Natura dell’azione di responsabilità contro gli amministratori nelle società cooperative
L’azione di responsabilità proposta dal rappresentante comune dei soci di una società cooperativa nei confronti dei componenti del consiglio di amministrazione va qualificata quale azione sostitutiva dei soci ai sensi dell’art. 2393 bis, co. 1, c.c. (applicabile alle cooperative stante il rinvio operato dall’art. 2519 c.c.), nell’ambito della quale la società è litisconsorte necessaria.
Obblighi e responsabilità degli amministratori
La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso la società comporta che questa o il socio che agiscano hanno l’onere di allegare e dimostrare la sussistenza delle condotte, del danno e del nesso di causalità, mentre incombe sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.
L’amministratore della società ha il compito di gestire l’impresa compiendo tutte le operazioni necessarie per il conseguimento dell’oggetto sociale secondo i doveri imposti dalla legge, dall’atto costitutivo e dello statuto; le obbligazioni inerenti la carica di amministratore di società sono assai variegate, ma alcune di esse risultano puntualmente specificate e si identificano in ben determinati comportamenti, tra cui la predisposizione di un assetto organizzativo, contabile, amministrativo adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, la tenuta delle scritture contabili, la predisposizione dei bilanci, i prescritti adempimenti tributari e fiscali.
In particolare, l’amministratore ha l’obbligo, imposto dall’art. 2381, ult. co., c.c., di “agire in modo informato”: obbligo che si declina da un lato, nel dovere di attivarsi, esercitando tutti i poteri connessi alla carica, per conseguire al meglio l’oggetto sociale o per prevenire, eliminare ovvero attenuare le situazioni di criticità aziendale di cui sia, o debba essere, a conoscenza; dall’altro, in quello di informarsi, affinché tanto la scelta di agire quanto quella di non agire risultino fondate sulla conoscenza della situazione aziendale che lo stesso si possa procurare esercitando tutti i poteri di iniziativa cognitoria connessi alla carica con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.
Responsabilità dell’amministratore per illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa
Il curatore fallimentare che intenda far valere la responsabilità dell’amministratore per non aver accertato la causa di scioglimento della società ex art. 2484, n. 4 c.c., relativa alla riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale, e per aver proseguito l’esercizio dell’attività produttiva con finalità non meramente conservative, in violazione dell’art. 2486 c.c., deve allegare e provare che, successivamente alla perdita del capitale, sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di un nuovo rischio economico-commerciale, compiute al di fuori di una logica meramente conservativa, individuando siffatte iniziative e le conseguenze negative che ne sono derivate sul piano del depauperamento del patrimonio sociale.
Azione esercitata dal curatore fallimentare: responsabilità dell’amministratore e del socio di s.r.l.
L’amministratore di società a responsabilità limitata è responsabile in relazione ad ogni accadimento che investa il valore dell’attivo non rinvenuto dal fallimento e pertanto ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.
Giacché l’art. 2476, co. 8 c.c. postula un legame di solidarietà passiva tra amministratore e socio, il socio non amministratore, responsabile della decisione o dell’autorizzazione a compiere un determinato atto dannoso, può esser chiamato a rispondere per danni cagionati alla società o a terzi soltanto se sia configurabile anche una responsabilità dell’amministratore.
Responsabilità solidale dei membri del consiglio di amministrazione
In tema di responsabilità dell’organo amministrativo, qualora l’amministrazione di un ente sia affidata ad un organo collegiale i cui componenti siano sprovvisti di specifiche deleghe, non trovano applicazione, ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità, le condizioni e le limitazioni stabilite dall’art. 2392 c.c.
Tutti i componenti dell’organo amministrativo sono tenuti, in forza dei doveri inerenti alla carica rivestita, a preservare l’integrità del patrimonio sociale, con conseguente responsabilità solidale tra tutti i componenti dell’organo amministrativo in caso di inosservanza ai doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto.
Nei rapporti interni, in mancanza di altri parametri ragionevolmente applicabili, la responsabilità dovrà essere ripartita in parti uguali secondo il criterio presuntivo di cui all’art. 1298 c.c.
