La responsabilità del revisore per i danni derivanti dall’inadempimento dei propri doveri
Tutti gli organismi di controllo aziendale sono investiti di un ineludibile compito di costante verifica della corrispondenza dei meccanismi di gestione della società al paradigma della corretta amministrazione, sicché il revisore, deputato a svolgere una funzione di verifica e controllo generale sui dati di bilancio e sulla corretta gestione contabile della società, deve tempestivamente segnalare le incongruenze rilevate. Ed in funzione della incisività del controllo affidato al revisore contabile si prevede che esso risponda, in solido con gli amministratori, nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri, nei limiti del contributo effettivamente dato al danno.
Danno da mancato disinvestimento di azioni non quotate e responsabilità della società di revisione
La responsabilità dei revisori legali e della società di revisione per mancato disinvestimento invocabile dai soci che lamentino di aver fatto affidamento sui giudizi rilasciati dai primi è riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 15 d.lgs. 39/2020 che, ancorché solidale con quella degli amministratori, è una responsabilità per fatto proprio colposo o doloso commesso nell’esercizio dell’attività di controllo contabile loro demandato.
La responsabilità dei revisori legali e della società di revisione ex art. 15 d.lgs. 39/2020 ha natura extracontrattuale ed è ricondotta nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta resa al pubblico. Elementi strutturali della fattispecie di responsabilità sono: (i) la condotta di inadempienza ai principi di revisione da parte del revisore nell’esercizio della sua attività e quindi l’aver reso un giudizio senza rilievi in presenza di un bilancio non vero, redatto non in conformità ai criteri di legge e contabili; (ii) l’esistenza di un pregiudizio; (iii) il nesso causa-effetto tra il presunto comportamento inadempiente e il danno lamentato.
Il soggetto che si ritiene danneggiato dalla condotta del revisore deve allegare di essersi determinato ad una certa scelta e, se si tratta di investimenti, ad effettuare l’investimento o a non effettuare il disinvestimento indotto da dati patrimoniali, economici esposti in bilancio e dalla relazione del revisore che ha espresso parere senza rilievi, creando un infondato affidamento sui dati non veri resi evidenti successivamente con il disvelamento della reale situazione. Inoltre, il danneggiato è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno.
Sussiste una presunzione di nesso di causalità tra la scelta di investimento/disinvestimento e l’informazione data al pubblico dell’emittente; la presunzione è tuttavia suscettibile di prova contraria se si dimostra, anche alla luce delle condotte tenute dall’investitore successivamente al disvelamento della informazione decettiva, l’irrilevanza delle informazioni date al mercato in rapporto alla scelta concreta dell’investitore specifico.
Quanto al danno derivante dal mancato e tempestivo disinvestimento, e meglio qualificabile come perdita di chance di disinvestire, non è concepibile in concreto a fronte di un’obiettiva difficoltà di smobilizzo di un titolo caratterizzato come “illiquido”.
Attività del revisore e responsabilità per c.d. perdita di chance
L’attività di revisione è preordinata a svolgere un controllo in relazione alla regolarità formale e sostanziale delle operazioni contabili effettuate sui fatti di gestione e sul bilancio da parte della società revisionata, rilasciandone all’esito la relativa attestazione. Tale attività è, dunque, costituita da un complesso di verifiche allo scopo di esprimere un giudizio indipendente e veritiero sull’attendibilità della documentazione contabile e di bilancio del soggetto oggetto di verifica. Tale opera è volta, in esecuzione di un rapporto di carattere privatistico, a realizzare l’interesse pubblico della protezione dei mercati. L’attività di revisione è delineata dall’art. 14 del d.lgs. n. 39/2010, che ne regolamenta gli obblighi, tra i quali rientra la verifica, strumentale alla prestazione principale del revisore, della regolare tenuta della contabilità della società soggetta a revisione, nonché la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabile. Comporta verso i singoli risparmiatori ed investitori responsabilità di natura extracontrattuale ex art. 2043 e 2409-sexies c.c., essendo ricompresa nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta sul mercato, rispondendo ad una necessità di controllo avvertita dall’intera società attraverso la tutela dell’ordinata conduzione del mercato.
