Opponibilità al fallimento della clausola statutaria compromissoria per arbitrato irrituale
L’esercizio unitario ex art 146 l.f. da parte del curatore, a ciò espressamente legittimato dall’art 2394 bis c.c., delle azioni di responsabilità ex artt 2393 e 2394 c.c. non esclude l’autonomia delle azioni che rimangono, per quanto uno actu esercitate, distinte e diversamente connotate nei loro presupposti, nei loro elementi costitutivi, nella loro qualificazione, nella loro disciplina probatoria, seppure entrambe finalizzate all’unitario obiettivo della curatela di recuperare all’attivo fallimentare tutto quanto “sottratto” o “perduto” per fatti imputabili agli amministratori, ai liquidatori o ai sindaci. L’autonomia e indipendenza delle due azioni esercitate dal curatore ex art 146 l.f. trova una esplicita conferma nel codice della crisi di impresa che all’art 255, prevede, con una significativa modifica rispetto al testo dell’art 146 comma 2 l.f., che il curatore possa promuovere o proseguire, anche separatamente l’azione di responsabilità sociale, l’azione dei creditori sociali prevista dall’art 2394 c.c. e dall’art 2476 comma 6 c.c., l’azione prevista dall’art 2476 comma 7 c.c., l’azione prevista dall’art. 2497 quarto comma c.c. e tutte le azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge.
Ove lo statuto sociale devolva ad un arbitro la risoluzione, inter alia, delle controversie promosse nei confronti di amministratori aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, tale clausola opera con riferimento all’azione di responsabilità sociale degli amministratori ex art. 2393 c.c. ma non all’azione ex art. 2394 c.c. proposta dai creditori sociali, i quali sono soggetti terzi rispetto alla società e al suo statuto. In conseguenza di ciò, la clausola arbitrale contenuta nello statuto sociale è opponibile al curatore che agisca ex art. 146 l.f. con riferimento all’azione ex art. 2393 c.c., dal momento che quest’ultima colloca il curatore nella medesima posizione della società verso gli amministratori.
Legittimazione attiva del fallimento all’esercizio dell’azione nei confronti dei revisori
L’art. 146 legge fallimentare disciplina le azioni di responsabilità esperibili dalla Curatela e, al secondo comma, lettera a) stabilisce che “sono esercitate dal curatore, previa autorizzazione del Giudice Delegato, sentito il Comitato dei creditori, le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori”. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il Curatore Fallimentare può esercitare tutte quelle azioni che fanno capo alla stessa società fallita, o che sono qualificabili come azioni di massa, perché così il legislatore le ha espressamente qualificate in quanto destinate ad incrementare la massa dei beni sui quali i creditori ammessi al passivo possono soddisfare le proprie ragioni secondo le regole del concorso.
L’esercizio dell’azione di responsabilità per tutti i soggetti indicati dalla norma fallimentare prescinde dunque dalla specifica natura delle due azioni – l’azione sociale ex art.2393 c.c. di natura contrattuale che presuppone un danno alla società e l’azione spettante ai creditori ex art. 2394 c.c. di natura extracontrattuale che presuppone l’insufficienza patrimoniale – e consente l’unificazione degli scopi di queste ultime al fine di acquisire all’attivo fallimentare ciò che in ipotesi è andato sottratto o perso per fatto imputabile a tutti gli organi sociali. L’art. 146 l.f. è norma di natura processuale e meramente ricognitiva della legittimazione del Curatore ad esercitare le azioni di responsabilità civilistiche, presentando una formulazione ampia rispetto ai soggetti passivi destinatari della predetta azione. Inoltre trattasi di disposizione a carattere “normativo”, in quanto necessita di essere letta non atomisticamente, ma alla luce delle disposizioni codicistiche di natura sostanziale. Alla luce della giurisprudenza sul punto e in sintonia con la ratio della disposizione in esame, l’ampia nozione di organi di controllo non può essere circoscritta solamente ai componenti dell’organo sindacale ma, tenuto conto della attività espletata, può ragionevolmente essere estesa anche ai revisori, in quanto soggetti deputati al controllo contabile della società. Tale interpretazione “estensiva” trova ulteriore conferma nel regime di responsabilità a cui sono assoggettati i revisori ai sensi dell’art. 2409-sexies, applicabile ratione temporis.
