Sostituzione di delibera invalida, finanziamento soci e versamento in conto capitale
L’art. 2377 c.c. si risolve in una ricognizione dell’effetto sostitutivo di delibere successive a quella impugnata dal socio, effetto di per sé comportante il venir meno della utilità della impugnazione per l’attore, la delibera impugnata essendo già stata privata di effetti dalla sua sostituzione endo-societaria. Vero è poi che ex art. 2377 c.c. tale effetto sostitutivo può dirsi realizzato solo laddove la seconda delibera sia stata presa in conformità della legge e dello statuto, vale a dire sia stata presa validamente: ma anche questa precisazione contenuta nella norma va coordinata con il sistema di efficacia degli atti endo-societari e in particolare delle delibere assembleari, le quali, secondo il principio di cui al primo comma sempre dell’art. 2377 c.c., se prese in conformità della legge e dello statuto, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti, la loro eventuale invalidità essendo poi accertabile in sede giudiziale solo a mezzo di impugnazione soggetta ai limiti temporali e di legittimazione previsti ancora dall’art. 2377 c.c. e dagli artt. 2379, 2379 ter e 2434 bis c.c., con la conseguenza che le delibere assembleari la cui invalidità non sia stata azionata attraverso specifica impugnazione rimangono di per sé efficaci nell’ambito endo-societario.
Se il socio impugnante la prima delibera non ha impugnato anche la delibera sostitutiva questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endo-societario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito la invalidità in sede processuale, con il che viene meno l’interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endo-societario del deliberato censurato con altro comunque efficace. Pertanto, nel giudizio relativo all’impugnazione della prima delibera non può trovar luogo alcuna valutazione delle eccezioni relative all’invalidità della delibera sostitutiva che non sia stata a sua volta impugnata, tale valutazione essendo assorbita dalla constatazione del venir meno dell’interesse ad agire dell’attore: la valutazione ex art. 2377, co. 8, c.c. del giudice della prima impugnazione deve invece limitarsi alla verifica dell’effettiva portata sostitutiva della seconda delibera, vale a dire della effettiva rimozione del contenuto della prima da parte della seconda disponente sul medesimo oggetto.
La prestazione dell’amministratore non può essere assimilata a quella di un lavoratore subordinato o parasubordinato ovvero di un prestatore d’opera, non essendo essa soggetta ad alcun coordinamento o eterodirezione, neppure da parte dell’assemblea dei soci. Il rapporto tra la società e l’amministratore va, infatti, ricondotto nell’ambito dei rapporti societari cui fa riferimento l’articolo 3, co. 2, lett. a, d.lgs. 168 del 2003. Da tale inquadramento del rapporto negoziale deriva l’inapplicabilità dell’art. 36 Cost. e la conseguente natura derogabile del diritto al compenso spettante all’amministratore.
Per determinare se ci si trovi di fronte a un finanziamento o a un versamento in conto capitale non assume rilevanza determinante la voce in cui le somme sono state iscritte nel bilancio sociale, in quanto sono le scritture contabili a dover rappresentare fedelmente la realtà fattuale e giuridica dei rapporti sociali, e non viceversa; in altre parole, l’iscrizione a bilancio di un debito inesistente non può far nascere tale passività se manca un suo titolo giustificativo. Piuttosto, la prova del titolo in forza del quale la somma è stata erogata deve trarsi dalla ricostruzione della volontà negoziale come emerge dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.
Responsabilità degli amministratori di s.r.l. per omesso pagamento delle imposte
L’amministratore della società è onerato dell’adempimento degli obblighi fiscali formali e sostanziali, assistiti da sanzioni amministrative e penali, che gravano sulla società amministrata. Quando l’amministratore sia inadempiente all’assolvimento degli obblighi fiscali formali e sostanziali e tale inadempimento abbia determinato l’irrogazione di sanzioni a carico della società, egli risponde, verso la società stessa, del pregiudizio che il suo comportamento le ha causato. Tale pregiudizio è pari all’ammontare di sanzioni, interessi e aggi, non rispondendo invece l’amministratore per l’omesso pagamento del debito per l’imposta, che è in ogni caso imputabile soltanto alla società. L’amministratore risponde di questo danno sia per gli inadempimenti occorsi nel periodo in cui la società era in bonis – poiché, in tal caso, il pregiudizio subito dalla società dipende proprio e soltanto dalla negligenza dell’amministratore nell’adempiere ai doveri sopra indicati –, sia per gli inadempimenti occorsi nel periodo in cui, perduto il capitale, l’attività della società è illegittimamente proseguita a fini non conservativi. In tal caso, infatti, il danno alla società è dovuto al fatto che l’amministratore ha proseguito illegittimamente l’attività economica della società così determinando il verificarsi dei presupposti per l’insorgere dei debiti fiscali poi non onorati.
