Esclusione di responsabilità dell’amministratore di S.r.l.
L’azione di responsabilità esercitata da una s.r.l. nei confronti dell’ex amministratore unico, ai sensi dell’art. 2476 c.c., quantomeno nei rapporti con la società ed i soci, ha natura contrattuale e risponde, per ciò, ai canoni e alla disciplina di cui all’art. 1218 c.c. Ai sensi della disposizione da ultimo citata, la presunzione di responsabilità posta, ex lege, a carico del debitore (nella specie, l’amministratore), può essere da quest’ultimo superata dimostrando di aver adempiuto, con la diligenza richiesta, ex art. 1176 c.c., dalla natura dell’obbligazione, ovvero di non avervi potuto adempiere per fatto a lui non imputabile (c.d. prova liberatoria). Con più specifico riferimento agli obblighi inerenti, per legge e statuto, alla carica di amministratore di società di capitali, gravano sull’organo di gestione, in ragione della carica rivestita, tanto il dovere di curare l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, quanto il dovere di agire, a tal fine, in modo informato, nel prioritario interesse della società. Gli amministratori, quindi, devono adempiere ai doveri ai medesimi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, e, per ciò, essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri.
Bancarotta degli amministratori delle società di un gruppo e responsabilità verso i fallimenti delle controllate
I limiti all’insindacabilità del merito gestorio
In nessun caso è dato sindacare il merito gestorio, ossia le singole scelte amministrative e gestionali, purché rette da criteri di ragionevolezza. L’obbligazione contratta dall’amministratore, come pure del liquidatore, è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.
Responsabilità dell’amministratore per gestione appropriativa delle risorse societarie
Conflitto di interesse degli amministratori di s.r.l. e difetto di rappresentanza
Ai fini dell’applicabilità del rimedio di cui all’art. 2475 ter c.c., dettato in tema di conflitto di interesse degli amministratori di una società a responsabilità limitata, è necessario che: (i) il conflitto di interessi sorga nel momento genetico-negoziale di un determinato atto, quando cioè l’amministratore, in relazione a una specifica operazione, si faccia concretamente portatore di un interesse personale, contrapposto e inconciliabile con quello della società, o comunque idoneo a cagionarle un pregiudizio tale per cui la creazione dell’utile per il primo si ottiene mediante il sacrificio della seconda; (ii) sia riscontrato un pregiudizio all’interesse sociale; (iii) la situazione di conflitto sia conosciuta o conoscibile da parte del terzo, contraente con la società.
In assenza di una partecipazione dolosa del terzo, determinato dall’esigenza di danneggiare la società avvalendosi della limitazione stabilita dall’art. 2475 bis c.c., l’inopponibilità ai terzi delle limitazioni convenzionali ai poteri degli amministratori, ancorché pubblicate, determina come conseguenza il fatto che l’eventuale inosservanza di dette limitazioni non potrà incidere sulla validità e l’efficacia degli atti compiuti, essendo questi inattaccabili e incontestabili nei rapporti con i terzi, ma potrà rilevare unicamente nei rapporti interni per esporre l’amministratore a responsabilità verso la società.
L’azione sociale di responsabilità nella s.r.l.; l’amministratore di fatto
L’azione sociale di responsabilità di cui all’art. 2476, co. 3 c.c., ha natura contrattuale, derivando dall’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero dall’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. Ne consegue che, mentre sulla società attrice grava l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (che costituiscono obbligazioni di mezzi e non di risultato), il pregiudizio sofferto e il nesso eziologico tra l’inadempimento e il danno, incombe, per converso, sull’amministratore l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi posti a suo carico.