Il soggetto che si ritiene danneggiato dalla condotta del revisore deve allegare di essersi determinato a non effettuare il disinvestimento a ciò indotto dalla relazione del revisore che ha espresso parere favorevole di bilanci non veritieri e da altre informazioni fuorvianti veicolate prima della decisione di non smobilitare il proprio pacchetto azionario. La vittima è tenuta a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno; in particolare, il riferimento all’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilità ex art 2395 c.c., importa un esame rigoroso del nesso di causale, secondo un principio di causalità ancorato al criterio del più probabile che non. Chi si duole dei dati contabili e di bilancio in quanto confortati dal revisore è tenuto ad allegare e, poi, a dimostrare anche l’idoneità dei medesimi a trarre in inganno la sua fiducia. Sono dunque elementi della fattispecie di responsabilità civile del revisore verso i terzi: (i) l’inadempienza degli obblighi propri del revisore legale; (ii) l’esistenza del danno; (iii) il nesso causa-effetto tra quest’ultimo e il presunto comportamento illecito del professionista incaricato.
Nel caso di perdita di chance, il nesso causale che deve essere dimostrato dall’attore è ipotetico, giacché è di natura ipotetica il nesso che si predica tra l’assenza dell’illecito (che invece si è verificato) e la esistenza della chance (che invece è venuta meno o non si è verificata); il giudice è tenuto quindi a formulare una prognosi postuma, ricostruendo la situazione ipotetica che si sarebbe verificata in assenza dell’illecito. Il soggetto che si dichiara vittima dell’illecito deve quindi provare, da una parte, l’esistenza reale di una chance e, dall’altra, che tale chance sia venuta meno per effetto diretto del comportamento illecito, seppure utilizzando il criterio civilistico della c.d. probabilità prevalente.
Attività del revisore e dies a quo della prescrizione per l’azione di responsabilità
Ai sensi dell’art. 15 d. lgs. 39/2010, i revisori legali e la società di revisione legale rispondono, in solido tra loro e con gli amministratori, nei confronti della società, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro doveri. L’attività di revisione è preordinata a svolgere un controllo in relazione alla regolarità formale e sostanziale delle operazioni contabili effettuate sui fatti di gestione e sul bilancio da parte della società revisionata, rilasciandone all’esito la relativa attestazione. Dunque, la sua attività è costituita da un complesso di verifiche allo scopo di esprimere un giudizio indipendente e veritiero sull’attendibilità della documentazione contabile e di bilancio del soggetto oggetto di verifica. Tale opera è volta, in esecuzione di un rapporto di carattere privatistico, a realizzare l’interesse pubblico della protezione dei mercati. L’attività dei revisori è delineata all’art. 14 d.lgs. n. 39/2010, che ne regolamenta gli obblighi, tra i quali rientra la verifica, strumentale alla prestazione principale del revisore, della regolare tenuta della contabilità della società soggetta a revisione, nonché la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabile. Tale attività comporta verso i singoli risparmiatori e investitori responsabilità di natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. e 2409 sexies c.c., essendo ricompresa nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta sul mercato, rispondendo ad una necessità di controllo avvertita dall’intera società attraverso la tutela dell’ordinata conduzione del mercato.
Colui che agisce in giudizio contro i revisori, deve fornire la prova: (i) dell’inadempimento ai loro doveri attraverso la violazione delle regole tecniche e dei principi internazionali di revisione oltre che delle comuni regole di diligenza e prudenza nell’accertamento della corrispondenza alla realtà della rappresentazione contabile dei fatti di gestione contenuta nelle scritture contabili e trasfusa nei bilanci; (ii) del pregiudizio economico arrecato alla sfera giuridica del terzo o del socio, dal conseguente mancato rilievo della discrepanza tra la situazione patrimoniale, economica e finanziaria reale della società e quella rappresentata nei bilanci attestati senza rilievo; (iii) del nesso causale tra la condotta illecita ed il pregiudizio economico, in modo tale che quest’ultimo costituisca, ai sensi dell’art. 1223 c.c., conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento da parte dei revisori ai loro doveri.