Risoluzione dei patti parasociali
La risoluzione dei c.d. patti parasociali è giustificata da gravi inadempimenti contrattuali e comportamenti non conformi agli obblighi fiduciari dell’amministratore. Inoltre, qualsiasi domanda riconvenzionale correlata, con la quale vengono vantati dei diritti può essere considerata valida – e accolta – nella misura in cui venga provata la sussistenza di tali diritti vantati.
La responsabilità per danni diretti ex art. 2395 c.c. e onere probatorio
L’art. 2395 c.c. costituisce la norma di chiusura del sistema codicistico della responsabilità civile degli amministratori di società di capitali, la cui applicazione richiede la verifica in ordine alla sussistenza di fatti illeciti imputabili agli amministratori stessi, vale a dire di comportamenti dolosi o colposi cui siano riconducibili in via immediata i danni derivati direttamente nel patrimonio del socio o del terzo, secondo le regole in tema di responsabilità extracontrattuale. In specie, l’azione individuale prevista dalla norma in commento postula la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio o del terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società. Orbene, la responsabilità dell’amministratore nei confronti del terzo non scaturisce dal mero inadempimento contrattuale posto in essere nella gestione della società e ad essa imputabile, bensì deve concretizzarsi in un’ulteriore azione degli amministratori costituente illecito extracontrattuale, direttamente lesiva di un diritto soggettivo patrimoniale del terzo. Costituisce, dunque, illecito rilevante ai sensi dell’art. 2395 c.c. ogni fatto, doloso o colposo, commesso dagli amministratori in occasione dell’esercizio delle loro funzioni gestorie, che rechi al terzo un danno ingiusto tale da riverberarsi direttamente nel suo patrimonio.
Trattandosi di responsabilità aquiliana, il terzo danneggiato è onerato della prova dei presupposti, soggettivi e oggettivi, di tale responsabilità. Tanto premesso, l’accoglimento dell’azione risarcitoria proposta a norma dell’art. 2395 c.c. richiede l’accertamento non solo della condotta contra legem ma anche, al pari di ogni altra azione risarcitoria, l’allegazione e prova del danno lamentato e del nesso causale intercorrente tra questo e la condotta stessa.
Tra le condotte contra legem suscettibili di generare responsabilità in capo agli amministratori e alla società vi è la propalazione di informazioni false o incomplete o comunque decettive in ordine alla situazione economico-patrimoniale della società stessa, informazioni in base alle quali il socio o il terzo abbiano determinato proprie scelte di investimento, o disinvestimento, relative alla società stessa, quali acquisti di partecipazioni da altri soci, vendite di partecipazioni, sottoscrizioni di aumenti di capitale, ecc.
In presenza di una domanda risarcitoria ex art. 2395 c.c., incombe sul terzo danneggiato l’onere di provare, sulla scorta del principio del “più probabile che non”, la ricorrenza delle falsità e l’idoneità della prospettazione non veritiera a trarre in inganno il contraente, di fatto determinando la conclusione del contratto. In particolare, incombe sull’acquirente l’onere di allegare e dimostrare che per effetto della rappresentazione illegittima della situazione patrimoniale ed economica contenuta nel bilancio, egli abbia acquistato le azioni di quella società.
La remunerazione degli amministratori nelle società di capitali
Il rapporto intercorrente tra la società di capitali ed il suo amministratore è di immedesimazione organica e ad esso non si applicano né l’art. 36 Cost. né l’art. 409, comma 1, n. 3) c.p.c. in quanto i compiti che la società affida al suo amministratore riguardano la gestione stessa dell’impresa, costituita da un insieme variegato di atti materiali, negozi giuridici ed operazioni complesse. Di conseguenza, l’onerosità dell’incarico non ha carattere inderogabile e, quella sancita all’art. 1709 c.c, è una presunzione iuris tantum idonea a fondare la pretesa al compenso, fintantoché non si dimostri che le parti abbiano invece convenuto di dare luogo ad un rapporto a titolo gratuito.
