Eccezione di arbitrato e finanziamenti soci
Ai sensi dell’art. 808 quater cpc, nel dubbio, la convenzione d’arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto devoluta ad arbitrato irrituale una controversia relativa all’adempimento di scritture private aventi ad oggetto la regolazione tra i soci di finanziamenti erogati dagli stessi alla società (una s.r.l.)]
La natura contrattuale dell’arbitrato irrituale rende l’eccezione di compromesso una questione di proponibilità della domanda attinente al merito della controversia e non pone invece un tema di competenza.
Sulla efficacia e validità di una clausola compromissoria. Il caso Mario Valentino s.p.a. vs Valentino s.p.a.
L’eccezione di compromesso riferita a una clausola arbitrale irrituale attiene al merito della controversia
Mentre l’eccezione di compromesso riferita a una clausola di arbitrato rituale attiene alla competenza, in quanto all’attività degli arbitri rituali deve essere riconosciuta natura giurisdizionale e sostitutiva del giudice ordinario, l’eccezione riferita a una clausola di arbitrato irrituale attiene al merito, in quanto la pronuncia arbitrale ha natura negoziale e il compromesso si configura come patto di rinuncia all’azione giudiziaria e alla giurisdizione dello Stato con conseguente inapplicabilità delle norme dettate per l’arbitrato rituale. L’eccezione con la quale si deduca l’esistenza, o si discuta dell’ampiezza, di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale non pone una questione di competenza dell’autorità giudiziaria, ma contesta la proponibilità della domanda per avere i contraenti scelto la risoluzione negoziale della controversia rinunziando alla tutela giurisdizionale e la relativa decisione si connota come pronuncia su questione preliminare di merito, in quanto attinente alla validità o all’interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria.
Le parti, così come possono scegliere di sottoporre la controversia agli stessi, anziché al giudice ordinario, possono anche optare per una decisione da parte di quest’ultimo, non solo espressamente, mediante un accordo uguale e contrario a quello raggiunto con il compromesso, ma anche tacitamente, attraverso l’adozione di condotte processuali convergenti verso l’esclusione della competenza arbitrale, e segnatamente mediante l’introduzione del giudizio in via ordinaria, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell’eccezione di arbitrato. Ad un soggetto vincolato da clausola compromissoria è, dunque, sempre consentito adire il tribunale ordinario, il quale rimane competente a decidere la vertenza qualora il convenuto non proponga apposita e tempestiva eccezione, essendo impedito al giudice il rilievo d’ufficio della sussistenza di una clausola compromissoria.
In pendenza di un arbitrato irrituale, la competenza per la nomina del curatore speciale ex art. 78 c.p.c. spetta al tribunale
Se l’arbitrato rituale ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, diversamente l’arbitrato irrituale non è in alcun modo un’ipotesi di esercizio di giurisdizione, poiché trova il proprio fondamento in un atto di investitura privata rispetto al quale non è possibile parlare di giurisdizione o competenza in senso tecnico, essendo demandata agli arbitri un’attività negoziale e non una funzione giurisdizionale. In questo senso, solo tra giurisdizione ordinaria e arbitrato rituale si può porre un problema di competenza, ma non tra giudice ordinario e arbitrato irrituale.
L’art. 80, co. 1, c.p.c., là dove individua nel “giudice che procede” il soggetto competente per la nomina del curatore speciale ex art. 78 c.p.c. in corso di causa, non può che intendersi riferito al giudice ordinario ovvero al collegio in arbitrato rituale, quali ipotesi di giurisdizione privata equiparata alla giurisdizione pubblica, ma non certo può intendersi riferito al collegio di arbitri in arbitrato irrituale, che non assume mai lo status di giudice ordinario, o ad esso equiparato in quanto chiamato a un accertamento meramente privatistico e a rilevanza esclusivamente contrattuale. Con la conseguenza che, in pendenza di un arbitrato irrituale, la competenza per la nomina del curatore speciale di cui all’art. 78 c.p.c. deve intendersi in ogni caso devoluta, ai sensi dell’art. 80 c.p.c., al tribunale. Pertanto, non può dirsi che la nomina del curatore speciale ex art. 78 c.p.c. fatta dal tribunale possa minare la validità della formazione del contraddittorio, tale da costituire un’ipotesi di nullità per violazione del litisconsorzio, in quanto essa è stata fatta da un giudice munito dell’investitura per farlo.