La legittimazione del socio a impugnare delibere del CdA
L’art. 2388 c.c. è applicabile anche alle s.r.l., per le delibere del CdA delle quali è espressamente prevista dalla legge la sola impugnabilità entro novanta giorni delle decisioni patrimonialmente pregiudizievoli per la società, adottate con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interesse. La norma in questione pone dei limiti all’impugnabilità delle delibere del CdA e, al fine di garantire una maggiore stabilità alle delibere dell’organo gestorio rispetto a quelle dell’organo assembleare, non distingue tra ipotesi di annullabilità e nullità e consente l’impugnazione ai soli soggetti specificamente indicati ed entro il termine di decadenza previsto. L’art. 2388 c.c. riconosce la possibilità per i soci di impugnare le delibere consiliari se lesive dei loro diritti. Ove la delibera non sia, invece, pregiudizievole dei diritti dei soci, eventuali vizi della stessa potranno essere fatti valere solo dagli amministratori assenti o dissenzienti o dal collegio sindacale.
La legittimazione del socio di società cooperativa rispetto all’impugnativa di delibere del CdA è confinata a ipotesi eccezionali e solo se la delibera violi direttamente una posizione di diritto amministrativo o patrimoniale sua propria – come in caso di illegittima esclusione, di mancato riconoscimento del diritto di opzione o di recesso che gli spetti –, mentre per altre violazioni di fonti legali o statutarie che involgano l’attività gestoria, i rimedi messi a disposizione dell’ordinamento in favore dei soci sono di diversa natura e si sostanziano nell’esercizio dell’azione di responsabilità. Pertanto, il socio di società cooperativa che intende impugnare una delibera del CdA è onerato di dimostrare di aver subito un pregiudizio che colpisca in modo diretto la sua sfera giuridico-personale patrimoniale.
Azione di responsabilità sociale contro gli amministratori e onere della prova
L’azione di responsabilità sociale ex art. 2392 c.c. contro gli amministratori ha natura contrattuale sicché su chi promuove l’azione spetta esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre incombe sull’amministratore l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva con riferimento agli addebiti contestati dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi a lui imposti.
Qualora i comportamenti addebitati non siano in sé vietati dalla legge e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà o dal dovere di diligenza, l’onere della prova dell’attore non si esaurisce nella prova dell’atto compiuto dall’amministratore ma investe anche quegli elementi di contesto dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza.
Presupposti per l’accertamento della qualifica di amministratore di fatto di S.r.l. e responsabilità gestoria
La qualifica di amministratore di fatto postula, a norma dell’art. 2639 cod. civ., l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione gestoria, e la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive.
È assoggettabile all’azione di responsabilità, ai sensi degli art. 146 L.F., anche l’amministratore di fatto, identificabile in colui che abbia effettivamente gestito la società in assenza di una nomina in forma legale oppure quando l’investitura sia ricollegabile al contegno dei soci, in modo da determinare l’inserimento di tale organo amministrativo nella funzione, con conseguente assunzione degli obblighi connessi all’ufficio assunto.
Responsabilità dell’amministratore di S.r.l. per dispersione dei crediti sociali
L’amministratore di S.r.l. che omette di consegnare al curatore documenti validi per il recupero dei crediti sociali deve essere ritenuto responsabile, nei confronti della società e dei creditori sociali, della dispersione di detti crediti. Infatti, tale condotta rende di fatto irrecuperabili i crediti sociali e può portare ad un’azione di responsabilità ex art. 146 L. Fall. da parte del curatore fallimentare nei confronti dell’amministratore.
In particolare, il Tribunale, prendendo in esame un contratto di fornitura concluso verbalmente con una Pubblica Amministrazione, rileva che la negligente conclusione di un contratto viziato da un macroscopico motivo di nullità determina l’insorgere di un credito di difficile recupero.
Nesso causale tra condotta dell’amministratore e danno, conseguenze della mancata dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio
L’azione ex art. 146 l. fall. presenta natura inscindibile ed unitaria, in quanto cumula le due possibili forme di tutela previste per la società e per i creditori le quali si trasferiscono, con l’apertura del fallimento, in capo al curatore.
La responsabilità dell’amministratore sussiste solo in presenza (i) della violazione degli obblighi posti a suo carico dalla legge o dallo statuto, (ii) della causazione di un danno al patrimonio sociale e (iii) di un nesso causale tra la violazione dei doveri e la produzione del danno. Una volta individuati quindi i comportamenti violativi, che siano addebitabili agli organi gestori, occorre dedurre e provare che gli stessi abbiano arrecato un danno al patrimonio sociale (e quello conseguente alle aspettative dei creditori) e che tra condotta e pregiudizi sussista un nesso causale.
L’inadempimento rilevante nell’ambito delle azioni di responsabilità da risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa (o concausa) efficiente del danno sicché l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento per così dire qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Sull’attore grava l’onere di allegare, e poi di provare, gli altri elementi indispensabili per aversi responsabilità civile, che sono perciò al tempo stesso elementi costitutivi della domanda risarcitoria: danno e nesso di causalità.
L’amministratore ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.