Tale disposizione prevede che “i soggetti incaricati del controllo contabile sono sottoposti alle disposizioni dell’art. 2407 e sono responsabili nei confronti della società, dei soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri. Nel caso di società di revisione i soggetti che hanno effettuato il controllo contabile sono responsabili in solido con la società medesima”. E’ proprio il richiamo integrale all’art. 2407 c.c. e, significativamente, al suo terzo comma, nonché l’espresso riferimento ai “terzi”, da leggersi quali “creditori sociali”, a radicare la legittimazione della Curatela ad agire anche a tutela dei diritti patrimoniali dei creditori. Pertanto, alla luce dell’art. 146 l.f. – norma che riassume in sé e legittima la Curatela ad agire tanto a tutela della società quanto della massa creditoria – e sulla base della giurisprudenza maturata sul tema, si può ragionevolmente affermare che al Curatore spettano tutte le azioni di responsabilità esperibili nei confronti dei soggetti che a vario titolo abbiano operato all’interno della società.
Azione ex art. 2497 cod. civ.: non sussiste litisconsorzio necessario tra la controllante e i suoi amministratori che abbiano preso parte al fatto lesivo
Il creditore è libero di agire in giudizio contro qualunque debitore solidale, senza necessità di evocare in giudizio tutti o determinati debitori: ciò vale anche rispetto all’azione di responsabilità per abuso di direzione e coordinamento, non sussistendo litisconsorzio necessario tra essa e i suoi amministratori nell’ipotesi di responsabilità solidale di cui all’art. 2497, secondo comma, c.c..
Il curatore fallimentare della società soggetta a direzione e coordinamento può evocare in giudizio gli amministratori della controllante che abbiano preso parte al fatto lesivo, e siano responsabili ai sensi dell’art. 2497, secondo comma, c.c., senza essere tenuto ad agire contro la controllante medesima.
Ove la società acquisti un’azienda il cui valore è pari allo zero, il danno arrecato alla società è pari al prezzo di acquisto, anche ove la provvista per pagare il corrispettivo arrivi da un finanziamento della controllante.
In caso di azione di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare, in presenza di alcuni debitori transigenti, deve essere valutata anche la quota ideale di responsabilità di questi, al fine di valutare l’esistenza e l’entità dell’eventuale credito del Fallimento nei confronti dei convenuti che non hanno transatto. In applicazione del principio di parità di cui all’art. 1298 c.c., il debito residuo da richiedersi ai debitori non transigenti, deve essere determinato operando la riduzione in ragione delle parti che hanno transatto, in misura pari all’importo della quota ideale di debito.
Gli amministratori privi di delega rispondono delle conseguenze dannose della condotta degli amministratori con delega soltanto qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati. Al pari, all’amministratore assente all’adunanza durante la quale è stato deliberato il compimento dell’atto costituente mala gestio ex artt. 2393 e 2394 c.c., deve essere addebitato il fatto a titolo di colpa nella causazione del danno.
Irrilevanza della prova dell’esistenza di creditori antecedenti all’atto di mala gestio
Il creditore è libero di agire in giudizio contro qualunque debitore solidale, senza necessità di evocare in giudizio tutti o determinati debitori: ciò vale anche rispetto all’azione di responsabilità per abuso di direzione e coordinamento, non sussistendo litisconsorzio necessario tra essa e i suoi amministratori nell’ipotesi di responsabilità solidale di cui all’art. 2497, secondo comma, c.c.
Risulta irrilevante, ai fini dell’esercizio dell’azione ex art. 2394 c.c., la prova dell’esistenza di creditori antecedenti all’atto di mala gestio, rilevando il solo carattere pregiudizievole dell’atto sul patrimonio sociale nel suo complesso, idonea a pregiudicare i creditori, siano essi anteriori o posteriori all’atto contestato.