inapplicabilità dell’art. 820 c.p.c. all’arbitrato irrituale
L’art. 820, co. 4, lett. b) c.p.c., il quale prevede una proroga del termine per la definizione dell’arbitrato di centottanta giorni nel caso in cui sia disposta la consulenza tecnica d’ufficio, è norma applicabile esclusivamente all’arbitrato rituale e non anche a quello irrituale. Infatti, l’art. 820 c.p.c. è insuscettibile di estensione all’arbitrato irrituale (se le parti nella clausola compromissoria hanno previsto un termine per la conclusione del giudizio arbitrale) poiché l’art. 808-ter c.p.c., che disciplina l’arbitrato irrituale, prevede l’applicabilità delle disposizione del titolo VIII del libro IV del codice di rito solo se le parti non dispongono mediante determinazione contrattuale.
La natura di tale termine è necessariamente determinata: infatti, nell’arbitrato libero, l’obbligo assunto dagli arbitri, secondo le regole del mandato, è quello di emettere la decisione loro affidata entro un determinato termine, non essendo ammissibile che le parti siano vincolate alla definizione extragiudiziale della controversia, ed alla conseguente improponibilità della domanda giudiziale, per un tempo non definito. Ne consegue che, applicandosi all’arbitrato irrituale la disciplina dell’art. 1722 n. 1, c.c., il mandato conferito agli arbitri deve considerarsi estinto alla scadenza del termine prefissato dalle parti, salvo che esse non abbiano inteso in modo univoco conferire a detto termine un valore meramente orientativo.
La matrice negoziale dell’arbitrato comporta, altresì, che la dichiarazione di scioglimento dell’obbligo assunto con il conferimento dell’incarico di arbitrato, quale espressione di volontà negoziale, deve essere manifestata direttamente dalla parte, ovvero da suo rappresentante munito di procura in cui è conferito esplicitamente il potere di compiere l’attività negoziale, e deve essere portata a conoscenza delle altre parti e degli arbitri, prima del deposito del lodo.
Distinzione tra arbitrato rituale e irrituale. Il provvedimento di correzione dell’errore materiale
La distinzione tra lodo rituale e irrituale si sostanzia nel diverso regime processuale dei due lodi, ferma restando per entrambi la comune natura ed efficacia sostanziale di tipo negoziale: ossia nell’attribuzione al lodo rituale degli effetti processuali propri della sentenza e nell’esclusione per il lodo irrituale della possibilità di conseguire effetti esecutivi ai sensi dell’art. 825 c.p.c. e della impugnabilità innanzi alla corte d’appello in unico grado, per nullità, revocazione ed opposizione di terzo, con un regime impugnatorio incompatibile con quello risultante dagli artt. 827 ss. c.p.c.
Il provvedimento di correzione di errore materiale, avendo natura ordinatoria, non è suscettibile di gravame per violazione del contraddittorio, in quanto non realizza una statuizione sostitutiva di quella corretta e non ha, quindi, rispetto ad essa, alcuna autonoma rilevanza, ripetendo invece da essa medesima la sua validità, così da non esprimere un suo proprio contenuto precettino rispetto al regolamento degli interessi in contestazione. Il procedimento di correzione della sentenza non rappresenta una nuova fase processuale, ma mero incidente dello stesso giudizio, diretto solo ad adeguare l’espressione grafica all’effettiva volontà del giudice, già espressa in sentenza.
