Applicabilità della clausola compromissoria alla controversia sul valore di liquidazione della quota del socio receduto
La clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società, la quale preveda la devoluzione ad arbitri delle controversie connesse al contratto sociale, deve ritenersi estesa alla controversia riguardante il recesso del socio dalla società, sicché il socio, pur receduto, è dunque astretto dal vincolo compromissorio per tutto quanto attiene alle vicende sociali, trattandosi di conflitti che attengono comunque al sodalizio di impresa. La cessazione per qualunque causa del rapporto sociale non comporta l’inapplicabilità nei rapporti tra la società e l’ex socio della clausola arbitrale eventualmente contenuta nello statuto, la quale continua a spiegare i suoi effetti in ordine alle controversie aventi matrice nel contratto sociale, tra le quali devono essere ricompresi i conflitti nascenti dall’esercizio da parte del socio del diritto di recesso.
La controversia attinente alla liquidazione della quota del socio receduto, sebbene sorta successivamente alla sua fuoriuscita dalla compagine sociale, ha ad oggetto un credito che ha la sua fonte nel contratto sociale ed è assoggettata all’efficacia della clausola compromissoria: si tratta, infatti, di contesa attinente alla vicenda estintiva del rapporto sociale rispetto al singolo contraente che, considerata nel suo complesso, a prescindere dall’immediata operatività dello scioglimento del vincolo, ricomprende anche la fase della liquidazione del valore della quota del socio receduto, esaurendosi solo con il pagamento della somma dovuta.
Invenzione di servizio e invenzioni d’azienda
L’invenzione di servizio sussiste ove l’attività inventiva venga compiuta in adempimento di un rapporto di lavoro che preveda l’invenzione quale oggetto e a tale scopo statuisca una specifica retribuzione. In questo caso i diritti derivanti dal trovato appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante al dipendente di esserne riconosciuto autore. Si ha, invece, l’invenzione d’azienda ove il contratto stipulato tra le parti non disponga un compenso a fronte dell’eventuale attività creativa. Nell’invenzione di azienda l’attività inventiva è realizzata nell’esecuzione delle obbligazioni derivanti da un contratto di lavoro e in assenza di qualsivoglia retribuzione quale corrispettivo causalmente connesso. Nella anzidetta ipotesi, fatti salvi i diritti morali, spetta un equo premio. Entrambe le invenzioni presuppongono lo svolgimento da parte del dipendente di una attività lavorativa di ricerca volta all’invenzione, ma si distinguono a seconda della presenza o meno di un’esplicita previsione contrattuale concernente una speciale retribuzione costituente corrispettivo dell’attività inventiva (in termini, Tribunale di Milano, 10429/2015).
Nel distinguere tra invenzione di servizio e invenzione d’azienda occorre innanzitutto verificare, in un’ottica ex ante (cfr. Cass. 6367/2011), se la prestazione richiesta al dipendente consista o meno nel perseguimento di un risultato inventivo, vale a dire se l’attività inventiva sia prevista come oggetto del rapporto. Ciò nel solco di consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo il cui insegnamento il discrimine concreto tra le due fattispecie “sta proprio nel fatto che oggetto del contratto sia l’attività inventiva, cioè il particolare impegno per raggiungere un risultato prefigurato dalle parti, dotato dei requisiti della brevettabilità stabiliti dalla legge, e che, a tale scopo sia prevista una retribuzione” (Cass. 6367/2011, con richiamo espresso di precedenti conformi).
In caso di contestazione del computo dell’equo premio dovuto al dipendente l’asserita riconducibilità dell’invenzione ad un team postula l’assolvimento da parte della convenuta ad un rigoroso onere di allegazione e prova delle modalità operative e dei compiti del gruppo di ricerca e della realizzazione da parte di soggetti diversi dall’attore di una attività qualitativamente idonea a consentire di qualificarli come coautori dell’invenzione.
In difetto di un’intesa tra le parti la determinazione del premio è rimessa ad un collegio di arbitratori, in conformità al disposto dell’art. 64 IV e V comma c.p.i.
Contestazione della determinazione da parte dell’arbitratore del valore di rimborso della quota di partecipazione al capitale sociale
Non è annullabile la determinazione del valore di rimborso della quota sociale del socio receduto di una s.r.l. effettuata dal terzo arbitratore per manifesta iniquità e/o erroneità ai sensi dell’art. 1349 c.c. laddove il risultato finale della valutazione operata dal terzo arbitratore sia pressoché identico a quello cui è pervenuto il c.t.u. e lo scostamento metodologico non sia tale da rendere la determinazione impugnata in manifesto contrasto alle regole tecniche di settore e dalle conoscenze proprie di cui deve essere in possesso l’esperto del ramo. L’impugnabilità per manifesta erroneità prevista a norma dell’art. 1349, c. I, c.c. non deriva automaticamente dalla semplice presenza di un errore di valutazione nel procedimento di stima, ma dalla sussistenza di un errore, pure tecnico, che sia evidente, grave, concettualmente non condivisibile e, soprattutto, in materia non opinabile (nella specie è stata considerata non iniqua una valutazione della partecipazione inferiore del 25% rispetto al valore accertato dalla successiva ctu nel giudizio di merito).
Non sussiste responsabilità ex art. 2495 c.c. a titolo di colpa del liquidatore per mancato pagamento del credito da rimborso della quota di partecipazione sociale essendo legittima la condotta del liquidatore che, nel rispetto delle norme legali e statutarie sulla vincolatività per le parti della stima operata dall’arbitratore, chiuda senza indugio la procedura liquidativa della quota del socio receduto nonostante le riserve avanzate da quest’ultimo circa i criteri di valutazione adottati dall’arbitratore nella stima.
Il recesso del socio e il conseguente scioglimento del rapporto sociale con relativa liquidazione del valore della quota di partecipazione del socio receduto al capitale sociale, laddove comporti l’effettivo venir meno dell’unica garanzia volta al soddisfacimento del controcredito vantato dalla società a fronte del contratto di finanziamento erogato nei confronti del socio, è circostanza idonea ad integrare i presupposti che giustificano la dichiarazione di decadenza dal beneficio del termine ai sensi dell’art. 1186 c.c. e la contestuale richiesta del mutuante dell’immediata restituzione dell’intero, trattandosi di fatti sopravvenuti idonei a determinare una profonda diminuzione dell’(unica) garanzia di realizzazione del controcredito.
Sul procedimento di quantificazione dell’equo premio per il dipendente inventore.
In materia di “equo premio” in caso di invenzione d’azienda, l’art. 64, quarto e quinto comma, c.p.i. prevede una fattispecie complessa composta da: (1) condanna generica emessa dal tribunale relativa all’an debeatur; (2) arbitraggio devoluto a un collegio di esperti, con [ LEGGI TUTTO ]