Azione di responsabilità e azione revocatoria esercitate dal curatore fallimentare: presupposti, prescrizione e onere della prova
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. – cumulativa dei presupposti e degli scopi dell’azione sociale di responsabilità ex artt. 2392 e 2393 c.c. e dell’azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. – è soggetta alla prescrizione quinquennale con decorso, secondo quanto previsto dall’art. 2395 c.c., dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Il dies a quo di tale azione, dunque, deve essere individuato: quanto all’azione sociale di responsabilità, dal giorno in cui sono percepibili i fatti dannosi posti in essere dagli amministratori ed il danno conseguente; quanto all’azione dei creditori sociali, dal giorno in cui si è manifestata, divenendo concretamente conoscibile, l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i loro crediti.
In particolare, per quanto concerne l’azione dei creditori sociali esercitata dal curatore fallimentare, il dies a quo deve essere individuato nel momento della oggettiva conoscibilità del dato di fatto costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali, momento che può essere anteriore o posteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento. L’insufficienza patrimoniale che qui assume rilievo è data dalla eccedenza delle passività sulle attività, momento distinto rispetto all’insolvenza e che può dunque manifestarsi prima di questa. L’onere della prova che l’insufficienza patrimoniale rilevabile dai creditori si sia manifestata prima della dichiarazione di fallimento incombe su colui il quale intenda eccepire l’intervenuta prescrizione dell’azione. Il dies a quo per l’esercizio dell’azione dei creditori sociali non può essere individuato nel momento in cui sono state presentate istanze di fallimento né sono stati ottenuti decreti ingiuntivi, trattandosi di iniziative non destinate ad essere rese pubbliche.
L’amministratore di società, che abbia continuato nella gestione ordinaria della società dopo il verificarsi della causa di scioglimento consistente nella perdita integrale del capitale sociale, è responsabile ai sensi dell’art. 2392 c.c., in quanto la sua condotta si risolve nella violazione di doveri imposti dalla legge agli amministratori e, in particolare, degli artt. 2447, 2485 e 2486 c.c.; in questo caso, il danno deve individuarsi nelle perdite registrate dopo il verificarsi della causa di scioglimento e, ai fini del suo computo, deve essere adottato il metodo della differenza tra i netti patrimoniali (o della perdita incrementale).
Quando l’azione ex art. 2392 c.c. è esercitata dalla curatela fallimentare, la curatela sarà tenuta a provare soltanto l’inadempimento dell’amministratore agli obblighi su di lui gravanti ed il danno derivato dall’inadempimento, restando invece a carico del convenuto l’onere di provare la mancanza di colpa secondo il modello generale previsto, per la responsabilità contrattuale, dall’art. 1218 c.c.
L’azione revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901 c.c. esercitata dal curatore fallimentare richiede la dimostrazione, da parte della curatela attrice, oltre che del “consilium fraudis”, anche dell’esistenza dell’”eventus damni”, cioè di un pregiudizio legato all’atto dispositivo che si vuole rendere inefficace, non operando, in tal caso, la presunzione di dannosità alle ragioni della massa dei creditori che colora l’azione revocatoria fallimentare ex art 67 l.fall. Tale pregiudizio deve essere dunque accertato e valutato in concreto: l’atto ritenuto pregiudizievole, cioè, deve aver effettivamente compromesso le ragioni di garanzia patrimoniale rappresentate dal patrimonio del debitore, vanificando o anche semplicemente ostacolando le possibili iniziative dei creditori volte al recupero, seppur coattivo, del credito vantato.
Al fine di verificare la sussistenza di tale pregiudizio, è necessario il confronto tra il patrimonio del debitore subito dopo la modificazione subita a seguito del compimento dell’atto di disposizione che si intende revocare e l’entità dei debiti preesistenti al compimento dell’atto. Quando l’azione revocatoria sia esercitata dal curatore a seguito del fallimento del disponente, nell’interesse di tutti i creditori ammessi al passivo, grava comunque sul curatore l’onere di provare che il credito dei creditori ammessi era già sorto al momento dell’atto asseritamente pregiudizievole, ad esempio evidenziando la presenza, al momento dell’atto di disposizione, di istanze di fallimento già presentate e di decreti ingiuntivi ottenuti a danno del disponente.