Ai fini di individuare come sia regolamentato il rapporto della società con l’amministratore sotto il profilo economico occorre fare riferimento in primo luogo allo Statuto a cui l’amministratore, nell’accettare la nomina, necessariamente aderisce, fermo restando che in presenza di gratuità dell’incarico, ovvero di compenso statutariamente subordinato alla volontà assembleare, l’amministratore ben può non accettare la nomina.
Obblighi e responsabilità del liquidatore
La causa di sospensione del decorso della prescrizione prevista per gli amministratori dall’art. 2941, n. 7, c.c. è applicabile anche ai liquidatori, tenuto conto che l’incarico di liquidatore, al pari di quello dell’amministratore, è universalmente ricondotto alla figura del mandato e che, dunque, anche per esso è ravvisabile la ragione sottostante alla causa di sospensione ora in esame, che riposa sul carattere fiduciario che caratterizza tali rapporti, come tale ostativo all’azione.
Ai sensi dell’art. 2489 c.c., il liquidatore ha il potere/dovere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società e deve adempiere i suoi doveri con la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell’incarico, rispondendo per gli eventuali danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori. Il liquidatore è chiamato a compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società in modo da evitare la dispersione del patrimonio della società e liquidare al meglio per ripartire l’attivo tra i soci dopo il soddisfacimento dei creditori sociali secondo il grado di preferenza di ciascuno. La sua responsabilità è retta dai medesimi principi che regolano la responsabilità degli amministratori, in forza dell’espresso richiamo operato dall’art. 2489 c.c. Tali doveri possono condensarsi nel generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro, in pari tempo: (i) di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione durante la liquidazione del principio della par condicio creditorum; (ii) di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.
La violazione degli obblighi gravanti sui liquidatori, e quindi l’accertamento dell’inadempimento degli obblighi a costoro imposti dalla legge e/o dallo statuto, costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente, per affermare la loro responsabilità risarcitoria. Infatti, sono necessarie la prova del danno, ossia del deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, e la diretta riconducibilità causale del danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori o liquidatori.
Posta senza ritardo la società in liquidazione, la responsabilità del liquidatore sorge se cagiona un danno ai creditori non adempiendo ai propri doveri di compiere con diligenza tutti gli atti utili alla liquidazione come dispone l’art 2489 c.c. o se nel pagamento dei creditori sociali, in mancanza di attivo per soddisfare tutto il ceto creditorio, non rispetta la par condicio creditorum ex art 2471 c.c. Dunque, se la liquidazione si conclude con il mancato soddisfacimento di parte del ceto creditorio non per questo sorge responsabilità dell’amministratore che abbia tempestivamente rilevato la causa di scioglimento e del liquidatore che abbia compiuto con la diligenza richiesta la liquidazione del patrimonio sociale. Responsabilità che potrebbe sussistere per il liquidatore nell’ipotesi di compimento di atti non meramente conservativi, come impone l’art. 2486, co. 1, c.c., nel compimento non diligente e non tempestivo delle attività di liquidazione o, in una situazione patrimoniale della società inidonea al soddisfacimento di tutti i creditori, per aver provveduto al pagamento solo di alcuni creditori disattendendo quanto dispone l’art 2471 c.c.
Il socio di fatto nelle società di capitali. L’atto costitutivo non è interpretabile secondo l’intenzione dei contraenti
La società di fatto si ha quando la costituzione del rapporto non risulta da una prova scritta e questa non sia richiesta dalla legge ai fini della validità del rapporto sociale. Se è così, non è predicabile l’esistenza della figura del socio cofondatore o del socio di fatto all’interno di una società si capitali, giacché il legislatore richiede per la costituzione di questa tipologia di enti e per l’acquisto della qualità di socio delle formalità e delle attività che non sono surrogabili per fatti concludenti.
Le formalità imposte per la costituzione della società e per l’acquisto della qualità di socio sono richieste per ragioni di certezza del traffico giuridico e di tutela dei terzi. Tipo e scopo sociale, una volta compiute le formalità di legge, sono quelle che emergono dal sistema di pubblicità, con la conseguenza che l’atto di costituzione dell’ente non può più essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti e resta consacrato nei termini in cui risulta iscritto ed è portato a conoscenza dei terzi: le esigenze di tutela di questi ultimi assumono dunque prevalenza e rendono irrilevante la fase negoziale che ha dato luogo alla nascita del nuovo soggetto giuridico, che vive di vita propria, agisce e risponde dei propri atti in via autonoma, quale che sia stata la volontà dei soci sottostante alla formazione del contratto.
