Compromettibilità in arbitrato di impugnazione di delibere assembleari
L’indisponibilità del diritto conteso costituisce l’unico limite posto all’autonomia negoziale nella devoluzione agli arbitri della risoluzione delle controversie nascenti dal vincolo societario e previsto dall’art. 34, co. 1, d.lgs. 5/2003. L’area della non compromettibilità per le impugnazioni di delibere assembleari è ristretta all’assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili. Sono dunque compromettibili in arbitri anche tutte le impugnazioni per nullità delle delibere assembleari soggette a termini di decadenza, mentre è configurabile l’indisponibilità del diritto solo laddove l’impugnazione riguardi censure relative alla violazione di norme che trascendono l’interesse del socio in quanto tale, coinvolgendo invece interessi dell’intera collettività.
La decisione sull’eccezione di arbitrato va resa con sentenza, posto che non si verte in materia di incompetenza territoriale e non trova quindi applicazione l’art. 38, co. 2, c.p.c.
Applicabilità della clausola compromissoria alla controversia sul valore di liquidazione della quota del socio receduto
La clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società, la quale preveda la devoluzione ad arbitri delle controversie connesse al contratto sociale, deve ritenersi estesa alla controversia riguardante il recesso del socio dalla società, sicché il socio, pur receduto, è dunque astretto dal vincolo compromissorio per tutto quanto attiene alle vicende sociali, trattandosi di conflitti che attengono comunque al sodalizio di impresa. La cessazione per qualunque causa del rapporto sociale non comporta l’inapplicabilità nei rapporti tra la società e l’ex socio della clausola arbitrale eventualmente contenuta nello statuto, la quale continua a spiegare i suoi effetti in ordine alle controversie aventi matrice nel contratto sociale, tra le quali devono essere ricompresi i conflitti nascenti dall’esercizio da parte del socio del diritto di recesso.
La controversia attinente alla liquidazione della quota del socio receduto, sebbene sorta successivamente alla sua fuoriuscita dalla compagine sociale, ha ad oggetto un credito che ha la sua fonte nel contratto sociale ed è assoggettata all’efficacia della clausola compromissoria: si tratta, infatti, di contesa attinente alla vicenda estintiva del rapporto sociale rispetto al singolo contraente che, considerata nel suo complesso, a prescindere dall’immediata operatività dello scioglimento del vincolo, ricomprende anche la fase della liquidazione del valore della quota del socio receduto, esaurendosi solo con il pagamento della somma dovuta.
Impugnazione della delibera di esclusione del socio di società cooperativa e compromettibilità in arbitri
La compromettibilità in arbitri di una controversia è condizionata al fatto che la stessa abbia ad oggetto, o meno, diritti disponibili. Con riferimento ai profili di invalidità delle delibere assembleari, attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri, soltanto le controversie relative all’impugnazione di deliberazioni aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabili anche d’ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell’art. 2479 ter c.c., quelle prese in assoluta di informazione.
Sugli elementi valutabili ai fini della compromettibilità in arbitri delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere di aumento o riduzione del capitale sociale
L’aspetto determinante per decidere circa l’arbitrabilità delle controversie riguardanti le impugnazioni delle delibere societarie consiste nella prospettazione dei fatti concretamente fornita dalle parti e degli interessi specificamente convolti. In linea generale, al fine di negare o consentire un giudizio arbitrale su controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere societarie incidenti sul capitale sociale (in termini di suo aumento e/o riduzione), occorre verificare se le stesse, rispettivamente, influiscano, o meno, su interessi superindividuali della società, dei soci e dei terzi la cui tutela sia assicurata, o non, mediante la predisposizione di norme inderogabili che, se violate, determinerebbero la reazione dell’ordinamento svincolata da una qualsiasi iniziativa di parte. Pertanto, laddove il coinvolgimento di tali interessi non sia direttamente inciso dall’oggetto del processo, deve escludersi che si sia al cospetto di diritti indisponibili, con conseguente possibilità, in presenza di una clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto della società, di sottoporre le controversie suddette alla cognizione arbitrale.
