Imputazione a riserva degli utili e abuso di maggioranza
L’aspettativa alla distribuzione di utili discende dalla natura stessa del contratto di società, in cui l’esercizio in comune di un’attività economica è attuato precisamente allo scopo di dividerne gli utili, ai sensi dall’art. 2247 c.c.; tuttavia, la dichiarazione di abusività della delibera sulla distribuzione degli utili costituisce una extrema ratio nell’ambito del sistema societario, pena la pretermissione del metodo maggioritario, che del primo rappresenta architrave fondante. L’interesse del socio di società di capitali alla distribuzione di utili deve infatti essere contemperato con l’interesse della società, i cui organi sono liberi di decidere in merito alle scelte fondamentali della vita sociale, qual è la destinazione dei profitti rinvenienti dall’attività caratteristica.
Il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di società impone di sanzionare con l’annullamento la delibera che sia priva di una qualsiasi utilità per la società e che contestualmente arrechi un danno al socio di minoranza, in assenza di una ragione giustificatrice, segno dell’intento deliberato dei soci di maggioranza di ledere i diritti degli altri soci.
Sopravvenuta carenza di interesse ad agire per mancata impugnazione della delibera sostitutiva di quella invalida
Se il socio impugnante la prima delibera non ha impugnato anche la delibera sostitutiva questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endo-societario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito la invalidità in sede processuale, con il che viene meno (non già la materia del contendere, ma) lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endo-societario del deliberato censurato con altro comunque efficace.
Inesistenza, nullità e annullabilità della delibera assembleare
La disciplina in materia di vizi determinanti l’annullamento e la nullità delle delibere assembleari è autonoma rispetto alle norme generali che sanciscono le ipotesi di nullità e annullabilità dei contratti. In particolare, mentre nella materia negoziale l’azione di nullità ha portata generale poiché fondata sulla contrarietà dell’atto a norme imperative ed è l’azione di annullamento ad essere speciale (cioè esperibile nei soli casi previsti dalla legge), nel diritto societario, al contrario, la regola generale è quella dell’annullabilità.
In materia societaria, la categoria della nullità ha carattere residuale ed è limitata alle ipotesi di contrasto del contenuto di una deliberazione con norme preposte a tutela di interessi generali. Viceversa, il contrasto con norme volte alla tutela di interessi dei singoli soci o gruppi di essi (ossia dirette a regolare la fase procedimentale e le modalità di formazione della volontà dell’ente societario) determina di per sé la semplice annullabilità della deliberazione.
In conformità alla ratio di tale regime, cioè garantire stabilità e certezza all’attività sociale a beneficio della società stessa nonché dei terzi, non sono configurabili ipotesi di invalidità atipiche, come l’inesistenza delle deliberazioni assembleari. Pertanto, si può parlare di inesistenza della deliberazione assembleare solo in relazione a pronunce aventi ad oggetto esclusivamente fattispecie nelle quali l’atto impugnato non sia definibile come deliberazione, non trattandosi di atto nemmeno astrattamente imputabile alla società o, pur sussistendo un atto qualificabile come tale, esso registri uno scostamento dal modello legale così marcato da non permetterne la riconduzione alla categoria stessa di deliberazione assembleare.
Non si versa in ipotesi di inesistenza in caso di delibera proveniente da assemblea partecipata anche da uno solo dei soci o di delibera adottata con voto determinante di soggetti non legittimati al voto e cioè quando la decisione sia esteriormente riconducibile all’organo decisionale societario ed ascrivibile al genus della delibera assembleare, per la presenza di almeno uno degli elementi essenziali alla identificazione della fattispecie.
Allo stesso modo, vizi quali il mancato raggiungimento del quorum costitutivo, la simulazione dell’incontro assembleare e l’inosservanza degli obblighi di preventiva informazione sono riconducibili alle ordinarie ipotesi di invalidità (i.e. nullità o annullabilità) e, pertanto, devono essere fatti valere entro i termini previsti dalla legge.
L’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio di s.r.l., visto il richiamo espresso realizzato dall’art. 2479 ter, co. 4, c.c. all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., non può essere proposta dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, per esigenze di certezza dei rapporti giuridici.
Sopravvenuta carenza di interesse ad agire nell’impugnativa di bilancio per l’approvazione medio tempore del bilancio successivo non impugnato
La ratio della previsione dell’art. 2434 bis c.c. consiste nella finalità di attuare, esprimendolo nella fattispecie concreta, il generale principio di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), poiché – secondo la valutazione della fattispecie stessa data dal legislatore, letta alla luce del principio di continuità dei bilanci –, approvato il bilancio successivo, la rappresentazione data, con il bilancio precedente, della situazione economico-patrimoniale della società ai soci e ai terzi ha esaurito le sue potenzialità informative (e organizzative), e dunque anche le sue potenzialità decettive, dovendo invece i destinatari dell’informazione, per ogni valutazione e decisione organizzativa conseguente, far riferimento all’ultimo bilancio approvato. Pertanto, non sussiste interesse ad agire rispetto all’impugnativa di un bilancio superato dall’approvazione di quello successivo.
Furto di identità e inesistenza di delibera assembleare
È inesistente la delibera assembleare assunta con l’apparente partecipazione di un socio che, in realtà, non ha mai assunto alcuna carica sociale, non ha mai partecipato alla riunione assembleare, ma è rimasto vittima di un furto di identità.
L’insussistenza di una giusta causa a sostegno della delibera assembleare di revoca dell’amministratore non incide sull’efficacia e sulla validità della stessa
Ai sensi dell’art. 2383, co. 3, c.c. l’assemblea dei soci ha un diritto potestativo di revoca dei soggetti incaricati dell’amministrazione attraverso una forma di recesso ad nutum dal rapporto che lega gli stessi alla società, diritto esercitabile in qualsiasi tempo anche in assenza di motivazione.
In base al dettato normativo in esame, l’insussistenza di una giusta causa a sostegno della delibera assembleare di revoca dell’amministratore (nella specie, di s.p.a.), non
incide in alcun modo sull’efficacia e sulla validità della stessa, determinando in capo alla società esclusivamente il sorgere di un obbligo risarcitorio nei confronti dell’amministratore così destituito.
Dunque, l’amministratore revocato ha sì diritto ad ottenere il risarcimento dei danni subiti in connessione con la revoca, ma non ha l’onere di impugnare la delibera di revoca, che, rimanendo valida ed efficace, non può essere annullata con ripristino della carica.
Impugnazione delibera di esclusione del socio accomandante di S.a.s.
Nel giudizio di opposizione avverso l’espulsione del socio di una società di persone, la legittimazione passiva compete esclusivamente alla società, in persona del legale rappresentante, anche se è consentita, come modalità equipollente d’instaurazione del contraddittorio, la citazione di tutti i soci, notificata nel termine di decadenza previsto dall’art. 2287 cod. civ.; conseguentemente, se la citazione è notificata al liquidatore nominato dal Tribunale e tuttora in carica secondo le risultanze del Registro delle Imprese, non risulta necessaria alcuna estensione del contraddittorio ex art. 106 c.p.c. ai singoli soci. [ LEGGI TUTTO ]