L’accettazione del mandato gestorio comporta per l’amministratore l’obbligo di attivarsi affinché i beni e le risorse di pertinenza della società vengano destinati al perseguimento dei fini sociali e non siano in altro modo distratti o distolti. Inoltre, per gli amministratori di s.r.l., al pari di quelli di s.p.a., è richiesta non la generica diligenza del mandatario di cui all’art. 1710 c.c., cioè quella tipizzata nella figura dell’uomo medio, ma quella desumibile in relazione alla natura dell’incarico ed alle specifiche competenze, cioè quella speciale diligenza prevista dall’art. 1176, co. 2, c.c. per il professionista. Pertanto, non vale ad escludere la responsabilità per i danni derivanti da mala gestio invocare la natura meramente formale della carica di amministratore o asserire di aver ottemperato alle istruzioni di terzi, rappresentando, piuttosto, tale aspetto manifestazione di una negligente esecuzione del contratto. Anzi, l’inerzia dell’amministratore di diritto, l’omesso espletamento delle attività di controllo e la mancata opposizione alla distrazione di risorse sociali da parte di terzi fondano di per sé la responsabilità dell’amministratore, essendo il medesimo gravato dal dovere di preservare l’integrità del patrimonio sociale e la destinazione dello stesso all’attività di impresa. Ne consegue che il cosiddetto amministratore di comodo (o “testa di legno”) non può invocare tale sua posizione, per essere ritenuto indenne da responsabilità conseguente ad atti di mala gestio compiuti o, comunque, non impediti dal medesimo. Infatti, anche in presenza di un co-amministratore di fatto vale il principio di portata generale secondo cui in ogni caso gli amministratori sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
La figura dell’amministratore di fatto ricorre quando un soggetto, pur non essendo formalmente investito della carica, si ingerisce nell’amministrazione dell’ente, esercitando di fatto i poteri concernenti la gestione della società. Più specificamente, la figura dell’amministratore di fatto sussiste, laddove ricorrano le seguenti condizioni: (i) assenza di una valida investitura assembleare; (ii) attività espletata in via continuativa e non meramente occasionale; (iii) esercizio di funzioni riservate agli amministratori di diritto; (iv) autonomia decisionale rispetto agli amministratori di diritto. È amministratore di fatto chi, da solo o insieme all’amministratore di diritto, gestisce la società, in assenza di un valido titolo ed esercitando sistematicamente un potere analogo a quello spettante agli amministratori di diritto.
Sulla responsabilità degli amministratori di s.r.l.
L’amministratore di diritto non può invocare una esenzione da responsabilità per essere stato tenuto all’oscuro della gestione societaria e per aver assunto la funzione di amministratore esclusivamente per finalità extra-sociali. Gravano infatti sull’amministratore obblighi di corretta gestione societaria, di conservazione del patrimonio sociale, di tutela degli interessi dei creditori. Indipendentemente dai motivi sottesi alla assunzione della carica, l’amministratore della società assume la titolarità dei doveri e degli obblighi previsti dalla legge (art. 2392 c.c., 2476 c.c., 2485 c.c.), dovendo vigilare sulla corretta gestione societaria e adottare le misure necessarie a contenere il dissesto societario e la perdita del capitale sociale.
L’azione sociale di responsabilità degli amministratori: natura e oneri conseguenti
L’azione sociale di responsabilità degli amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, trovando la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo.
La norma di cui all’art. 2476 c.c. struttura una responsabilità degli amministratori in termini colposi, tanto emergendo chiaramente sia dal richiamo alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione della stessa in termini oggettivi) sia dalla circostanza che la medesima disposizione codicistica consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa.
La responsabilità risarcitoria dell’amministratore va riconnessa non ad una qualunque condotta illecita od omissione delle cautele ed iniziative dovute per legge e per statuto, ma solo a quelle condotte di mala gestio che, oltre ad integrare violazione degli obblighi gravanti sull’amministratore in forza della carica rivestita, risultino, altresì, foriere di danni per il patrimonio sociale.
Illegittima prosecuzione dell’attività sociale
In presenza di una causa di scioglimento della società per perdite, al fine di ritenere sussistente la condotta di mala gestio in capo agli amministratori, è necessario che (i) il capitale sociale sia sceso sotto il minimo di legge; (ii) gli amministratori si siano accorti di tale circostanza o se ne potevano accorgere utilizzando la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze; (iii) gli amministratori abbiano omesso di convocare senza indugio l’assemblea finalizzata alla ricapitalizzazione o trasformazione della società, ovvero, se l’assemblea si è tenuta, non siano state adottate delibere tali da consentire la prosecuzione dell’attività sociale e gli amministratori non abbiano iscritto la causa di scioglimento e la messa in liquidazione della società; (iv) gli amministratori, pur conoscendo la perdita del capitale e non avendo adottato gli adempimenti conseguenti, abbiano compiuto nuove operazioni generative di danno per la società; (v) l’attività proseguita in un’ottica non conservativa abbia prodotto dei danni alla società o ai creditori, depauperando il patrimonio sociale.
La liquidazione del danno subito dalla società per effetto della illegittima protrazione dell’attività imprenditoriale della società è quantificata utilizzando il criterio della “differenza dei patrimoni netti”, in virtù del quale il danno viene calcolato come differenza tra i patrimoni netti individuati nel momento in cui si verifica la causa di scioglimento e nel momento del passaggio alla fase di liquidazione. In questo modo, si addebita all’amministratore la sola perdita incrementale, essendo il pregiudizio per la società configurabile come incremento del deficit patrimoniale.