Ai sensi dell’art. 15, co. 3, d.lgs.39/2010 l’azione di risarcimento nei confronti dei revisori si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento. La disciplina di derivazione comunitaria (Direttiva 43/06 e Racc CE 5-6-2008) è il risultato di una scelta del legislatore di equilibrio tra l’esigenza di garantire al danneggiato la possibilità di agire per il pieno ristoro del suo pregiudizio e quella di contenere l’eccessiva esposizione del revisore per troppo lungo ed incerto tempo. Il legislatore, dunque, al fine del raggiungimento degli obiettivi delle direttive comunitarie e seguendo le raccomandazioni in materia da parte della Commissione Europea, ha deciso, da un lato, di lasciare in capo ai revisori la responsabilità senza limiti e in solido con gli amministratori; dall’altro, di rendere tuttavia certo il dies a quo della prescrizione, individuato a partire dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento. Tale scelta, coerente con gli obiettivi della legislazione comunitaria, non appare irragionevole né eccessivamente limitativa dei diritti dei danneggiati. La specificità della materia del controllo esterno da parte del revisore giustifica la scelta del legislatore di discostarsi dal principio generale ex art 2935 c.c. che vuole che la prescrizione decorra da quando il diritto può esser fatto valere mantenendo, da un lato, la totale responsabilità del revisore in solido con gli organi sociali della società soggetta a revisione (amministratori) predisponendo tuttavia un limite di esposizione temporale che garantisca al revisore di non rimanere esposto sostanzialmente per un periodo di tempo indefinito al rischio di chiamate in corresponsabilità nei confronti di soggetti la cui individuazione ex ante è praticamente impossibile. Ciò al fine di permettere ai revisori, nell’ambito di quel contemperamento con gli interessi degli investitori, di avere contezza certa di quali possano essere i periodi contestabili nonché di sapere ex post nei confronti di quali soggetti la responsabilità solidale possa permanere. L’inadempimento imputabile ai revisori riguarda l’esercizio negligente dell’attività di revisione di ogni singolo bilancio dove il pregiudizio informativo è istantaneo e si verifica con la pubblicazione del bilancio non veritiero corredato del parere del revisore; l’eventuale differimento della manifestazione all’esterno della lesione al bene giuridico tutelato costituisce un ostacolo di mero fatto, non derivante da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto le sole che, nell’ambito dei principi generali, cui però fa eccezione la disciplina speciale ex d.lgs. 39/2010, possono impedire la decorrenza del termine di prescrizione.
Obblighi e responsabilità del revisore; in particolare, la prescrizione
Ai sensi dell’art. 15 d. lgs. 39/2010, i revisori legali e la società di revisione legale rispondono, in solido tra loro e con gli amministratori, nei confronti della società, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro doveri. L’attività di revisione è preordinata a svolgere un controllo in relazione alla regolarità formale e sostanziale delle operazioni contabili effettuate sui fatti di gestione e sul bilancio da parte della società revisionata, rilasciandone all’esito la relativa attestazione. Dunque, la sua attività è costituita da un complesso di verifiche allo scopo di esprimere un giudizio indipendente e veritiero sull’attendibilità della documentazione contabile e di bilancio del soggetto oggetto di verifica. Tale opera è volta, in esecuzione di un rapporto di carattere privatistico, a realizzare l’interesse pubblico della protezione dei mercati. L’attività dei revisori è delineata all’art. 14 d.lgs. n. 39/2010, che ne regolamenta gli obblighi, tra i quali rientra la verifica, strumentale alla prestazione principale del revisore, della regolare tenuta della contabilità della società soggetta a revisione, nonché la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabile. Tale attività comporta verso i singoli risparmiatori e investitori responsabilità di natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. e 2409 sexies c.c., essendo ricompresa nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta sul mercato, rispondendo ad una necessità di controllo avvertita dall’intera società attraverso la tutela dell’ordinata conduzione del mercato.
Colui che agisce in giudizio contro i revisori, deve fornire la prova: (i) dell’inadempimento ai loro doveri attraverso la violazione delle regole tecniche e dei principi internazionali di revisione oltre che delle comuni regole di diligenza e prudenza nell’accertamento della corrispondenza alla realtà della rappresentazione contabile dei fatti di gestione contenuta nelle scritture contabili e trasfusa nei bilanci; (ii) del pregiudizio economico arrecato alla sfera giuridica del terzo o del socio, dal conseguente mancato rilievo della discrepanza tra la situazione patrimoniale, economica e finanziaria reale della società e quella rappresentata nei bilanci attestati senza rilievo; (iii) del nesso causale tra la condotta illecita ed il pregiudizio economico, in modo tale che quest’ultimo costituisca, ai sensi dell’art. 1223 c.c., conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento da parte dei revisori ai loro doveri.
