nel caso in cui, accertata la perdita del capitale sociale, omettano di attivarsi “senza indugio” e, quindi, di convocare l’assemblea dei soci per un aumento del capitale sociale o per porre la società in liquidazione. Gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società e ai creditori sociali quando violano tale dovere.

Il danno derivante da tale inerzia è rappresentato, per i creditori sociali, dall’incremento dell’indebitamento ovvero dall’aggravamento della situazione patrimoniale della società, con conseguente detrimento della prospettiva di soddisfazione per i creditori stessi. Ai fini dell’accertamento del danno e della sua determinazione, il criterio da utilizzare non è quello della differenza fra attivo e passivo accertato in sede fallimentare, ma il criterio differenziale, già elaborato dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità e che, dal 2019, ha ricevuto riconoscimento normativo nell’art. 2486, ultimo comma, c.c. [nel caso di specie il Giudice ha confermato la decisione di primo grado che aveva escluso l’applicazione retroattiva della presunzione di cui al nuovo testo dell’art. 2486 in caso di mancanza delle scritture contabili, ritenendo la disposizione una norma di natura sostanziale della responsabilità].

17 Settembre 2021

Delibera assembleare di rinuncia all’azione di responsabilità: determinatezza dell’oggetto e limiti

La delibera assembleare di una società che contenga l’espressa dichiarazione di volontà di liberare l’amministratore unico da qualsivoglia conflitto di interessi e responsabilità in ordine ad alcune operazioni sociali, al quale aveva preso parte anche in nome e per conto proprio, costituisce una rinuncia pro futuro all’esercizio dell’azione di responsabilità con riferimento alle operazioni oggetto della delibera.

La rinuncia, da parte dell’assemblea, all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (prevista agli artt. 2393, co. 6, c.c. e 2476, co. 5, c.c.), sia essa preventiva o successiva, incontra due limiti invalicabili costituiti dalla determinatezza dell’oggetto della rinuncia e dalla regola dell’art. 1229 c.c., che esclude la validità di patti che esimano preventivamente il debitore da responsabilità dolosa o per colpa grave.

14 Settembre 2021

Obblighi degli amministratori di società in crisi: conflitto tra tutela della par condicio creditorum e gestione conservativa

Quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione – quindi in violazione della par condicio creditorum – costituisce un fatto generativo di responsabilità degli amministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservative dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi. A fronte della crisi ed a maggior ragione dell’insolvenza sub specie di dissesto, il parametro gestorio deve cambiare, essendo da orientare non più a realizzare un lucro ma: (i) al fine esclusivo di conservare il valore e l’integrità del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.; cfr. anche OIC 5, OIC 11 par. 23, 24), cioè in base a criteri diversi da quelli tipici della società in bonis e di salvaguardia della garanzia dei creditori (art. 2740 c.c.); (ii) all’adozione di uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale: piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo (artt. 67 let. d, 160, 182 bis, l.f.). E con l’obbligo di chiedere il fallimento in proprio ove si profili un rischio di incremento del dissesto (art1. 217 n. 4, 224 n. 1 l.f.).

In caso di insufficienza patrimoniale della società, l’obbligo di rispetto della par condicio creditorum deve essere coniugato con gli altri obblighi gestori concorrenti che sorgono in capo agli amministratori, in particolare l’obbligo di gestire in modo conservativo; pertanto, nel conflitto tra obbligo di gestione conservativa e obbligo di rispettare la par condicio creditorum (obblighi che possono convergere o divergere sul piano degli effetti economici), dovrà, secondo criterio generale di proporzionalità ed adeguatezza, prevalere il primo quando si possa ritenere che i relativi debiti sono contratti nell’interesse di tutti i creditori.

Il curatore ha la legittimazione ad esercitare l’azione di responsabilità verso gli amministratori per il danno alla massa dei creditori derivante da pagamenti preferenziali anche in assenza di condotte penalmente rilevanti.

Azione di recupero del credito, efficacia probatoria della delibera di approvazione del bilancio

L’azione proposta dalla s.r.l. in termini di azione di recupero di un credito regolarmente iscritto in bilancio nei confronti del socio nonché ex Amministratore Unico della società, derivante da condotte distrattive da parte di quest’ultimo nei confronti del patrimonio sociale, non può essere qualificata come azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali ex art. 2476 c.c.

