L’onere della prova nel giudizio di responsabilità contro l’amministratore per atti distrattivi del patrimonio sociale
Nell’ambito del giudizio per il risarcimento del danno instaurato dalla curatela fallimentare contro l’amministratore della società fallita per il compimento di atti di distrazione del patrimonio sociale, operano le regole in tema di riparto dell’onere probatorio secondo cui: “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento mentre, chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto, deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda (art 2697 cc)”, di talché è ormai consolidato principio giuridico per cui: “il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo/costituito dall’adempimento” (Cassazione civile, Sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533).”
A tal fine, l’amministratore convenuto che affermi che le somme distratte abbiano natura di rimborso per somme anticipate a favore della società da parte di un terzo, beneficiario delle attività distrattive, è tenuto a fornire la prova in giudizio del rapporto negoziale esistente tra la società e il terzo rimborsato. Pertanto, la mera produzione di assegni indirizzati a possibili fornitori della società fallita, nonché degli estratti conto del pagamento realizzato dall’amministratore per conto della società non possono essere ritenuti idonei a giustificare l’operato dell’amministratore.
Amministratore di fatto
Affinché un soggetto possa considerarsi inserito nell’organizzazione societaria quale amministratore di fatto è necessaria una ingerenza nella gestione sociale che presenti caratteri di sistematicità e completezza e, pertanto, che non si esaurisca nel compimento di atti eterogenei ed occasionali. Ne consegue che l’impedimento dell’amministratore di diritto allo svolgimento della propria funzione, così come la mera sottoscrizione di assegni sui conti della società, non sono di per sé idonei a provare un’ingerenza sistematica e continuativa nell’attività gestoria mediante l’esercizio dei poteri propri dell’amministratore c.d. “di diritto”.
Onere della prova dell’amministratore ai sensi dell’art. 146 l. fall.
In tema di azione di responsabilità ex art. 146 della Legge Fallimentare, gli amministratori – anche di fatto – che hanno indebitamente maneggiato i fondi sociali non possono contestare genericamente la pretesa del curatore, bensì devono difendersi nel merito dimostrando specificatamente i fatti estintivi di tale domanda, deducendo in modo adeguato la causa che ha giustificato l’utilizzo i tali fondi.
Annullabile il contratto stipulato dall’amministratore di s.r.l. per la compravendita, in favore dei suoi parenti, di un immobile della società ove il bene sia venduto ad un prezzo inferiore a quello di mercato
Nell’azione di annullamento del contratto concluso dall’amministratore in conflitto di interessi con la società rappresentata , affinché sussista il predetto conflitto quale causa di annullamento ai sensi dell’art. 2475-ter, comma 1 c.c., è necessario che il rappresentante persegua interessi personali (o anche di terzi) inconciliabili con quelli del rappresentato, cosicché all’utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante segua, o possa seguire, il danno del rappresentato.
Il rapporto d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante deve essere dimostrato – non in modo astratto o ipotetico ma – con riferimento al singolo atto o negozio che, per le sue intrinseche caratteristiche, consenta la creazione dell’utile di un soggetto mediante il sacrificio dell’altro; deve essere inoltre riscontrabile al momento perfezionativo del contratto, restando irrilevanti evenienze successive eventualmente modificative dell’iniziale convergenza di interessi.
In caso di contratto di compravendita concluso dall’amministratore per l’alienazione di un bene immobile della società rappresentata, costituiscono elementi indiziari utili a suffragare la sussistenza di un conflitto di interessi rilevante ai sensi dell’art. 2475-ter c.c. il considerevole divario tra il valore di mercato del bene venduto dal rappresentante e il prezzo pagato dall’acquirente, nonché la comunanza di interessi tra l’amministratore e terzo, fondata su rapporti parentali.
Poiché l’effetto tipico della rappresentanza negoziale è la produzione di effetti esclusivamente nella sfera giuridica del rappresentato, l’azione di annullamento di cui all’art. 2475-ter, comma 1 c.c. non riguarda i rappresentati bensì solo le parti sostanziali del rapporto contrattuale. Ne discende che l’amministratore che abbia agito in conflitto di interessi con la società rappresentata è carente di legittimazione passiva ed è privo dell’interesse a contraddire sulla domanda volta ad ottenere la caducazione degli effetti del contratto tra rappresentato e terzo, tranne nel caso in cui il rappresentato agisca per il risarcimento de danni nei confronti del procurator che abbia abusato dei suoi poteri rappresentativi.