Arbitrato irrituale sull’invalidità della delibera discendente dalla mancata convocazione di un socio
Le controversie in materia societaria possono formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi. L’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali, in via esemplificativa, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio. Attengono a diritti indisponibili le controversie relative a delibere assembleari aventi oggetto illecito o impossibile, che danno luogo a nullità rilevabile anche d’ufficio, e quelle prese in assoluta mancanza di informazione (art. 2479 ter c.c.). Tuttavia, con specifico riferimento all’ipotesi di invalidità della delibera discendente dalla mancata convocazione di un socio, ferma la nullità della delibera, non sussiste coincidenza tra l’ambito delle nullità e l’area più ristretta della indisponibilità del diritto, dovendo in quest’ultima area essere ricomprese esclusivamente le nullità insanabili, per le quali solo, infatti, residua il regime della assoluta inderogabilità e, quindi, della assoluta indisponibilità e non compromettibilità del relativo diritto. La nullità della delibera assembleare per mancata convocazione del socio è, per contro, soggetta al regime della sanatoria della nullità previsto dall’art. 2379 bis c.c., richiamato in tema di s.r.l. dall’art. 2479 ter c.c. Infine, il diritto all’informazione del singolo socio in occasione della convocazione di assemblea è oggetto di una previsione posta a garanzia di un interesse individuale del socio stesso e non anche di soggetti terzi e, di conseguenza, da quest’ultimo disponibile e rinunciabile.
L’eccezione di arbitrato irrituale non integra questione di competenza, ma di proponibilità della causa nel merito, in quanto per il tramite di una clausola compromissoria irrituale le parti pattuiscono una preventiva rinuncia alla giurisdizione in favore di una risoluzione negoziale di eventuali future controversie. In caso di arbitrato irrituale non è applicabile l’art. 819 ter, co. 2, c.p.c. in punto translatio iudicii.
Il perimetro applicativo di una clausola compromissoria contenuta in uno statuto
Nel perimetro applicativo di una clausola compromissoria contenuta nello statuto che devolve al giudizio di arbitri ogni controversia insorta tra società, soci, amministratori e liquidatori in dipendenza dell’atto costitutivo e dello statuto rientra anche la controversia avente ad oggetto la validità di delibere assembleari impugnate da un individuo nella sua pretesa qualità di socio per successione ereditaria, prospettando violazioni di posizioni giuridiche attinenti esclusivamente alla sua sfera individuale e che, quindi, non investono diritti indisponibili. L’indisponibilità del diritto conteso costituisce l’unico limite posto all’autonomia negoziale nella devoluzione agli arbitri della risoluzione delle controversie nascenti dal vincolo societario e previsto dall’art. 34, co. 1, del d. lgs. 5/2003.
Arbitrabilità delle controversie societarie. Sospensione dell’esecuzione della delibera impugnata in sede arbitrale
In tema di controversie societarie, la definizione della competenza del tribunale ordinario ovvero del collegio arbitrale dipende dalla natura disponibile o indisponibile del diritto oggetto di controversia. A seguito dell’ammissione da parte del legislatore dell’arbitrabilità delle controversie societarie, l’art. 806 c.p.c. perimetra le controversie arbitrabili in negativo, ponendo come limite al ricorso dell’arbitrato l’indisponibilità del diritto, salvo espresso divieto di legge per le controversie aventi ad oggetto diritti disponibili.
L’area dell’indisponibilità è più ristretta di quella degli interessi genericamente superindividuali, in quanto la natura sociale o collettiva dell’interesse denota soltanto che esso è sottratto alla volontà individuale dei singoli soci, ma non implica che egual conseguenza si determini anche rispetto alla volontà collettiva espressa dalla società secondo le regole della rispettiva organizzazione interna, la cui finalità è proprio quella di assicurare la realizzazione più soddisfacente dell’interesse comune dei partecipanti. Sul punto, si richiama l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori che, a differenza di quella prevista dall’art. 2395 c.c., è posta a tutela di un interesse collettivo, ma la cui transigibilità e rinunziabilità sono riconosciute espressamente dall’art. 2393, co. 6, c.c. e, come tali, sono disponibili da parte dei rispettivi titolari. Affinché l’interesse sotteso alla delibera possa essere qualificato come indisponibile è necessario, quindi, che la sua protezione sia assicurata da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da ogni iniziativa di parte, come, ad esempio, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio, la cui inosservanza rende la delibera di approvazione illecita e, quindi, nulla.
