Qualificazione dell’azione di responsabilità promossa dal socio in danno all’amministratore: azione sociale o azione diretta?
La domanda risarcitoria promossa dal socio contro l’amministratore unico avente ad oggetto un danno specifico che lo riguardi esclusivamente, in quanto fonte di responsabilità risarcitoria diretta, è da inquadrarsi sub art. 2395 c.c. per le S.p.A. ovvero sub art. 2476 c.c. per le S.r.l. A questo inquadramento consegue l’ammissibilità della domanda anche qualora la società abbia già rinunciato all’esercizio dell’azione sociale, poiché trattasi di domanda altra e diversa rispetto all’azione sociale rinunciata.
Azione di responsabilità verso gli amministratori di Srl: mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, quantificazione del danno
Secondo costante e consolidato orientamento giurisprudenziale (v. ad es. Cass. civ. Sez. III, 29/10/2019, n. 27610, Cass. civ. Sez. I, 27/03/2018, n. 7545), la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili addebitabile all’amministratore della società, non giustifica la determinazione e liquidazione del danno risarcibile nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso ad esso, in ragione delle circostanze del caso concreto, sia logicamente plausibile e sia stato, comunque, allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, con specifica indicazione delle ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo
Il deficit patrimoniale fatto registrare dalla società in fallimento non può essere automaticamente posto a carico dell’amministratore come conseguenza della violazione da parte sua del generale obbligo di diligenza nella gestione dell’impresa sociale, vieppiù quando l’inadempimento addebitato al medesimo amministratore si riferisca alla violazione di doveri specifici (quali la distrazione di alcuni beni mobili o la mancata redazione di due bilanci e di dichiarazioni fiscali), cui corrispondono comportamenti potenzialmente idonei a determinare, a carico del patrimonio sociale, soltanto effetti altrettanto specifici e ben delimitati (sul punto, Cass. Civ., Sezioni Unite, con la nota sentenza del 06/05/2015 n. 9100). Ne consegue che anche nel caso di omessa tenuta delle scritture contabili o, comunque, di mancato rinvenimento delle stesse, non appare logicamente plausibile il farne discendere la conseguenza dell’insolvenza o dello sbilancio patrimoniale della società divenuta insolvente, atteso che la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina; ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, anziché dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità. Qualora la mancanza delle scritture contabili renda difficile per il curatore una quantificazione ed una prova precisa del danno che sia di volta in volta riconducibile ad un ben determinato inadempimento imputabile all’amministratore della società fallita, lo stesso curatore potrà invocare a proprio vantaggio la disposizione dell’art. 1226 cod. civ. e perciò chiedere al giudice di provvedere alla liquidazione del danno in via equitativa; in siffatta evenienza non può escludersi che, proprio avvalendosi di tale facoltà di liquidazione equitativa, il giudice tenga conto in tutto o in parte dello sbilancio patrimoniale della società, quale registrato nell’ambito della procedura concorsuale, fermo restando l’obbligo per il curatore di indicare le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta del convenuto.
Principi in tema di corretta gestione societaria e criteri per la valutazione della responsabilità degli amministratori
L’obbligazione degli amministratori verso la società è obbligazione di mezzi sicché essi, in difetto di elementi che mettano in dubbio la correttezza del procedimento seguito per pervenire alla decisione assunta, anche se questa ex post si è rivelata dannosa per la società, non saranno ritenuti responsabili del pregiudizio, salvo si dimostri l’assoluta ed evidente irrazionalità economica ex ante della scelta effettuata.
Al contrario, se la scelta è stata effettuata senza la preventiva corretta informazione, ovvero se essa deve ritenersi ex ante irrazionale od arbitraria, allora l’amministratore potrà essere ritenuto responsabile del risultato dannoso che ne è conseguito, poggiando il giudizio di responsabilità sulla colpa che ha caratterizzato la condotta nel pervenire alla scelta, ovvero sull’assoluta erroneità ex ante della scelta medesima.
La valutazione di responsabilità non può fondarsi su criteri di opportunità o convenienza della scelta gestoria perché se così si procedesse si sostituirebbe ex post un apprezzamento soggettivo a quello dell’amministratore che è l’organo competente a compiere le scelte gestorie.
L’insuccesso economico per la società della scelta dell’amministratore non è di per sé fonte di responsabilità per l’organo che si muove, se adotta la diligenza richiesta dall’art 2392 c.c., nell’ambito di un’area dove è titolare di un potere discrezionale vincolato dal fine di conseguire l’oggetto sociale. La valutazione che sta alla base del giudizio di responsabilità va condotta dunque sull’adeguatezza del procedimento decisionale seguito, la diligenza va rapportata alla condotta che ha portato l’amministratore ad un certo tipo di scelta e non al merito della scelta che costituisce, salvo il limite del conflitto di interesse o della assoluta irrazionalità manifesta, l’ambito di competenza proprio dell’amministratore nel conseguire l’oggetto sociale. Il merito della scelta e il risultato potranno costituire la base della valutazione rimessa agli azionisti sulla revoca o la conferma in carica dell’amministratore, valutazione quest’ultima che potrà essere condotta su presupposti del tutto autonomi da quelli che sostengono il giudizio di responsabilità civile dell’amministratore, considerando che i soci, al contrario degli amministratori che devono agire secondo discrezionalità tecnica per l’attuazione al meglio dell’oggetto sociale, possono liberamente e conformemente ai loro interessi anche personali esercitare i diritti sociali, in particolare il diritto di voto, salvo il limite dell’abuso.