La delibera di un’assemblea ordinaria avente ad oggetto l’approvazione del bilancio, ai sensi dell’art. 2364, co. 1, n. 1 c.c., conformemente alla generale vincolatività delle delibere assembleari per tutti i soci, anche dissenzienti, in mancanza di rituale impugnazione, ha piena efficacia vincolante nei confronti di tutti i soggetti legati dal rapporto sociale, e costituisce altresì piena prova del credito che la società vanta nei confronti del singolo socio, atteso che il principio della libera valutabilità da parte del giudice di merito dei libri e delle scritture contabili, e quindi anche del bilancio, dell’impresa soggetta a registrazione, ai sensi dell’art. 2709 c.c., non si estende ai rapporti fra società e socio, per essere agli stessi applicabile, anche con riguardo alle rispettive posizioni debitorie e creditorie, l’indicato principio della vincolatività.

27 Luglio 2021

La giusta causa per la revoca degli amministratori

La «giusta causa» di revoca è nozione distinta sia dal mero «inadempimento», sia dalle «gravi irregolarità» di cui all’art. 2409 c.c.: essa riguarda circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, provocate o no dall’amministratore stesso, che però pregiudicano l’affidamento dei soci nelle sue attitudini e capacità. Il legame di fiducia con la società e, per essa, con i soci, fonda infatti il rapporto di amministrazione, donde la giusta causa è integrata da ogni fatto che sia idoneo a comprometterlo.

La mancata condivisione, da parte dell’assemblea, dei criteri di redazione del bilancio utilizzati dagli amministratori può integrare una giusta causa di revoca, qualora le contestazioni non si appalesino pretestuose e siano tali da incidere sulla corretta rappresentazione del bilancio.

Quando l’amministratore revocato agisce in giudizio contestando la sussistenza della giusta causa e facendo valere il diritto al risarcimento del danno, la posizione sostanziale di attore spetta alla società, onerata della prova della giusta causa di revoca, mentre l’amministratore è il convenuto sostanziale.

20 Luglio 2021

I doveri di controllo e la responsabilità dei sindaci

Il sistema dei controlli nelle società di capitali è un sistema composito che coinvolge una pluralità di soggetti e organi, quali gli amministratori non esecutivi e gli amministratori indipendenti, i sindaci, i revisori, il comitato per il controllo interno, l’organismo di vigilanza di cui al d.lgs. 231/01 e il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nelle società quotate di cui all’art. 154 bis t.u.f., allo specifico fine di ottenere, grazie all’eterogeneità dei controlli, una garanzia rafforzata dell’osservanza delle regole di corretta amministrazione. La particolare conformazione della struttura societaria induce a doveri più intensi, come quando la società sia parte di un gruppo o si tratti di società a ristretta base familiare, soggetta perciò a influenze esterne anche pregiudizievoli.

La responsabilità omissiva del soggetto tenuto, per funzione, ad esercitare un controllo sull’agire di altri è per fatto proprio colpevole, purché si riscontrino la condotta almeno colposa e il nesso di causa con il danno, dovendosi ritenere ormai espunta anche dal diritto civile la responsabilità oggettiva, la responsabilità per fatto altrui o quella da mera posizione.

I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 ss. c.c. sono configurati con particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali; né riguardano solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione. Compito essenziale è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione: dovere del collegio sindacale è di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto.

Ai fini dell’affermazione della responsabilità dei membri degli organi di controllo, è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità. Ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori, ai fini della responsabilità dei primi, secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione dei poteri sindacali avrebbe ragionevolmente evitato l’illecito, tenuto conto di tutte le possibili iniziative che il sindaco può assumere esercitando i poteri-doveri propri della carica, quali: la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403 bis c.c., la segnalazione all’assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l’impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446 e 2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ai sensi dell’art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. ed ogni altra attività possibile ed utile.

Non è sufficiente ad esonerare i sindaci della società da responsabilità, in presenza di una illecita condotta gestoria posta in essere dagli amministratori, la dedotta circostanza di esserne stati tenuti all’oscuro o di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, qualora i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori.