Il debitore ceduto può opporre al cessionario solo le eccezioni opponibili al cedente. Tali eccezioni sono sia quelle dirette contro la validità dell’originario rapporto (nullità – annullabilità), sia quelle dirette a far valere l’estinzione del credito (pagamento – prescrizione). Al contrario, non può il debitore ceduto opporre al cessionario le eccezioni che attengono al rapporto di cessione, perché il debitore è rimasto ad essa estraneo e tale rapporto non incide in alcun modo sull’obbligo di adempiere.
Arbitrato irrituale: compromettibilità delle controversie societarie e motivi di impugnazione
Le disposizioni relative all’impugnazione delle determinazioni di una società non annoverano mai tra i soggetti legittimati all’impugnazione la società da cui tale deliberazione promana, ma attribuiscono la legittimazione ai soci assenti o dissenzienti in assemblea e/o agli amministratori o sindaci e/o a terzi interessati, mentre la società è legittimata passiva nel giudizio di impugnazione, proprio perché da essa promana la manifestazione di volontà che è oggetto dell’impugnazione, e sarebbe quindi inammissibile attribuirle la legittimazione ad insorgere giudizialmente contro la sua stessa volontà. La società attrice è, dunque, carente di legittimazione in ordine alla domanda che miri alla nullità di clausole del proprio stesso statuto, che la maggioranza dei soci, ove ritenga, può autonomamente modificare.
Il giudice è tenuto in ogni caso a esaminare e interpretare quale sia stata la volontà dei compromettenti circa la qualificazione giuridica della clausola compromissoria, valutando complessivamente il patto compromissorio stesso e applicando le regole di ermeneutica dettate dagli artt. 1362 ss. c.c., al fine di accertarne la natura e la validità. La clausola di arbitrato irrituale consiste in una normale clausola negoziale, con la quale le parti hanno inteso non già derogare alla giurisdizione, ma conferire un mandato negoziale ad un terzo incaricato di comporre una lite, sostituendosi alla volontà dei contraenti, mediante composizione amichevole, conciliativa o transattiva, o mediante negozio giuridico di mero accertamento.
Con l’introduzione dell’art. 808 ter c.p.c., il legislatore ha inteso formalizzare i possibili motivi di impugnazione del lodo irrituale, cristallizzandoli in un elenco tassativo. Nell’arbitrato irrituale – attesa la sua natura volta a integrare una manifestazione di volontà negoziale sostitutiva di quella delle parti in conflitto – il lodo è impugnabile soltanto per i vizi che possono vulnerare una simile manifestazione di volontà, con conseguente esclusione dell’impugnazione per nullità prevista dall’art. 828 c.p.c.; pertanto, l’errore del giudizio arbitrale deducibile in sede di impugnazione deve, per essere rilevante, integrare gli estremi della essenzialità e riconoscibilità di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c., mentre non rileva l’errore commesso dagli arbitri con riferimento alla determinazione adottata in base al convincimento raggiunto dopo aver interpretato ed esaminato gli elementi acquisiti. Il lodo arbitrale irrituale può dunque essere impugnato solo in presenza dei presupposti che consentono l’annullamento del contratto.
L’art. 36 del d.lgs. n. 5/2003 non vieta in via generale la compromettibilità in arbitrato irrituale delle controversie in materia societaria, né la loro decisione secondo equità da parte degli arbitri, ma pone un limite alla decisione equitativa nel caso in cui gli arbitri abbiano conosciuto questioni non compromettibili in arbitrato e quelle afferenti alla validità delle delibere assembleari. Le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi. A tal fine, peraltro, l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsivoglia iniziativa di parte, quali: le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio; l’azione di revoca per giusta causa di un amministratore di società in accomandita semplice ex art. 2259 c.c., in relazione agli artt. 2315 e 2293 c.c.; le controversie relative all’impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabili anche d’ufficio dal giudice.
Principi in tema di arbitrato irrituale
In base al disposto dell’art. 808 ter, comma 1, c.p.c. deve ritenersi che la convenzione di arbitrato irrituale si connota come un contratto che determina la nascita in capo alle parti contraenti di una situazione complessa, di carattere strumentale, finalizzata alla tutela dei diritti, mediante il quale si pone in essere un mandato, senza necessità di rappresentanza, conferito congiuntamente da una pluralità di parti a uno o più arbitri e preordinato alla stipula di un accordo contrattuale.