(Nel caso di specie, il Tribunale di Cagliari ha preliminarmente dichiarato la carenza di legittimazione passiva dell’amministratore convenuto che aveva concluso il contratto di compravendita per l’alienazione di un bene della società rappresentata e, ritenendo fondate le domande della società attrice, ha annullato il predetto contratto ai sensi dell’art. 2475-ter c.c., dovendosi ritenere dimostrato il conflitto di interessi sulla base del rapporto di parentela intercorrente tra l’amministratore e le controparti contrattuali e del considerevole divario tra il valore di mercato del bene venduto e il corrispettivo stabilito nel contratto).
Congruità del compenso dell’amministratore e divieto di concorrenza al socio uscente
La delibera che determina il compenso dell’amministratore è legittima se il compenso, pur generoso, è in conformità alla precedente prassi della società.
In assenza di espresso divieto nello statuto o nell’atto di cessione, [ LEGGI TUTTO ]
La determinazione del danno cagionato dalle condotte degli amministratori: il possibile ricorso al criterio della differenza tra attivo e passivo
In caso di esercizio da parte del curatore fallimentare delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori ex artt. 2393 e 2394, si applicano i principi comuni in materia di responsabilità contrattuale e pertanto parte attrice, una volta individuata la fonte del proprio diritto, può limitarsi ad allegare l’inadempimento del convenuto, il quale dovrà per contro provare il proprio adempimento. Occorre che l’inadempimento sia specificamente allegato, specie ai fini della determinazione del danno che si asserisce esserne conseguenza.
La determinazione del danno cagionato dalle condotte contestate, può automaticamente ricondursi alla condotta dell’amministratore l’intero deficit patrimoniale solo laddove siano intercorse delle violazioni del dovere di diligenza tanto generalizzate da far ritenere che siano state proprio dette condotte a comportare l’erosione del patrimonio sociale. A riguardo, la mancata tenuta delle scritture contabili, sebbene precluda la possibilità per il curatore di ricostruire le vicende societarie genetiche della perdita, non consente di imputare l’intero deficit patrimoniale all’amministratore. In tale caso, ovverosia ogniqualvolta la mancanza delle scritture contabili non renda possibile accertare il danno derivante dagli inadempimenti contestati agli amministratori, si ammette il ricorso al criterio della differenza tra attivo e passivo al fine di quantificare il danno in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c..
Metodo del differenziale dei netti patrimoniali e dispersione di beni sociali
Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa, l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un nesso di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento.
Sui termini di prescrizione di cui agli artt. 2947, comma 3, e 2949 c.c.
La disciplina di cui all’art. 2947, comma 3, c.c. va riferita sia al danno da fatto illecito contrattuale che a quello extracontrattuale, purché sia considerato dalla legge come reato (cfr. Cass. n. 16314/2017) e la sua applicazione prescinde dalla effettiva promozione o meno di processo penale per i fatti in discussione in sede civile, essendo demandato al giudice civile l’accertamento incidenter tantum della configurabilità come reato delle condotte poste a base della domanda risarcitoria (cfr. Cass. n. 27337/2008). [ LEGGI TUTTO ]
Estinzione del procedimento di accertamento della responsabilità dell’amministratore per mancata integrazione del contraddittorio
Il termine concesso dal giudice per l’integrazione del contraddittorio nei casi previsti dall’art. 102 c.p.c. ha natura perentoria e non può essere né innovato, né prorogato ai sensi dell’art. 153 c.p.c., sicché, [ LEGGI TUTTO ]
Inammissibilità del ricorso per revocazione straordinaria
Ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione per revocazione straordinaria, ai sensi dell’art. 395, n. 3, c.p.c., è necessario non solo il rispetto dei termini di cui agli art. 325 e 326 c.p.c., ma anche che la parte indichi nel ricorso sia le ragioni che hanno impedito all’istante di produrre i documenti rinvenuti in ritardo sia quelle relative alla decisività dei documenti stessi, incombendo sulla parte che si sia trovata nell’impossibilità di produrre i documenti decisivi nel giudizio di merito, l’onere di provare che l’ignoranza dell’esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava non è dipesa da colpa o negligenza, ma dal fatto dell’avversario o da causa di forza maggiore.
È inammissibile l’impugnazione per revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 3, c.p.c., quando la parte abbia recuperato tardivamente il documento decisivo per fatto imputabile a sua negligenza.