La responsabilità solidale degli amministratori va imputata non a titolo oggettivo ma a titolo di colpa; la colpa dell’amministratore senza deleghe può consistere o nell’inadeguata conoscenza del fatto altrui, dovendo in ogni caso gli amministratori vigilare sull’andamento della gestione, o nel non essersi diligentemente e utilmente attivato al fine di evitare l’evento o eliminarne e attenuarne le conseguenze dannose, aspetti entrambi ricompresi nel concetto di essere “immuni da colpa” di cui all’art 2392 comma 3 c.c. (Cass n. 2038/2018). L’amministratore immune da colpa è tenuto ad annotare il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio dandone notizia immediata per iscritto al collegio sindacale. L’annotazione del dissenso si inserisce tra le condotte che l’amministratore deve compiere per escludere la sua responsabilità solidale. L’astensione alla decisione consiliare sull’operazione dannosa è tutt’altro dal dissenso e nel sistema è equiparata piuttosto al voto favorevole tanto che l’art 2388 comma 3 c.c. non legittima l’amministratore che si è astenuto alla impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione che sia stata presa non in conformità della legge o dello statuto, mentre sono legittimati gli amministratori dissenzienti ed assenti.
Responsabilità dell’amministratore verso la società e riparto dell’onere probatorio
In tema di responsabilità (contrattuale) dell’amministratore verso la società, spetta all’amministratore fornire la prova che gli inadempimenti specificamente allegati dalla società non sono a lui imputabili per andare esente da responsabilità, essendo a tal fine insufficienti allegazioni prive di ogni elemento di riscontro.
Rilevanza probatoria nell’azione di responsabilità del patteggiamento dell’amministratore
Benché la sentenza di patteggiamento non abbia efficacia di giudicato nel giudizio civile inerente la responsabilità gestoria e risarcitoria degli amministratori, essa assume tuttavia in sede civile (in ordine agli specifici ed identici fatti contestati) natura e valenza di prova critica e, quindi, una valenza probatoria importante. Questo significa che il Giudice civile può utilizzarla come elemento di prova sufficiente a ritenere fondata la responsabilità gestoria in merito agli stessi fatti dedotti; al contrario, qualora voglia discostarsene dovrà motivare specificatamente le ragioni del non utilizzo: in tal caso, il Giudice ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’amministratore imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (la richiesta di patteggiamento, dell’imputato implica pur sempre il riconoscimento del fatto-reato, quindi, una ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall’onere della prova).
Per lo stesso fatto soltanto alla stregua di valide giustificazioni, debitamente argomentate, possono ammettersi differenti e contrastanti decisioni giudiziali, pur nell’autonomia dei relativi giudizi assicurata e disciplinata da norme di rango costituzionale e di natura processuale.
Azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. In caso di omesso adempimento degli oneri fiscali da parte dell’amministratore
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. cumula i presupposti e gli scopi dell’azione sociale di responsabilità ex artt. 2392-2393 c.c. e dell’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2934 c.c.
È onere probatorio incombente sulla curatela (attrice ex art. 146 l. fall) quello di dimostrare: (i) il mancato o negligente adempimento agli obblighi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo a tutela della compagine sociale e dei creditori sociali; (ii) l’esistenza di un danno causalmente imputabile al comportamento negligente dell’organo gestorio. La contumacia dell’amministratore convenuto è qualificabile come rinuncia alla prova della sussistenza di fatti impeditivi ed ostativi all’assolvimento del proprio onere probatorio.
Ai fini dell’imputabilità all’amministratore dei danni patiti dalla fallita, tra gli obblighi di diligente gestione e di conservazione del patrimonio sociale è compreso quello di gestire le risorse finanziarie in modo da provvedere agli obblighi fiscali, evitando così l’aggravio delle relative sanzioni e interessi di mora. Nel caso di omesso pagamento di oneri fiscali e contributivi da parte dell’amministratore della fallita, il danno è pari all’aggravamento del passivo provocato – da detta omissione – a causa dei maturati oneri per interessi e sanzioni, giacché non è sulla debenza o meno dell’imposta che incide il comportamento dell’amministratore stesso.
La prescrizione delle azioni risarcitorie ex art. 2394 c.c. ed art. 2395 c.c.
