Se il curatore non specifica il titolo della domanda nell’azione di responsabilità, si presume che abbia esercitato congiuntamente le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c.
L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare; (ii) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; (iii) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza. La prova della posizione di amministratore di fatto implica, perciò, l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti, ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale.
L’efficacia probatoria del contenuto della relazione redatta dal curatore esige di essere diversamente valutata a seconda della natura delle risultanze da essa emergenti: la relazione, in quanto formata da pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, fa piena prova fino a querela di falso degli atti e dei fatti che egli attesta essere stati da lui compiuti o essere avvenuti in sua presenza (ivi comprese le dichiarazioni dei terzi relativamente e limitatamente alla loro realtà effettuale). Tale rilevanza probatoria non assiste, invece, contro le contestazioni opponibili dai controinteressati, il contenuto delle dichiarazioni dei terzi nella loro intrinseca veridicità, che resta quindi liberamente valutabile in ordine alla effettiva rispondenza di quanto dichiarato (e dal curatore soltanto recepito e riferito) alla verità storica dei fatti.
L’azione esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c.; la mancata specificazione del titolo nella domanda fa presumere che il curatore abbia inteso esercitarle congiuntamente entrambe.
Grava sull’amministratore l’onere di dare prova dell’esatto adempimento dei propri doveri e quindi della conformità delle operazioni economiche generatrici di esborsi agli interessi della società.
Responsabilità degli amministratori di società controllante e controllata per atti di mala gestio e indebita prosecuzione dell’attività sociale
È ammissibile la domanda di condanna al risarcimento dei danni pur in assenza di una espressa e tempestiva domanda preliminare di accertamento della responsabilità, in quanto la domanda di condanna presuppone logicamente ed implicitamente la domanda di accertamento della responsabilità. La domanda di condanna, infatti, presuppone logicamente in modo necessario l’accertamento di tutti gli elementi costitutivi del o degli illeciti civili (contrattuali o extracontrattuali) sulla cui base essa è stata formulata, accertamento che, pertanto, si deve considerare in essa sempre contenuto, anche implicitamente ove l’attore non formuli in modo espresso anche la domanda relativa. L’autonomia della domanda di accertamento rispetto a quella di condanna rileva quando l’attore ritenga di proporre solo la prima e non anche la seconda, nell’ambito di una legittima valutazione del proprio interesse ad egli esclusivamente rimessa, non certo per anche solo ipotizzare che la domanda di accertamento non possa essere considerata sempre e comunque implicitamente contenuta nella domanda di condanna che la presuppone necessariamente.
L’azione di responsabilità promossa nei confronti dell’amministratore della controllante ex art. 2497 c.c. è ammissibile anche in assenza della partecipazione al giudizio della società controllante stessa; la norma prevede, infatti, un’ipotesi corresponsabilità solidale con la società, con la conseguenza che, in applicazione delle ordinarie disposizioni dettate in materia di solidarietà nelle obbligazioni, il creditore è libero di agire in giudizio contro qualunque debitore in solido.
Gli amministratori che non abbiano operato rispondono delle conseguenze dannose delle condotte di altri amministratori (che abbiano operato) qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento o abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati.
L’art. 1304, co. 1, c.c. si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l’intero debito e non la sola quota del debitore con il quale è stipulata, poiché è la comunanza dell’oggetto della transazione che comporta, in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, la possibilità per il condebitore solidale di avvalersene, pur non avendo partecipato alla sua stipulazione. Se, invece, la transazione tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto esclusivamente la quota del condebitore che l’ha conclusa, occorre distinguere: qualora il condebitore che ha transatto abbia versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato; ove il pagamento sia stato inferiore, il debito residuo degli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente); in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche. In tema di risarcimento del danno, è possibile assegnare alla consulenza tecnica d’ufficio e alle correlate indagini peritali funzione percipiente quando essa verta su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone.
Cessione della partecipazione in pendenza dell’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 3 c.c. Oggetto dell’azione di responsabilità per danno diretto
La cessione dell’intera partecipazione da parte del socio di s.r.l., in pendenza del giudizio avente ad oggetto l’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 3 c.c. da quest’ultimo esercitata, determina la declaratoria di improcedibilità della domanda per sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire dell’attore, posto che le condizioni dell’azione devono non solo sussistere al momento della proposizione della domanda giudiziale, ma devono altresì persistere sino al momento della relativa decisione.