Per quanto concerne, invece, la dimostrazione del “consilium fraudis”, si ritiene non sia necessaria l’intenzione di nuocere ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore stesso, del pregiudizio che, mediante l’atto di disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore, consapevolezza la cui prova può essere fornita anche mediante presunzioni; non è, infine, neppure necessario che il compimento dell’atto abbia definitivamente pregiudicato le ragioni del credito, ma è sufficiente una mera variazione (in peius) del patrimonio del debitore che possa rendere maggiormente difficoltosa ed incerta l’esazione coattiva del credito. In tal caso il creditore ha solo l’onere di dimostrare la variazione del patrimonio del debitore ma non anche l’entità del residuo.
Sull’onere probatorio nell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare
Nell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall., esercitata dal curatore nei confronti di amministratori e sindaci di S.p.A. fallita, l’inadempimento si presume colposo: se l’allegazione della violazione degli obblighi (che, nel caso della fattispecie dell’azione sociale riguarda doveri imposti dalla legge, dallo statuto o obblighi generali di vigilanza e intervento, mentre, nel caso dell’azione spettante ai creditori sociali, riguarda comportamenti lesivi dell’integrità patrimoniale) grava sul curatore, la prova della mancanza del nesso di causalità tra tali comportamenti e il fatto dannoso, e quindi la prova positiva dell’osservanza di tali doveri, grava sugli amministratori. In questo contesto, il nesso di causalità non è solo presupposto necessario e sufficiente per affermare la responsabilità risarcitoria, ma anche parametro per l’entità del risarcimento. In particolare, gli obblighi che riguardano la riduzione del capitale per perdite al disotto del minimo legale – prevista come causa di scioglimento, la quale conferisce agli amministratori il potere di gestire la società ai fini della liquidazione – implicano responsabilità non solo per mancanza di accertamento della menzionata causa ma anche per il suo non tempestivo riconoscimento: chi agisce ex art. 2486 c.c. deve dunque fornire evidenza della prosecuzione dell’attività imprenditoriale, dell’avvenuta perdita di capitale e gli atti negoziali posti in essere successivamente – e nonostante – la conoscenza della predetta causa di scioglimento; spetta invece agli amministratori provare che la protrazione dell’attività è dovuta a finalità liquidatorie, connesse all’ordinaria attività di impresa e non comportanti nuovi rischi.
Azione di responsabilità nei confronti degli amministratori da parte del creditore sociale: l’onere della prova
Il creditore di s.r.l. che subisce un danno dalla condotta dell’amministratore nell’esercizio delle proprie funzioni può accedere, alternativamente: (i) all’azione di responsabilità di cui all’art. 2476, co. 6, c.c. per il danno direttamente subito da condotta dolosa o colposa [ LEGGI TUTTO ]
Responsabilità degli amministratori di S.r.l. per mancato pagamento delle imposte. Prescrizione dell’azione sociale di responsabilità
Tra gli obblighi di diligente gestione e di conservazione del patrimonio sociale deve essere ricompreso quello di gestire le risorse finanziarie in modo da provvedere agli obblighi fiscali ed evitare l’aggravio delle relative sanzioni e interessi di mora [ LEGGI TUTTO ]
Azione di responsabilità dei creditori di s.r.l.
L’azione di responsabilità per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale spetta anche ai creditori di società a responsabilità limitata. [ LEGGI TUTTO ]
Domanda di liquidazione della quota del socio defunto e responsabilità dei soci ex art. 2267 c.c.
Gli eredi del socio defunto di una società semplice possono agire, in qualità di creditori sociali, per la liquidazione della quota del de cuius facendo valere i propri diritti patrimoniali non solo sul patrimonio sociale e su quello personale dei soci amministratori ma [ LEGGI TUTTO ]