Azione sociale di responsabilità, infedeltà patrimoniale e sviamento di clientela
L’azione sociale di responsabilità ex art. 2476, co. 1, c.c., ha natura contrattuale; conseguentemente, quanto al riparto dell’onere della prova, il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto, sia per la risoluzione e il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento. In particolare, spetta alla società attrice allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri degli amministratori posti dalla legge o dallo statuto e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dei convenuti contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.
La valutazione in sede giudiziale della convenienza delle scelte gestionali è riservata in linea generale alla discrezionalità dell’amministratore (c.d. business judgment rule), essendo il sindacato del merito di tali scelte limitato ai casi di palese irragionevolezza delle stesse, desumibile dal fatto che l’amministratore non abbia usato le necessarie cautele e assunto le informazioni rilevanti. Si tratta, peraltro, di una valutazione da condurre necessariamente ex ante, non potendosi affermare l’irragionevolezza di una decisione dell’amministratore per il solo fatto che essa si sia rivelata ex post economicamente svantaggiosa per la società.
L’art. 2634 c.c. sanziona penalmente gli amministratori che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale. Con specifico riferimento alla situazione di conflitto di interessi, onde ritenere configurata la predetta fattispecie, si richiede che vi sia un antagonismo di interessi effettivo, attuale e oggettivamente valutabile, tra l’agente e la società, a causa del quale il primo, nell’operazione economica che deve essere deliberata, si trova obiettivamente in una posizione antitetica rispetto a quella dell’ente, tale da pregiudicarne gli interessi patrimoniali.
Il tentativo di sviare la clientela rientra nel normale gioco della concorrenza; un dato comportamento può essere considerato illecito allorché lo sviamento sia provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale. L’illiceità della condotta non dev’essere ricercata episodicamente, ma va desunta dalla qualificazione tendenziale dell’insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento sul mercato. Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l’acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un’autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell’attività elettiva della nuova impresa (più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite), deve ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro. La fisiologia del passaggio, ove ecceda la normale tollerabilità, necessita di indagini e istruttoria al fine di verificare se sia stato posto in essere un piano di attività preordinato e sviluppato proprio al fine di determinare un massiccio esodo.
Sulla responsabilità degli amministratori verso i creditori
Gli artt. 2394 e 2476, co. 6, c.c. pongono in capo agli amministratori delle società di capitali, tenuti a una corretta gestione sociale in forza della carica ricoperta nell’interesse della società e per l’attuazione del suo oggetto, una specifica obbligazione anche verso i creditori sociali finalizzata alla conservazione della garanzia patrimoniale della società ex art 2740 c.c., tanto da prevederne una responsabilità diretta se il patrimonio della società risulta così compromesso da essere insufficiente al soddisfacimento del loro credito. L’azione ex artt. 2394 e 2476, co. 6, c.c. verso i creditori sociali è autonoma e genera in capo all’amministratore una responsabilità fondata sullo specifico rapporto stabilito dalla legge tra i doveri degli amministratori e il diritto dei creditori sociali.
La costituzione di parte civile interrompe la prescrizione dell’azione di responsabilità
La costituzione di parte civile nel processo penale a carico degli amministratori di società rientra fra gli atti interruttivi della prescrizione considerati dall’art. 2943 cod. civ. e, come ogni altra domanda giudiziale, per tutta la durata del processo, ai sensi dell’art. 2945, secondo comma, cod. civ., sino al passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna, produce un effetto interruttivo permanente del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità spettante alla società, ai sensi dell’art. 2393 c.c., nei confronti degli amministratori per i danni subiti in conseguenza di comportamenti tenuti nell’esercizio della loro funzione.
Sul valore probatorio delle scritture contabili nell’azione di responsabilità contro l’organo amministrativo
Le scritture contabili redatte dall’organo amministrativo, ivi compresi i c.d. “mastrini” che raccolgono le annotazioni dei singoli conti corrispondenti ai diversi rapporti intrattenuti dalla società, fanno prova contro l’amministratore per il semplice fatto che ne è l’autore e che è gravato dall’obbligo specifico della loro esatta e corretta tenuta.
Autonomia delle diverse azioni di responsabilità esercitate dall’organo della procedura concorsuale
L’esercizio unitario delle azioni ai sensi degli artt. 206 l.f. e 36 D.Lgs. 270/1995 dell’impresa in amministrazione straordinaria e delle azioni di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c., non esclude l’autonomia stessa delle azioni, le quali rimangono, per quanto uno actu esercitate, distinte e diversamente connotate nei loro presupposti e nei loro elementi costitutivi, tra cui in particolare, il danno, la qualificazione, la disciplina probatoria e la prescrizione, seppur tutte finalizzate all’unitario obiettivo della curatela di recuperare all’attivo della procedura tutto quanto sottratto o perduto per fatti imputabili agli amministratori, ai liquidatori e/o ai sindaci.