Il discrimen tra diritto disponibile e diritto indisponibile guarda alla protezione accordata dall’ordinamento mediante la predisposizione di una norma dispositiva o imperativa. Nel primo caso, prevale l’interesse del singolo ad affermare il suo diritto di autodeterminazione ex art 2 cost., potendo così derogare la norma dispositiva, posta a tutela di un interesse anche superindividuale, ma non indisponibile e, quindi, non prevalente. Nel secondo caso, l’interesse del singolo soccombe dinanzi all’interesse di ordine pubblico, protetto dalla norma imperativa che rende indisponibile il diritto da essa tutelato.
Per determinare l’arbitrabilità delle controversie insorte tra soci e società, occorre esaminare se gli interessi coinvolti riguardano i soci come singoli oppure si riferiscono unicamente alla società, tutelata dalla legge in quanto tale. Nella prima ipotesi, la controversia è liberamente arbitrabile, sulla base del presupposto che ogni socio può disporre liberamente dei diritti oggetto della disputa, in quanto il ricorrente agisce uti singulus. Nella seconda ipotesi, l’arbitrabilità è fermamente negata a causa dell’indisponibilità del diritto coinvolto. L’azione, in questo caso, è proposta dal socio uti socius, nell’interesse sociale che corrisponde non alla sommatoria, ma alla sintesi di tutti individuali connessi dal vincolo sociale identificabile nell’unicità dello scopo dal quale trae origine la compagine stessa.
La sospensione cautelare del provvedimento impugnato in sede arbitrale può essere richiesta al Tribunale secondo le norme ordinarie con ruolo vicario e suppletivo, tutte le volte in cui, in concreto, gli arbitri non abbiano la possibilità di intervenire efficacemente con l’esercizio del potere cautelare (ad esempio per la mancata instaurazione del procedimento arbitrale o a causa dei tempi tecnici di costituzione dell’organo), al fine di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ex art. 24 cost. (norma di cui l’effettività della tutela cautelare costituisce componente essenziale ed immanente al fine di evitare che la durata del processo si risolva in un danno della parte che ha ragione).
In tema di sospensione dell’esecuzione delle delibere assunte dall’assemblea di una società consortile a responsabilità limitata trova applicazione il disposto di cui all’art. 2378, co. 3, c.c. (richiamato dall’art. 2479 ter, co. 4, c.c.), che prevede, quale rimedio tipico destinato a ottenere un provvedimento cautelare, che l’istanza di sospensione di una deliberazione assembleare deve essere necessariamente proposta in corso di causa o, quanto meno, contestualmente alla proposizione della domanda di merito con la quale si chiede di dichiarare la nullità o annullare la deliberazione assunta. L’esistenza di un rimedio tipico, previsto dall’art. 2378, co. 3, c.c., esclude in radice l’esperibilità del rimedio dell’art. 700 c.p.c. Quest’ultima disposizione corrisponde ad un principio generale dell’ordinamento secondo cui, non potendo restare una situazione giuridica del tutto priva di tutela cautelare, in mancanza di una disciplina espressa del procedimento cautelare, deve ritenersi applicabile la tutela apprestata dall’art. 700 c.p.c., correttamente definita come norma di chiusura del sistema.