L’ex socio, quale soggetto terzo, resta invece legittimato a proseguire l’azione di responsabilità per danno diretto esercitata nei confronti dell’amministratore e del socio concorrente nell’illecito, ai sensi dell’art. 2476, co. 7 e 8 c.c.
Con tale azione, devono essere contestati addebiti di natura gestoria, vale a dire condotte inerenti all’amministrazione in senso stretto dell’ente, connotate in senso illecito in ambito endo-societario e riverberantisi in danno di singoli soci o terzi.
Pertanto, se l’attore – richiamando specificamente la responsabilità per danno diretto – contesta delle condotte che si risolvono non in un atto relativo alla gestione della società, ma in un accordo tra i soci quanto alle loro scelte di partecipazione alla ricapitalizzazione dell’ente, la domanda dev’essere rigettata, in quanto palesemente estranea rispetto allo schema normativo espressamente richiamato, non essendo consentito al Tribunale operare una diversa qualificazione della pretesa risarcitoria [nel caso di specie, con l’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 7 e 8 c.c. l’attrice aveva espressamente contestato di essere stata costretta – dall’amministratore in concorso con l’altro socio – a partecipare (indirettamente) alla copertura delle perdite mediante cessione della propria partecipazione, per un corrispettivo pari al valore nominale della quota, che risultava superiore rispetto all’ammontare complessivo delle perdite che ella sarebbe stata chiamata a coprire pro-quota, quantificando il danno diretto in misura pari alla differenza tra il corrispettivo incassato dalla cessione e la somma che avrebbe impiegato a fronte di una diretta partecipazione alle perdite].
Responsabilità degli amministratori di s.p.a.: transazione parziale, amministratore di fatto e notificazione al convenuto residente all’estero
In tema di obbligazioni solidali, al fine di determinare il debito che residua a carico degli altri debitori in solido a seguito della transazione conclusa da uno di essi nei limiti della propria quota, occorre verificare se la somma pagata sia pari o superiore alla quota di debito gravante su di lui, oppure sia inferiore, perché, nel primo caso, il debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente a quanto effettivamente pagato dal debitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, mentre, nel secondo caso, lo stesso debito si riduce in misura corrispondente alla quota gravante su colui che ha transatto.
È infondata la domanda risarcitoria proposta dalla società che si fonda sulla prospettazione della responsabilità solidale di un individuo considerato amministratore di fatto o quale terzo concorrente ai sensi dell’art. 2043 c.c., qualora, a seguito dell’intervenuta transazione in corso di giudizio conclusa dalla società con gli altri convenuti coobbligati solidali membri del consiglio di amministrazione, la società non riduca nei confronti del convenuto coobbligato solidale rimasto estraneo alla transazione la pretesa risarcitoria in considerazione della porzione di debito già estinta dagli altri debitori in solido, né produca in giudizio il testo delle transazioni concluse con gli altri convenuti, rendendo impossibile l’accertamento in giudizio dell’esistenza e consistenza del danno residuo che è uno degli elementi costitutivi della responsabilità.
Ai fini del riconoscimento della qualità di amministratore di fatto è necessario che il soggetto privo di formale investitura si sia ingerito nella gestione della società, compiendo atti tipici di esercizio della funzione gestoria o impartendo direttive che ne condizionino le scelte operative con sistematicità, continuità e completezza, non potendo la gestione di fatto esaurirsi in episodi sporadici ed occasionali.
È infondata la domanda risarcitoria svolta della società attrice nei confronti del convenuto ai sensi dell’art. 2043 c.c. per aver indotto, in qualità di terzo, l’organo amministrativo della società a compiere una complessa operazione di compravendita di quote e sottoscrizione di azioni dell’aumento di capitale e, in ultima analisi, quale conferente in natura di assets senza i presidi di cui agli art. 2342 ss. c.c., ovvero di una relazione giurata di un perito nominato dal tribunale, escogitata a suo esclusivo vantaggio in danno della società, in assenza di specifica allegazione da parte della società attrice delle modalità con cui il convenuto avrebbe “indotto” l’organo amministrativo a compiere l’operazione illecita se con l’inganno o con la minaccia, né avendo la società attrice spiegato come l’inganno o la minaccia avrebbero potuto influenzare in misura determinante un esperto del settore, tanto da indurlo ad agire in danno della società.