Responsabilità di amministratori, sindaci e revisori di Valtur s.p.a. in amministrazione straordinaria
L’art. 2485 c.c. impone agli amministratori di accertare, senza indugio, il verificarsi di una delle cause di scioglimento e di procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell’art. 2484 c.c., salvo quanto disposto dagli artt. 2447 e 2482 ter c.c. Gli amministratori, accertata la perdita del capitale sociale (ovvero verificato il valore negativo del patrimonio netto), sono tenuti ad una rapida e decisa reazione: porre la società in liquidazione, ovvero ricorrente all’assemblea dei soci per la ricapitalizzazione della società mediante azzeramento delle perdite e ricostituzione del capitale sociale (ex artt. 2447 e 2482 ter c.c.). Come chiaramente previsto dall’art. 2485 c.c., gli amministratori, in caso di ritardo o omissione, sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società dai soci, dai creditori sociali e dai terzi. La violazione di tali obblighi di legge determina l’illecito della c.d. indebita prosecuzione dell’attività di impresa.
Quando la società ha un patrimonio netto negativo che aumenta per il compimento di attività non conservative con assunzione di rischio imprenditoriale il pregiudizio non può essere della società, che ha già perso tutto il suo patrimonio, ma solo dei creditori sociali. Il danno derivante dall’inerzia dell’organo gestorio a fronte della perdita del capitale sociale è un danno per i creditori sociali ed è rappresentato dall’incremento dell’indebitamento ovvero dall’aggravamento della situazione patrimoniale della società (già in situazione di deficit) con conseguente detrimento della prospettiva di soddisfazione per i creditori.
L’esercizio dell’azione di cui all’art. 2394 c.c. presuppone la dimostrazione che il patrimonio sociale, per effetto della condotta negligente ascrivibile ad amministratori e/o sindaci, risulti insufficiente rispetto al soddisfacimento dei crediti sociali. Pertanto ai fini della esperibilità di tale azione è necessario che la condotta illegittima degli amministratori e/o sindaci sia fonte di pregiudizio patrimoniale per il ceto creditorio inteso nella sua generalità, tale da determinare l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarne le relative ragioni di credito, con dimostrazione della sussistenza di un rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta/e illecita/e o di inadempimento/i ascritto/i, dovendosi commisurare l’entità del danno prospettato alla corrispondente riduzione della massa attiva di patrimonio.
Con riguardo alla responsabilità degli amministratori non esecutivi di società azionaria si rileva come non si dà imputazione per responsabilità oggettiva in capo agli amministratori di società, posto che, in particolare, gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la responsabilità solidale degli amministratori non esecutivi sono, sotto il profilo oggettivo, la condotta d’inerzia, il fatto pregiudizievole anti-doveroso altrui e il nesso causale tra i medesimi, nonché, sotto il profilo soggettivo, almeno la colpa, i cui caratteri risultano dall’art. 2392 c.c. La norma, invero, stabilisce che la colpa può consistere o nell’inadeguata conoscenza del fatto di altri, il quale in concreto abbia cagionato il danno, o nel non essersi il soggetto con diligenza utilmente attivato al fine di evitare l’evento, aspetti entrambi ricompresi nel concetto di essere immuni da colpa, cui all’art. 2392, co. 3, c.c. Quando il fatto dannoso sia stato compiuto da un altro amministratore, la colpa concorrente dell’amministratore che non lo abbia direttamente posto in essere – fattispecie omissiva colposa – può dunque consistere: (i) nella colposa ignoranza del fatto altrui, per non avere adeguatamente rilevato i segnali d’allarme dell’altrui illecita condotta, percepibili con la diligenza della carica; (ii) nell’inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta. Peraltro, la regola della responsabilità solidale e, se si vuole, presunta come paritaria in capo a tutti i componenti dell’organo gestorio cede a fronte della prova della concreta insussistenza o ininfluenza della condotta di taluno nella causazione del danno.
L’art 2381 c.c. stabilisce che gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società. Permane dunque ai sensi di questa norma il dovere di vigilare sul generale andamento della società rispetto al quale non ha alcun rilievo il difetto di delega, salva la prova che gli altri consiglieri, pur essendosi diligentemente attivati, non abbiano potuto in concreto esercitare detta vigilanza a causa del comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio. Poiché il compito relativo alla redazione del bilancio di esercizio non può essere oggetto di delega in favore di uno o più componenti del CdA e, secondo quanto disposto dall’art. 2423 c.c., gli amministratori sono collegialmente tenuti a redigere il bilancio secondo i principi ex lege previsti, consegue che tutti gli amministratori, anche quelli privi di deleghe, sono solidalmente responsabili quanto al rispetto degli obblighi di legge inerenti alla redazione del bilancio, fra i quali l’obbligo di attenersi ai principi di veridicità e chiarezza.