I criteri per la determinazione della competenza tra il Collegio arbitrale e il Tribunale per la risoluzione di controversie societarie
Per quanto attiene l’arbitrabilità delle controversie societarie, il discrimen tra diritto disponibile e diritto indisponibile guarda alla protezione accordata dall’ordinamento mediante la predisposizione di una norma dispositiva o imperativa: nel primo caso, prevale l’interesse del singolo ad affermare il suo diritto di autodeterminazione ex art. 2 Cost., potendo così derogare la norma dispositiva, posta a tutela di un interesse anche superindividuale, ma non indisponibile e, quindi, non prevalente; nel secondo caso, l’interesse del singolo soccombe dinanzi all’interesse di ordine pubblico, protetto dalla norma imperativa che rende indisponibile il diritto da essa tutelato. Alla luce di tale distinzione, per determinare l’arbitrabilità delle controversie insorte tra soci e società, occorre esaminare se gli interessi coinvolti riguardano i soci come singoli oppure si riferiscono unicamente alla società, tutelata dalla legge in quanto tale: nella prima ipotesi, la controversia è liberamente arbitrabile, sulla base del presupposto che ogni socio può disporre liberamente dei diritti oggetto della disputa, in quanto il ricorrente agisce uti singulus; nella seconda ipotesi, l’arbitrabilità è fermamente negata a causa dell’indisponibilità del diritto coinvolto. L’azione, in questo caso, è proposta dal socio uti socius, nell’interesse sociale che corrisponde non alla sommatoria, ma alla sintesi di tutti individuali connessi dal vincolo sociale identificabile nell’unicità dello scopo dal quale trae origine la compagine stessa.
Gli artt. 34, co. 1, e 35, co. 5, D.Lgs. n. 5/2003, affermano, in materia di validità di delibere assembleari, la competenza degli arbitri a pronunciare provvedimenti cautelari interlocutori di sospensione delle delibere aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale nelle controversie tra i soci e la società. Ad ogni modo, la sospensione cautelare del provvedimento impugnato può essere richiesta al Tribunale secondo le norme ordinarie con ruolo vicario e suppletivo, tutte le volte in cui, in concreto, gli arbitri non abbiano la possibilità di intervenire efficacemente con l’esercizio del potere cautelare (ad es., per la mancata instaurazione del procedimento arbitrale o a causa dei tempi tecnici di costituzione dell’organo), al fine di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost. (norma di cui l’effettività della tutela cautelare costituisce componente essenziale ed immanente al fine di evitare che la durata del processo si risolva in un danno della parte che ha ragione).
In tema di sospensione dell’esecuzione delle delibere assunte dall’assemblea di una società consortile a responsabilità limitata trova applicazione il disposto, di cui all’art. 2479-ter, co. 4, c.c. e 2378, co. 3, c.c. che prevede, quale rimedio tipico destinato ad ottenere un provvedimento cautelare, che l’istanza di sospensione di una deliberazione assembleare deve essere necessariamente proposta “in corso di causa” o, quanto meno, contestualmente alla proposizione della domanda di merito con la quale si chiede di dichiarare la nullità o annullare la deliberazione assunta. In questa prospettiva, l’esistenza di un rimedio tipico, previsto dall’art. 2378, co. 3 c.c., esclude in radice l’esperibilità del rimedio dell’art. 700 c.p.c.
Sostituzione di delibera assembleare e cessazione della materia del contendere
La disponibilità del diritto rappresenta un limite alla compromettibilità in arbitri di controversie di qualsiasi natura. Con specifico riferimento alla materia societaria non può essere deferita alla decisione arbitrale l’impugnativa di delibera di approvazione del bilancio che verta sulla veridicità, completezza e chiarezza del bilancio stesso. Ciò in quanto le norme dirette a garantire tali principi non solo hanno natura imperativa, ma attengono pure a diritti indisponibili, essendo poste, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti terzi che con la società entrano in rapporto.
La delibera di approvazione del bilancio che sia revocata e sostituita da successiva delibera conforme alla legge con la quale sia approvato un nuovo progetto di bilancio per il medesimo esercizio, determina che non possa più pronunziarsi l’annullamento della delibera adottata anteriormente e che debba essere dichiarata la cessazione della materia del contendere. In ogni caso, la fondatezza delle doglianze mosse contro la delibera di approvazione del bilancio di cui si lamenta l’illegittimità, successivamente revocata e sostituita da altra delibera conforme alla legge, giustifica la condanna della convenuta al pagamento delle spese di lite.
Sulla compromettibilità in arbitri delle impugnazioni di delibere assembleari
Attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806 cod. proc. civ., soltanto le controversie relative all’impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabile anche di ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell’art. 2479 ter cod. civ., quelle prese in assoluta mancanza di informazione. Tra tali delibere non rientrano quelle di revoca degli amministratori.