È da ritenersi valida la notificazione eseguita nei confronti del convenuto avente la residenza anagrafica all’estero presso la sua dimora in Italia, ai sensi dell’art. 142, co. 1, c.p.c., interpretato in modo tale da privilegiare il collegamento più rilevante del destinatario con il luogo sito in Italia in base al principio di effettività della notificazione, non trovando applicazione diretta per i soggetti residenti all’estero l’ordine preferenziale dei luoghi di consegna stabilito dall’art. 139 c.p.c.
Principi sostanziali e processuali in materia di responsabilità di amministratori e sindaci
Il potere-dovere di controllo dei sindaci non è limitato alla sola verifica del rispetto della legge e dello statuto, ma si estende alla valutazione dei principi di corretta amministrazione, compresa la verifica che il procedimento decisionale che ha determinato l’organo amministrativo nella scelta di gestione sia completo e corredato di tutte le informazioni del caso concernenti i potenziali rischi nel contesto della situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società. Inoltre, il dovere di vigilanza e controllo dei sindaci, pur non potendo travalicare sulla opportunità e la convenienza delle scelte gestionali, il cui apprezzamento è riservato agli amministratori, si estende alla legittimità sostanziale dell’attività sociale.
I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 ss. c.c. sono configurati con particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali; né riguardano solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione. Compito essenziale è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale ex art. 1176 c.c.: dovere del collegio sindacale è di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto.
Affinché si configuri la violazione del dovere di vigilanza da parte dell’organo di controllo, non è necessaria l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, eventualmente anche mediante la denuncia al tribunale di cui all’art. 2409 c.c.
Il vincolo solidale ex art. 2055 c.c. tra sindaci e amministratori trova il proprio presupposto nell’unicità dell’evento dannoso, ancorché determinato dall’azione/omissione di più soggetti e indipendentemente dalla colpa (intesa come apporto causale) di ciascun partecipe, la quale rileva unicamente nei rapporti interni per l’eventuale regresso. Infatti, il diverso rilievo causale di quanti (sindaci ed amministratori) abbiano concorso alla causazione del danno, inteso come insufficienza patrimoniale della società, assume rilievo nei soli rapporti interni tra coobbligati (ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di regresso) e non anche nei rapporti esterni che legano gli autori dell’illecito al danneggiato.
Per dimostrare l’esistenza di una supersocietà di fatto che abbia eterodiretto altre società, abusando del proprio potere direzionale e di controllo, non è sufficiente la prova della sussistenza di un operare concertato e finalizzato, né della circostanza che i componenti di una stessa famiglia si siano alternati nei ruoli gestori in più società, connotazioni di per sé non anomale in un contesto di gruppo societario di fatto.
È improduttiva di effetti giuridici, perché tardiva, la costituzione in giudizio del convenuto che, a seguito di interruzione del processo e successiva riassunzione, si sia costituito con il deposito della comparsa conclusionale: con la rimessione della causa al collegio ex art. 190 c.p.c. solo le parti già ritualmente costituite possono interloquire con gli scritti conclusivi e non sono ammissibili ulteriori attività processuali; ne consegue che, espletate le attività ex art. 190 c.p.c., la parte contumace non può più costituirsi in giudizio e l’eventuale costituzione nei termini assegnati per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche va dichiarata inammissibile, con conseguente preclusione dell’esame dell’atto eventualmente depositato.
Responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali e concorso del terzo non amministratore
L’azione ex art. 2394 c.c. e l’azione ex art. 2476, co. 6 c.c. pongono in capo agli amministratori una specifica obbligazione anche verso i creditori sociali finalizzata alla conservazione della garanzia patrimoniale della società ex art. 2740 c.c. L’azione è diretta, autonoma e genera in capo all’amministratore una responsabilità assimilabile a quella contrattuale in quanto fondata sullo specifico rapporto stabilito dalla legge tra i doveri degli amministratori e il diritto dei creditori sociali.
L’art. 2394-bis c.c. stabilisce, esprimendo un principio generale che vale anche per la parallela azione ex art. 2476, co. 6 c.c., che in caso di fallimento della società debitrice l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore spetta al curatore. Si tratta di legittimazione del curatore attribuita ex lege, posto che l’azione non è di quelle di cui era titolare la società e nelle quali invece subentra ex art. 43 l.fall. il curatore, ed esclusiva, tanto da privarne i creditori sociali, fino a che pende la procedura concorsuale e ciò anche se la curatela resta inattiva. L’art. 2394-bis c.c. assegna all’azione una finalità recuperatoria del patrimonio della fallita nell’interesse indistinto di tutti i creditori che ne consente la qualificazione come azione della massa, a tutela della par condicio creditorum.