L’amministratore di fatto è un istituto concepito al fine di estendere il regime di responsabilità civile e penale previsto per gli illeciti gestori degli amministratori di diritto al soggetto che, pur senza rivestire formalmente tale qualità, si ingerisca con una certa stabilità e continuità nella gestione della società. L’amministratore di fatto non ha alcuna aspettativa giuridicamente tutelata alla conservazione della sua carica, in quanto è privo di una formale investitura proveniente dall’assemblea e, in assenza di tale adempimento, non è nemmeno logicamente configurabile una revoca ai sensi dell’art. 2383 c.c.
Sequestro conservativo nei confronti dell’amministratore di s.r.l.
La natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore sociale implica, in tema di onere della prova, che la società alleghi l’inadempimento degli obblighi gestori in capo all’amministratore, primo tra tutti l’obbligo di conservazione del patrimonio sociale, nonché alleghi e provi il danno e il nesso causale rispetto all’inadempimento, danno che, in caso di atti distrattivi, consisterà nella perdita patrimoniale cagionata dalla relativa sottrazione imputabile all’organo amministrativo. L’amministratore convenuto dovrà, invece, allegare e provare di avere adempiuto agli obblighi conservativi del patrimonio della società e, quindi, che gli atti di disposizione patrimoniale compiuti siano stati adottati nell’interesse della società, oppure di non aver potuto adempiere a detti obblighi conservativi per fatto non imputabile.
Il requisito del periculum in mora per la concessione di un sequestro conservativo richiede la prova di un fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito. Requisito desumibile, alternativamente, sia da elementi oggettivi, riguardanti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati invece da comportamenti del debitore che lascino presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, egli possa porre in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio. Il periculum in mora può essere riconosciuto esistente innanzitutto quando sussista una condizione oggettiva di inadeguata consistenza del patrimonio del debitore stesso in rapporto all’entità del credito.
Operazione in conflitto di interessi e rimborso dei finanziamenti soci
Ai fini della configurabilità dell’esistenza di un conflitto di interessi tra la società e il suo amministratore occorre accertare in concreto l’esistenza di un interesse dell’amministratore incompatibile, contrastante e inconciliabile con quello della società dal medesimo amministrata, non rilevando quale elemento sufficiente la circostanza che l’amministrazione delle due controparti contrattuali sia in capo alla stessa persona. La mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle contrapposte parti contrattuali non costituisce, invero, circostanza ed elemento sufficiente per la configurazione di un conflitto di interessi.
In caso di azione giudiziale del socio per la restituzione del finanziamento effettuato in favore della società, il giudice del merito deve verificare se la situazione di crisi prevista dall’art. 2467, co. 2, c.c. sussista, oltre che al momento della concessione del finanziamento, anche a quello della decisione, trattandosi di fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento rilevabile dal giudice d’ufficio, in quanto oggetto di un’eccezione in senso lato, sempre che la situazione di crisi risulti provata ex actis, secondo quanto dedotto e prodotto in giudizio.
Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull’ordine di soddisfazione dei crediti. L’effetto della postergazione è automatico, non dipendendo da una conoscenza effettiva dello stato della società o dall’intenzione delle parti, e impone al giudice, richiesto del rimborso, di accertare, sulla base delle risultanze processuali in atti, se la situazione sociale ricada in una delle fattispecie ex art. 2467 c.c., co. 2, c.c. L’eccessivo squilibrio nell’indebitamento o la situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento, da verificare sia al momento del prestito, sia della richiesta di rimborso e, quindi, in caso di controversia, della decisione giudiziale, costituiscono fatto impeditivo del diritto al rimborso oggetto di eccezione in senso lato.
Responsabilità dell’amministratore per operazioni compiute in conflitto d’interessi
Il regime della responsabilità dell’amministratore delineata dall’ordinamento non ha valenza meramente sanzionatoria della violazione formale degli obblighi e doveri derivanti dalla carica, ma richiede che dalla loro comprovata inosservanza sia derivato alla società un effettivo pregiudizio economico. La conclusione di contratti di fornitura da parte della società con una società terza facente parte di un contratto di associazione in partecipazione con un’altra società di cui l’amministratore della prima è amministratore e socio unico non costituisce operazione in conflitto d’interessi, in quanto è da escludere che un interesse economico indiretto così vagamente prospettato possa rilevare ai fini della configurazione in concreto di un conflitto di interessi tra l’amministratore e la società rappresentata che, come noto, presuppone un contrasto tale tra gli obiettivi perseguiti da non consentire al soggetto che agisce di soddisfare l’uno senza sacrificare l’altro.