Ai sensi dell’art. 15, co. 3, d.lgs.39/2010 l’azione di risarcimento nei confronti dei revisori si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento. La disciplina di derivazione comunitaria (Direttiva 43/06 e Racc CE 5-6-2008) è il risultato di una scelta del legislatore di equilibrio tra l’esigenza di garantire al danneggiato la possibilità di agire per il pieno ristoro del suo pregiudizio e quella di contenere l’eccessiva esposizione del revisore per troppo lungo ed incerto tempo. Il legislatore, dunque, al fine del raggiungimento degli obiettivi delle direttive comunitarie e seguendo le raccomandazioni in materia da parte della Commissione Europea, ha deciso, da un lato, di lasciare in capo ai revisori la responsabilità senza limiti e in solido con gli amministratori; dall’altro, di rendere tuttavia certo il dies a quo della prescrizione, individuato a partire dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento. Tale scelta, coerente con gli obiettivi della legislazione comunitaria, non appare irragionevole né eccessivamente limitativa dei diritti dei danneggiati. La specificità della materia del controllo esterno da parte del revisore giustifica la scelta del legislatore di discostarsi dal principio generale ex art 2935 c.c. che vuole che la prescrizione decorra da quando il diritto può esser fatto valere mantenendo, da un lato, la totale responsabilità del revisore in solido con gli organi sociali della società soggetta a revisione (amministratori) predisponendo tuttavia un limite di esposizione temporale che garantisca al revisore di non rimanere esposto sostanzialmente per un periodo di tempo indefinito al rischio di chiamate in corresponsabilità nei confronti di soggetti la cui individuazione ex ante è praticamente impossibile. Ciò al fine di permettere ai revisori, nell’ambito di quel contemperamento con gli interessi degli investitori, di avere contezza certa di quali possano essere i periodi contestabili nonché di sapere ex post nei confronti di quali soggetti la responsabilità solidale possa permanere. L’inadempimento imputabile ai revisori riguarda l’esercizio negligente dell’attività di revisione di ogni singolo bilancio dove il pregiudizio informativo è istantaneo e si verifica con la pubblicazione del bilancio non veritiero corredato del parere del revisore; l’eventuale differimento della manifestazione all’esterno della lesione al bene giuridico tutelato costituisce un ostacolo di mero fatto, non derivante da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto le sole che, nell’ambito dei principi generali, cui però fa eccezione la disciplina speciale ex d.lgs. 39/2010, possono impedire la decorrenza del termine di prescrizione.
Danno da omessa, falsa o inesatta informazione al mercato e responsabilità del revisore
L’azione di risarcimento del danno da omessa, falsa o inesatta informazione al mercato costituisce un’azione indipendente dalla qualità di socio e perciò è esperibile non solo da titolari di azioni, ma anche da altri soggetti, titolari di valori mobiliari diversi che non attribuiscono diritti sociali, o da chi, come spesso accade, socio non è più al momento dell’esercizio dell’azione. Il sistema di certificazione rinvenibile nel T.U.F. e nelle norme secondarie ha la sola funzione di garantire, con immediatezza e fuori dal processo, la certezza delle posizioni giuridiche quando siano in gioco diritti propriamente corporativi e inerenti ai rapporti fra il socio e la società. Ne deriva che l’azione in questione non costituisce esercizio di un diritto sociale e, come tale, resta esclusa dall’ambito applicativo dell’articolo 83 quinquies, co. 3, T.U.F. Nel conflitto tra l’investitore preteso danneggiato, il quale ha un preciso interesse a non vedere appesantito eccessivamente il proprio onere di provare la titolarità del diritti soggettivi azionati, e la società emittente, la quale ha l’interesse a poter acclarare con certezza che l’attore sia (o sia stato) effettivamente titolare delle proprie azioni acquistate sul mercato secondario, il punto di equilibrio va individuato nella prova, libera ma rigorosamente ancorata, ove non si tratti di prova diretta, ai criteri di sufficiente grado di gravità, precisione, concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c.
L’attività di revisione di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 39/2010 comporta verso i singoli risparmiatori e investitori una responsabilità di natura extracontrattuale, essendo ricompresa nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta sul mercato, rispondendo ad una necessità di controllo avvertita dall’intera società attraverso la tutela dell’ordinata conduzione del mercato.
Il soggetto che si ritiene danneggiato dalla condotta del revisore deve allegare di essersi determinato ad effettuare l’investimento nella società a ciò indotto dalla relazione del revisore che ha espresso parere favorevole a bilanci non veritieri e da altre informazioni fuorvianti veicolate prima della conclusione dell’operazione; il presunto danneggiato è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno. In particolare, il riferimento all’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilità ex art 2395 c.c., importa un esame rigoroso del nesso causale, secondo un principio di causalità ancorato al criterio del “più probabile che non”. Conseguentemente, chi si duole dei dati contabili e di bilancio in quanto confortati dal revisore è tenuto ad allegare e, poi, a dimostrare anche l’idoneità dei medesimi a trarre in inganno la sua fiducia: onde deve fornire la dimostrazione del nesso causale fra l’illecito contabile degli amministratori ed il danno patito in modo diretto e in conseguenza dell’illecito commesso.