L’azione individuale di responsabilità spettante al singolo socio o al terzo, ai sensi dell’art. 2395 c.c., per il risarcimento del danno subito direttamente nella loro sfera giuridica per effetto di atti colposi o dolosi degli amministratori è soggetta a prescrizione quinquennale e la decorrenza del termine è specificamente stabilita dall’art. 2395 comma 2 c.c. con riferimento al momento del “compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo”. Il termine di decorrenza delle prescrizione deve intendersi quello del momento in cui il fatto doloso o colposo dell’amministratore si traduce obiettivamente in pregiudizio per il socio o il terzo.
L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori ai sensi dell’art. 2394 c.c., è soggetta alla prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2949 c.c. che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità e non anche dall’effettiva conoscenza da parte dei creditori dell’insufficienza dell’attivo patrimoniale a soddisfare i debiti sociali. L’insufficienza della garanzia patrimoniale generica non coincide con lo stato di insolvenza che rivela l’impossibilità dell’impresa a far fronte regolarmente alle obbligazioni assunte a prescindere dalla consistenza ed entità del suo attivo patrimoniale né con la perdita integrale del capitale sociale che sussiste anche in una situazione di parità tra il valore dell’attivo e quello del passivo patrimoniale ma consiste semplicemente nell’inesistenza nel patrimonio sociale di beni di valore tale da garantire ai creditori il soddisfacimento del loro diritto.
La responsabilità dell’amministratore di fatto per condotte distrattive
L’amministratore di fatto di una società di capitali, pur privo di un’investitura formale, esercita sotto il profilo sostanziale nell’ambito sociale un’influenza che trascende la titolarità delle funzioni, con poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto, sicché può concorrere con questi ultimi a cagionare un danno alla società attraverso il compimento o l’omissione di atti di gestione.
La natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore consente alla società che agisca per il risarcimento del danno, o al curatore in caso di sopravvenuto fallimento di quest’ultima, di allegare l’inadempimento dell’organo gestorio quanto alla mancata consegna delle giacenze di magazzino risultanti dalle scritture contabili, che hanno valore confessorio contro chi le ha redatte, tanto con riferimento all’amministratore di fatto, quanto con riferimento a quello di diritto. Resta a carico dell’amministratore convenuto l’onere di dimostrare l’utilizzazione delle merci non restituite nell’esercizio dell’attività di impresa.
Distinzione tra difetto di legittimazione attiva e difetto di titolarità. Sentenza penale di condanna generica al risarcimento dei danni e giudizio civile.
Allorché un socio eserciti un’azione di responsabilità nei confronti di un amministratore di società fallita per pregiudizio al patrimonio sociale, non si pone un problema di difetto di legittimazione attiva (che configura una condizione dell’azione – eccepibile in ogni grado e stato del giudizio e rilevabile d’ufficio dal giudice – che dev’essere accertata in relazione non già alla sua concreta sussistenza, bensì alla sua affermazione con l’atto introduttivo del giudizio), ma un difetto di titolarità del rapporto controverso che viene determinata con riferimento al rapporto dedotto in giudizio, nel senso che parti legittime sono quelle indicate come parti del rapporto sostanziale.
Ai sensi dell’art. 651 c.p.p. la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, con esclusione della colpevolezza, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile. Detta sentenza non è, inoltre, vincolante con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che riguardano l’individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile.
La condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della probabile esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restando nel giudizio di liquidazione del “quantum” la possibilità di esclusione della esistenza stessa di un danno collegato eziologicamente all’evento illecito. In definitiva, nel nostro ordinamento, spetta al giudice civile ogni valutazione in ordine alla sussistenza del danno, al nesso di causalità e alla liquidazione del pregiudizio, dovendo egli accertare se la condotta penalmente rilevante abbia cagionato alla vittima una lesione della sfera personale o patrimoniale idonea ad assurgere al rango di violazione costituzionalmente rilevante. La decisione di condanna generica al risarcimento emessa dal giudice penale contiene implicitamente l’accertamento del danno evento e del nesso di causalità materiale tra questo e il fatto-reato, ma non anche quello del danno conseguenza, per il quale si rende necessaria un’ulteriore indagine, in sede civile, sul nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli.
Presunzione e retrodatazione della decorrenza del termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità verso amministratori e sindaci.
In tema di decorrenza del termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità verso amministratori e sindaci ai sensi dell’art. 2394 c.c., l’azione di responsabilità relativa può essere proposta dai creditori sociali (e per essi dal curatore del fallimento) dal momento in cui l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto, anche senza verifica diretta della contabilità della società, non richiedendosi a tal fine che essa risulti da un bilancio approvato dall’assemblea dei soci. Se la citata insufficienza patrimoniale può anche essere anteriore alla data di apertura della procedura concorsuale, l’onere di provare che essa si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sull’amministratore o sul sindaco che eccepisca la prescrizione. In difetto di prova per retrodatare la decorrenza del termine di prescrizione, questa deve considerarsi coincidente con la pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento.