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Sull’inammissibilità dell’impugnazione di lodo arbitrale irrituale

Nell’arbitrato irrituale la violazione da parte del collegio arbitrale delle obbligazioni derivanti dal contratto di mandato, intercorrente con le parti, costituita dall’omesso esame di una doglianza avanzata da una delle parti non determina alcuna invalidità del lodo, ma semmai il sorgere di un obbligo risarcitorio a carico del collegio arbitrale in favore della parte danneggiata.

 

Nell’impugnativa di lodo reso all’esito di arbitrato irrituale è rilevante solo l’errore di fatto essenziale, che abbia inficiato la volontà degli arbitri per effetto di una falsa rappresentazione e di un’alterata percezione della realtà e degli elementi di fatto sottoposti al loro esame, che si verifica allorquando gli arbitri non abbiano preso visione degli elementi della controversia o ne abbiano supposti altri inesistenti, ovvero abbiano dato come contestati fatti pacifici o viceversa. Di contro, deve escludersi ogni impugnativa per errori di diritto, ovvero per errori di giudizio anche con riferimento alla valutazione degli elementi probatori acquisiti, ovvero in ordine all’idoneità della decisione adottata a comporre la controversia, trattandosi di censure inidonee a giustificare l’annullamento del contratto, e dunque del lodo.

14 Giugno 2021

Eccezione di compromesso: differenza tra clausola di arbitrato rituale ed irrituale

L’eccezione di compromesso riferita ad una clausola di arbitrato rituale attiene alla competenza, in quanto all’attività degli arbitri rituali deve essere riconosciuta natura giurisdizionale e sostitutiva del giudice ordinario, alla stregua della disciplina introdotta nell’ordinamento dal d. lgs. 2 febbraio 2006 n. 40. Di contro, l’eccezione riferita ad una clausola di arbitrato irrituale attiene al merito, in quanto la pronuncia arbitrale ha natura negoziale ed il compromesso si configura come patto di rinuncia all’azione giudiziaria e alla giurisdizione dello Stato con conseguente inapplicabilità delle norme dettate per l’arbitrato rituale, ivi compreso l’art. 819 ter c.p.c.

Secondo l’orientamento consolidato della suprema corte, infatti, l’eccezione con la quale si deduca l’esistenza (o si discuta dell’ampiezza) di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale non pone una questione di competenza dell’autorità giudiziaria (come nel diverso caso di clausola compromissoria per arbitrato rituale), ma contesta la proponibilità̀ della domanda per avere i contraenti scelto la risoluzione negoziale della controversia rinunziando alla tutela giurisdizionale e la relativa decisione si connota come pronuncia su questione preliminare di merito, in quanto attinente alla validità o all’interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria. Ne consegue che la questione deve essere decisa con sentenza di rigetto nel merito.

25 Gennaio 2021

Responsabilità concorsuale nella violazione di diritti d’autore su forme del design industriale: il caso Moon Boot

Non potendo il giudice arrogarsi il compito di stabilire l’esistenza o meno in una determinata opera di un valore artistico – occorre rilevare nella maniera più oggettiva possibile la percezione che di una determinata opera del design possa essersi consolidata nella collettività ed in particolare negli ambienti culturali in senso lato, estranei cioè ai soggetti più immediatamente coinvolti nella produzione e commercializzazione per un verso e nell’acquisto di un bene economico dall’altro. In tale prospettiva può darsi rilievo – al fine di riconoscere una positiva significatività della qualità artistica di un’opera del design – al diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell’appartenenza di essa ad un ambito di espressività che trae fondamento e che costituisce espressione di tendenze ed influenze di movimenti artistici o comunque della capacità dell’autore di interpretare lo spirito dell’epoca, anche al di là delle sue intenzioni e della sua stessa consapevolezza, posto che l’opera a contenuto artistico assume valore di per sé e per effetto delle capacità rappresentative e comunicative che essa possiede e che ad essa vengono riconosciute da un ambito di soggetti più ampio del solo consumatore di quello specifico oggetto. In tale contesto il giudice dunque non attribuisce all’opera del design un “valore artistico” ex post in quanto acquisito a distanza di tempo, bensì ne valuta la sussistenza con un procedimento che in qualche modo richiede un apprezzamento che contestualizzi l’opera nel momento storico e culturale in cui è stata creata, di cui assurge in qualche modo a valore iconico, che può richiedere (come per tutti i fenomeni artistici) una qualche sedimentazione critica e culturale (l’applicazione di tali criteri ha determinato il Tribunale a riconoscere nel modelli dei Moon Boots la qualità di opera del design industriale ai sensi del n. 10 del comma 1 dell’art. 2 l.d.a., evidenziando a tale fine tutti gli elementi e le circostanze che testimoniavano già all’epoca la considerazione che tale prodotto e le sue peculiari forme avevano assunto da parte di ambienti culturali ed artistici nonché del mondo del design).

La sostanziale identità delle forme non risulta in alcun modo compromessa dal fatto che i prodotti contestati presentino una colorazione particolare o marchi differenti.

In tema di diritto d’autore, l’elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione, in quanto mentre quest’ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, la prima si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo. Ciò che rileva, pertanto, non è la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l’opera originaria

La fattispecie di plagio di un’opera altrui non è data soltanto dal “plagio semplice o mero plagio” o dalla “contraffazione” dell’opera tutelata, ma anche dal cosiddetto “plagio evolutivo”, il quale costituisce un’ipotesi più complessa di tale fenomeno, in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, in conseguenza del tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento su di essa eseguito, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva, e non autorizzata, rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 l.a. (nel caso di specie, ha ritenuto il Collegio che l’uso del glitter sia del tutto inessenziale a conferire l’autonomia ed originalità creativa necessaria per conferire al modello “glitterato” dignità di opera autonoma).

La ripresa pedissequa dei medesimi modelli per i quali era operativo l’impegno di astensione assunto in occasione di previo accordo transattivo consente di individuare la specifica violazione degli impegni medesimi, non aggirabili mediante la mera attribuzione ai modelli da ultimo contestati di un codice identificativo diverso da quelli indicati nell’accordo stesso anche in considerazione degli obblighi di buona fede connaturati all’ambito contrattuale di riferimento.

L’obbligo di non contestazione della tutela autorale spettante all’opera dell’ingegno assunto dalle parti contrattualmente è del tutto legittimo, risultando detta rinuncia pertinente a diritti disponibili delle parti.

Per dichiarare anche la sussistenza dell’ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. a titolo di concorrenza sleale dipendente dalla violazione di diritti di proprietà intellettuale occorre che sussistano spazi di effettiva autonomia rispetto alle condotte di plagio/contraffazione che ne consentono un’autonoma individuazione. Diversamente essa deve ritenersi assorbita.

Ogni soggetto che abbia partecipato alla filiera produttiva e distributiva del prodotto contraffatto deve risponderne in via solidale con gli altri appartenenti a tale filiera, avendo essi posto in essere un contributo causale comunque rilevante ai fini della consumazione dell’illecito (nel caso di specie – e fatte salve le domande di manleva interne svolte dalle convenute tra loro – sono state ritenute responsabili in concorso tra loro la società gerente il sito e-commerce e le attività di promozione, commercializzazione e logistica afferenti alla vendita dei prodotti in contraffazione; la società produttrice dei prodotti contestati e licenziataria del marchio su di essi apposti; la società licenziante dei marchi stessi e corresponsabile dell’ideazione, scelta ed approvazione dei prodotti contestati; la società venditrice dei prodotti)

L’esaurimento del diritto di distribuzione non si verifica ove il primo atto di trasferimento dell’opera originale o di sue copie sia avvenuto senza il consenso del titolare del diritto.

Quanto alla sussistenza di un pregiudizio in danno del titolare dell’opera oggetto di plagio/contraffazione, l’esistenza in sé di tale pregiudizio è connessa alla natura assoluta dei diritti spettanti all’autore ed ai suoi aventi causa sul piano delle facoltà di utilizzazione economica di essa.

Se è vero che il criterio della reversione degli utili non è stato esteso dal legislatore alla disciplina del diritto d’autore nei termini in cui esso è stato trasfuso nel terzo comma dell’art. 125 c.p.i., tuttavia il secondo comma dell’art. 158 l.d.a. prevede espressamente che il lucro cessante deve essere valutato dal giudice anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione dei diritti. Tale parametro, fondato sul beneficio tratto dall’attività vietata, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto assurge infatti ad utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando il danno sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo.

Per la natura contrattuale dell’arbitrato irrituale, l’eccezione di compromesso non dà luogo a una questione di competenza bensì di proponibilità della domanda, risultando la relativa eccezione di natura sostanziale, attinente al merito. Anche in esito alla novella del 2006, che ha inserito e disciplinato l’istituto dell’arbitrato irrituale all’interno del codice di rito all’art. 808 ter c.p.c., l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritiene che la clausola di arbitrato irrituale non comporti l’incompetenza del giudice ordinario a conoscere della domanda, ma soltanto, qualora la controparte sollevi ritualmente la relativa eccezione, l’improponibilità della medesima.

Clausola compromissoria statutaria e giudizio di rendiconto ex art. 263 c.p.c.

La clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società in accomandita semplice, che preveda la devoluzione ad arbitri delle controversie insorte tra i soci o fra alcuni di essi e la società connesse all’esecuzione del contratto sociale, deve ritenersi estesa al giudizio di rendiconto ex art. 263 c.p.c. avente ad oggetto l’inadempimento agli obblighi di cui agli artt. 2261, 2320 e 1713 c.c.: infatti, tali controversie rientrano tra quelle derivanti dall’esecuzione del contratto sociale, dal momento che proprio a questo ambito attiene l’obbligo di rendicontazione dell’amministratore.

L’arbitrato irrituale comporta per sua natura la rinuncia delle parti ad avvalersi della tutela giurisdizionale e, pertanto, la decisione dell’autorità giudiziaria affermativa dell’esistenza dell’arbitrato irrituale pone non già una questione di competenza, ma una questione preliminare di merito che implica l’improponibilità della domanda per rinuncia preventiva all’azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato.

24 Aprile 2020

Interpretazione della clausola compromissoria: i criteri per la determinazione della natura rituale o irrituale dell’arbitrato

Al fine di accertare se una clausola compromissoria configuri un arbitrato rituale o irrituale deve aversi riguardo alla volontà delle parti desumibile dalle regole di ermeneutica contrattuale, ricorrendo l’arbitrato rituale quando debba ritenersi che le parti abbiano inteso demandare agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice e, ricorrendo invece un arbitrato irrituale quando debba ritenersi che abbiano inteso demandare ad essi la soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio di accertamento, ovvero strumenti conciliativi o transattivi, dovendosi optare, nel caso in cui residuino dubbi sull’effettiva volontà dei contraenti, per l’irritualità dell’arbitrato, tenuto conto che l’arbitrato rituale, introducendo una deroga alla competenza del giudice ordinario, deve ritenersi abbia natura eccezionale.

Nell’opera di individuazione della tipologia di arbitrato, è opportuno avere riguardo ad alcuni criteri generali, tra cui la presenza di elementi ed espressioni terminologiche utilizzate dai contraenti all’interno della clausola compromissoria. Sono decisivi per la configurazione di un arbitrato irrituale, ad esempio, le espressioni che individuano la materia devoluta all’arbitro ovvero l’indicazione della funzione assegnata allo stesso come la naturale evoluzione del mancato raggiungimento di un accordo tra i contraenti. Inoltre, è necessario individuare le espressioni che rinviano all’obbligatorietà delle determinazioni dell’arbitro anche con riferimento all’attribuzione delle spese tra le parti.

14 Gennaio 2020

Sull’interpretazione della clausola compromissoria: arbitrato rituale o irrituale?

Quanto alla clausola arbitrale contenuta in uno statuto sociale, in difetto di espressioni utili ad individuare la volontà dei soci di demandare agli arbitri un’attività negoziale di componimento in via transattiva di eventuali divergenze ovvero un’attività giurisdizionale sfociante in una decisione atta ad acquisire valore di sentenza, l’incertezza interpretativa va risolta nel senso che i soci abbiano inteso prevedere un arbitrato irrituale.

3 Luglio 2019

Clausola compromissoria per le controversie inerenti ai crediti del socio verso la società

La domanda di un socio-amministratore di una S.r.l. diretta a far valere un credito nei confronti della stessa società deve essere instaurata dinanzi all'”arbitro nominato dal presidente del tribunale del luogo in cui ha sede la società” laddove lo statuto della società riconosca – tramite clausola compromissoria – la competenza dell’arbitro come sopra individuato per tutte le controversie sorte tra socio e società aventi ad oggetto diritti disponibili. [ LEGGI TUTTO ]

14 Maggio 2018

Legittimazione attiva per l’impugnativa della delibera del CdA; differenza tra arbitrato rituale e irrituale

Ai sensi dell’art. 2388, co. 4, c.c., le deliberazioni del consiglio di amministrazione che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione. Possono, altresì, essere impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti. La norma, poi, rinvia agli artt. 2377 e 2378 c.c. in quanto compatibili. La suddetta disposizione, quindi, limita espressamente la legittimazione ad impugnare ai soli amministratori assenti o dissenzienti. Inoltre, l’espresso rinvio ai soli artt. 2377 e 2378 c.c. e non al successivo art. 2379 c.c. induce a ritenere che, dal punto di vista dell’invalidità, tutte le decisioni consiliari vadano assoggettate alla medesima disciplina e, in particolare, quella della annullabilità, ciò impedendo che le delibere suddette possano essere impugnate da chiunque vi abbia interesse. In ogni caso, si deve escludere che la società stessa possa impugnare la delibera emessa da uno dei propri organi.

In virtù del principio di autonomia della clausola compromissoria, essa ha un’individualità nettamente distinta dal contratto nel quale inserita, non costituendone un accessorio. Ne consegue che la nullità del negozio sostanziale non travolge, per trascinamento, la clausola compromissoria in esso contenuta, restando rimesso agli arbitri l’accertamento della dedotta invalidità.

La clausola di arbitrato irrituale consiste in una normale clausola negoziale, con la quale le parti non hanno inteso derogare alla giurisdizione, ma hanno conferito un mandato negoziale ad un terzo incaricato di comporre una lite, sostituendosi alla volontà dei contraenti, mediante composizione amichevole, conciliativa o transattiva, o mediante negozio giuridico di mero accertamento. La differenza tra abitrato rituale e arbitrato irrituale va ravvisata nel fatto che, nel primo, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nel secondo esse intendono affidare all’arbitro (o agli arbitri) la soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Ne consegue che ha natura di arbitrato irrituale quello previsto da una clausola compromissoria che enunci l’impegno delle parti di considerare il carattere definitivo e vincolante del lodo, al pari del negozio tra le parti concluso e, quindi, come espressione della propria personale volontà, restando, di contro, irrilevanti sia la previsione della vincolatività della decisione, anche se firmata solo dalla maggioranza degli arbitri, dato che pure l’arbitrato libero ammette tale modalità, in difetto di una contraria volontà delle parti, e sia la previsione di una decisione secondo diritto, senza il rispetto delle forme del codice di rito, ma nel rispetto del contraddittorio, attesa la sua compatibilità con l’arbitrato libero e il necessario rispetto anche in quest’ultimo del principio del contraddittorio, in ragione dello stretto collegamento esistente tra il principio di cui all’art. 101 c.p.c. e gli artt. 2, 3 e 24 Cost. ed in consonanza con l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

23 Aprile 2018

Limiti alla proponibilità della querela di falso e operatività della clausola arbitrale irrituale statutaria

La querela di falso è esperibile unicamente nei casi di falsità materiale di tipo documentale per rompere il collegamento -quanto a provenienza- tra dichiarazione (e dichiarante) e sottoscrizione; laddove si contesti una ipotesi di falsità ideologica per inveridicità di quanto dichiarato deve farsi piuttosto ricorso alle normali azioni atte a rilevare il contrasto tra la volontà e la sua manifestazione. [ LEGGI TUTTO ]

15 Febbraio 2018

Chiarimenti in materia di arbitrato irrituale e compromettibilità in arbitri di controversie relative al compenso dell’amministratore

Il diritto al compenso dell’amministratore per l’attività professionale prestata rientra fra i diritti patrimoniali disponibili relativi al rapporto sociale, non assumendo alcun rilievo la circostanza che il rivendicato compenso sia strettamente correlato [ LEGGI TUTTO ]