Nell’illecito proprio dell’amministratore descritto dall’art. 2394 c.c. può concorrere anche il terzo che amministratore non sia. Poiché il danno al creditore è derivativo del danno al patrimonio della società, il curatore è legittimato verso il terzo, concorrente nell’illecito con l’amministratore, ex art. 43 l.fall. come successore del fallito nell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. In caso di intervenuto fallimento al terzo e al creditore sociale residua la legittimazione all’azione ex art. 2476, co. 7 c.c. ed ex art. 2043 c.c. verso il terzo per il risarcimento dei danni che devono però porsi come direttamente cagionati al loro patrimonio dalla condotta di mala gestio dell’amministratore ed eventualmente di terzi concorrenti.
Azioni esercitate dal creditore ex art. 2394 e 2395 c.c. in pendenza di fallimento
E’ inammissibile la domanda proposta dal creditore sociale ai sensi dell’art. 2394 c.c. nei confronti dell’ex amministratore di una società a responsabilità limitata a seguito dell’intervenuto fallimento della stessa. Ciò in quanto l’art. 2394 bis c.c. trova applicazione anche in tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata. E’ infatti il curatore, ai sensi dell’art. 146 l. fall., ad essere legittimato ad esperire l’azione dei creditori sociali, pure in mancanza di un espresso richiamo all’art. 2394 c.c. previsto per le sole società per azioni ma applicabile in via analogica: accedendo ad una diversa tesi si creerebbe infatti una disparità di trattamento ingiustificata tra i creditori della società azionaria e quelli della s.r.l., tenuto conto che dopo la novella dell’art. 2476 c.c., introdotta dall’art. 378 del d.lgs. n. 14 del 2019, anche nella società a responsabilità limitata è ora espressamente ammessa l’azione dei creditori sociali (Cass. 23452/2019).
L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non è sufficiente per predicare la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente attraverso il rimedio di cui all’art. 2395 c.c., presupponendo infatti l’azione in parola la lesione di un diritto patrimoniale del socio o del terzo che non sia mera conseguenza -indiretta- del depauperamento del patrimonio sociale. Tale ultima ipotesi è rinvenibile, ad esempio, laddove -in violazione dei principi di cui agli artt. 1337 e 1375 c.c.- vengano assunte obbligazioni che la società sin dall’inizio non avrebbe potuto assolvere (nella specie il Tribunale ha accolto la domanda del creditore di canoni locatizi, accertando che il debitore, poi fallito, aveva fin dal momento della conclusione del contratto sottaciuto la situazione di dissesto).
Responsabilità del liquidatore per omessa indicazione nel bilancio di un debito della società
Sussiste la responsabilità dell’amministratore/liquidatore ex artt. 2476 comma 7 e 2489 comma 2 c.c. per danno diretto nei confronti del terzo creditore, per avere, in violazione dei doveri inerenti alla carica di amministratore prima e di liquidatore poi, con grave negligenza e imperizia, omesso di appostare il debito della società nei confronti del creditore nei bilanci della società debitrice fino al bilancio finale di liquidazione, omesso di chiedere ai soci di effettuare i versamenti necessari per pagare detto debito, chiuso la liquidazione e cancellato la società dal registro delle imprese omettendo qualsivoglia menzione, considerazione e pagamento del debito nei confronti del creditore, di cui era ben a conoscenza per averlo espressamente riconosciuto e per avere ricevuto (neanche un mese prima della delibera di messa in liquidazione volontaria della società) la diffida di pagamento che prospettava azioni giudiziarie in difetto di restituzione del dovuto.
L’efficacia probatoria del documento contabile nell’azione di responsabilità contro gli amministratori
Il documento contabile non sottoscritto dagli amministratori e formato successivamente alla dichiarazione di fallimento non spiega alcuna efficacia probatoria nei confronti degli ex amministratori convenuti nel giudizio di responsabilità promosso dal curatore fallimentare.
Prescrizione dell’azione sociale di responsabilità degli amministratori per evasione d’imposta
L’azione sociale di responsabilità dell’amministratore per i fatti che hanno portato alla emissione della cartella di pagamento dall’Agenzia delle entrate per evasione d’imposta si prescrive nel termine di 5 anni. Questa decorre da quando il potenziale danno è stato portato a conoscenza della società, vale a dire dalla ricezione dell’avviso di accertamento e non dalla notifica della cartella di riscossione da parte dell’Agenzia delle Entrate.