L’arbitrato irrituale può anche estendersi dal limite della mera cristallizzazione di una situazione già in essere proprio di un negozio di accertamento, fino a comportare anche addizioni ed integrazioni alla fattispecie giuridica compromessa. L’arbitrato irrituale può quindi configurarsi come un mandato congiunto a comporre la controversia venutasi a configurare, mediante un negozio compositivo, da porre in essere nel termine stabilito dalle parti, pena l’estinzione del mandato per sua scadenza ex art. 1722, n. 1, c.c.
Ne consegue che la scelta dell’arbitrato irrituale comporta, per espressa previsione dell’art. 808 ter, comma 1, c.p.c., una deroga all’art. 824 bis c.p.c. e, conseguentemente, al successivo art. 825 c.p.c., palesandosi con essa l’intenzione pattizia di escludere quell’efficacia di sentenza divenuta ex lege propria del dictum degli arbitri rituali, suscettibile di essere reso esecutivo e trascrivibile.
Pertanto, l’applicazione delle regole proprie del “lodo-sentenza” è, quindi, inequivocabilmente esclusa per il “lodo-contratto”, con la conseguenza che la possibilità di attuare i diritti discendenti dall’arbitrato irrituale è rimessa esclusivamente al comportamento delle parti, potendo, quindi, in caso di sua mancata attuazione, insorgere una nuova controversia sull’esecuzione della determinazione arbitrale rimasta inadempiuta.
Emissione di decreto ingiuntivo in presenza di una clausola compromissoria statutaria
Atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla[va] l’emissione di provvedimenti cautelari, l’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo, ma impone a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la sua contestuale revoca.
Quello cui lo statuto demanda una decisione da adottare in assenza di qualunque formalità e procedura costituisce arbitrato irrituale. La deferibilità ad arbitri irrituali di una determinata controversia è da considerare non già una questione di competenza, bensì di merito perché direttamente inerente alla validità o all’efficacia o all’interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria.
Arbitrato irrituale sull’invalidità della delibera discendente dalla mancata convocazione di un socio
Le controversie in materia societaria possono formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi. L’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali, in via esemplificativa, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio. Attengono a diritti indisponibili le controversie relative a delibere assembleari aventi oggetto illecito o impossibile, che danno luogo a nullità rilevabile anche d’ufficio, e quelle prese in assoluta mancanza di informazione (art. 2479 ter c.c.). Tuttavia, con specifico riferimento all’ipotesi di invalidità della delibera discendente dalla mancata convocazione di un socio, ferma la nullità della delibera, non sussiste coincidenza tra l’ambito delle nullità e l’area più ristretta della indisponibilità del diritto, dovendo in quest’ultima area essere ricomprese esclusivamente le nullità insanabili, per le quali solo, infatti, residua il regime della assoluta inderogabilità e, quindi, della assoluta indisponibilità e non compromettibilità del relativo diritto. La nullità della delibera assembleare per mancata convocazione del socio è, per contro, soggetta al regime della sanatoria della nullità previsto dall’art. 2379 bis c.c., richiamato in tema di s.r.l. dall’art. 2479 ter c.c. Infine, il diritto all’informazione del singolo socio in occasione della convocazione di assemblea è oggetto di una previsione posta a garanzia di un interesse individuale del socio stesso e non anche di soggetti terzi e, di conseguenza, da quest’ultimo disponibile e rinunciabile.
L’eccezione di arbitrato irrituale non integra questione di competenza, ma di proponibilità della causa nel merito, in quanto per il tramite di una clausola compromissoria irrituale le parti pattuiscono una preventiva rinuncia alla giurisdizione in favore di una risoluzione negoziale di eventuali future controversie. In caso di arbitrato irrituale non è applicabile l’art. 819 ter, co. 2, c.p.c. in punto translatio iudicii.