L’obbligo di vigilanza impone – prima ancora che la verifica sulla regolarità formale degli atti e delle relazioni degli amministratori – la ricerca di adeguate informazioni, in particolare da parte dei componenti dell’organo sindacale, la cui stessa ragion d’essere è il provvedere al controllo sulla gestione. Onde sussiste la colpa in capo al sindaco già per non avere rilevato i c.d. segnali d’allarme, individuati dalla giurisprudenza anche nella stessa soggezione della società all’altrui gestione personalistica.

Le dimissioni presentate non esonerano il sindaco di società di capitali da responsabilità, in quanto non integrano un’adeguata vigilanza sull’operato altrui e sullo svolgimento dell’attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perché la diligenza richiesta al sindaco impone, piuttosto, un comportamento alternativo; le dimissioni diventano anzi esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità.

Neppure l’essere stato designato alla carica solo dopo la commissione dell’illecito è di per sé circostanza sufficiente ad esimere il sindaco da responsabilità, in quanto l’accettazione della carica comporta comunque l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo; né la responsabilità per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie viene meno per il fatto imputabile al precedente amministratore, una volta che, assunto l’incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio.

Ai fini dell’esonero dalla responsabilità è necessario invece che i componenti dell’organo di controllo – gravati dal relativo onere probatorio a fronte dell’allegazione dell’inerzia e della prova del fatto illecito gestorio da parte dell’attore – abbiano esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge, fino alla denuncia all’autorità giudiziaria civile e penale, in mancanza delle quali concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge. Anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati; la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l’inerzia del singolo, nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri acquista efficacia causale, dato che, all’opposto, una condotta attiva giova a rompere il silenzio sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione un analogo atteggiamento degli altri.

La responsabilità dell’amministratore di società di capitali per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie a contenere le perdite e per la mancata richiesta di fallimento nonostante la vistosità ed irreversibilità del dissesto non viene meno per effetto della responsabilità del precedente amministratore nell’aver occultato detto stato, una volta che di questo egli abbia avuto contezza.

15 Luglio 2021

Omessa convocazione dell’amministratore in conflitto di interessi e validità della delibera di esclusione

In caso di omessa convocazione del socio-amministratore, non è invalida la delibera di CdA di esclusione dello stesso socio-amministratore per morosità nel versamento dei conferimenti sociali, attesa la posizione di conflitto di interessi in cui egli si trovava, non potendo votare in una deliberazione avente ad oggetto la sua esclusione.

 

13 Luglio 2021

Il difetto di informazione degli amministratori sulla gestione della società

Il difetto di informazione può condurre all’illegittimità della delibera del consiglio. L’art. 2381 c.c. disciplina i flussi informativi all’interno del consiglio, imponendo in capo al presidente del C.d.a., agli organi delegati e, in generale, agli amministratori il dovere di informare ed essere informati. L’obiettivo della citata disposizione è quella di consentire la trasparenza delle decisioni del consiglio e la possibilità, per ogni amministratore, di adempiere al proprio dovere di “agire in modo informato”. In relazione a questo dovere, viene conferita ad ogni amministratore la facoltà di chiedere agli organi delegati che vengano fornite informazioni relative alla gestione della società, anche se non è previsto per i membri del c.d.a., qualora non si ritengano sufficientemente informati, il diritto – espressamente riservato ai soci dall’art. 2374 c.c. – di ottenere il rinvio della seduta del consiglio. La differenza, che è di diritto positivo, forse, trova la sua giustificazione nel fatto che i membri del c.d.a., hanno maggiore accesso alle informazioni societarie rispetto ai soci.

Dunque, una deliberazione assunta in modo non trasparente e non informato costituisce una deliberazione che non è presa in conformità della legge ed è, quindi, annullabile.

8 Luglio 2021

Azione esercitata dal curatore fallimentare: responsabilità dell’amministratore e del socio di s.r.l.

L’amministratore di società a responsabilità limitata è responsabile in relazione ad ogni accadimento che investa il valore dell’attivo non rinvenuto dal fallimento e pertanto ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.

Giacché l’art. 2476, co. 8 c.c. postula un legame di solidarietà passiva tra amministratore e socio, il socio non amministratore, responsabile della decisione o dell’autorizzazione a compiere un determinato atto dannoso, può esser chiamato a rispondere per danni cagionati alla società o a terzi soltanto se sia configurabile anche una responsabilità dell’amministratore.