Il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera posizione di garanzia; si esige, tuttavia, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative – in particolare, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403 bis c.c. – può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cc.dd. azioni correttive necessarie. Dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale, e altre simili iniziative.
Il revisore, deputato a svolgere una funzione di verifica e controllo generale sui dati di bilancio e sulla corretta gestione contabile della società, deve, qualora ritenga che la gestione devii dalla correttezza, tempestivamente segnalare le incongruenze rilevate. In altri termini, la funzione del revisore non è meramente compilativa, limitata al solo controllo che al bilancio siano stati allegati tutti i documenti formali di verifica previsti dalle norme, poiché in tal modo non si realizzerebbe alcun controllo concreto sulla correttezza della gestione e delle appostazioni delle singole voci che compongono il bilancio. L’art 2409 ter c.c. descrive l’ampiezza del controllo demandato al revisore legale dei conti e il potere dovere di chiedere agli amministratori documenti ed informazioni utili alla revisione con facoltà di procedere direttamente ad ispezioni in società.
L’esercizio unitario ex art 206 l.fall. e art. 36 d.lgs. 270/1995 da parte dei commissari straordinari dell’impresa in amministrazione straordinaria unitamente all’amministratore giudiziario delle azioni di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. non esclude l’autonomia delle azioni che rimangono, per quanto uno actu esercitate, distinte e diversamente connotate nei loro presupposti, nei loro elementi costitutivi, tra cui il danno, la loro qualificazione, la disciplina probatoria e la prescrizione, seppure entrambe finalizzate all’unitario obiettivo della curatela di recuperare all’attivo della procedura tutto quanto sottratto o perduto per fatti imputabili agli amministratori, ai liquidatori, ai sindaci in concorso.
L’azione ex art 2394 bis c.c. una volta esercitata dal curatore non può essere sottratta dall’ambito di sostituzione dell’amministratore giudiziario. L’art 39, co. 1, e 40, co. 3, d.lgs. 159/2011 non prevede limitazioni alla facoltà di esercizio o subentro in azioni concernenti i rapporti relativi ai beni sequestrati da parte dell’amministratore giudiziario e in particolare l’art. 40, co. 3, prevede la facoltà per l’amministratore giudiziario di compiere atti anche a tutela di terzi, tra cui evidentemente i creditori sociali della società oggetto di sequestro e confisca. Da ciò consegue la legittimazione alle azioni dell’amministratore giudiziario e la sopravvenuta carenza di legittimazione atti dei commissari straordinari una volta subentrato nel processo il primo.
La legittimazione all’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art 2394 c.c. in capo agli organi della procedura, commissari straordinari e amministratore giudiziario, trova fondamento nell’art 2394 bis c.c. o art. 206 l.fall. e art. 307 d.lgs. 14/2019. Si tratta di esercizio da parte dell’organo della procedura concorsuale di azione che non si trova nel patrimonio della società posta in fallimento, in liquidazione giudiziale, in liquidazione coatta amministrativa o in amministrazione straordinaria, bensì di azione cui erano legittimati i creditori sociali. La legittimazione straordinaria degli organi della procedura all’azione dei creditori si fonda sull’art 2394 bis c.c., che trova la sua ratio nell’attuazione del principio della par condicio creditorum e nella necessità che ogni iniziativa recuperatoria sia finalizzata al soddisfacimento di tutti i creditori sociali una volta aperta la procedura concorsuale. La legittimazione ad agire straordinaria ed esclusiva vede la sostituzione del curatore/commissario/liquidatore/commissario straordinario ai creditori concorsuali.
In ipotesi di fusione, i creditori sociali trovano principale tutela nello strumento dell’opposizione ex art 2503 c.c.; una volta divenuta efficace l’operazione straordinaria, esiste solo la società post fusione con i suoi organi. Dopo la fusione non è ipotizzabile un’azione ex art 2394 c.c. verso gli amministratori delle società partecipanti alla fusione ma non più esistenti, le iniziative dei creditori sociali potranno indirizzarsi agli amministratori della società risultante dalla fusione ai quali, eventualmente, si potrà anche contestare di non aver agito con azione di responsabilità sociale verso gli amministratori della società partecipante all’operazione di fusione e non più esistente per far valere loro una responsabilità per atti gestori che abbiano comportato la perdita del patrimonio sociale. Qualora, successivamente alla operazione di fusione, si dovesse aprire una procedura concorsuale i creditori della procedura possono qualificarsi creditori solo verso la società post-fusione coinvolta nella procedura, quindi solo verso gli organi gestori e di controllo della società risultante dalla fusione può ipotizzarsi l’esercizio dell’azione ex artt. 2394 e 2394 bis c.c. Non si ravvisa, invece, alcuna legittimazione attiva della procedura con l’azione ex art 2394 bis c.c. verso gli amministratori delle società incorporate.
Il curatore/commissario/liquidatore/commissario straordinario è, invece, legittimato all’azione ex art 2393 c.c. anche verso gli ex amministratori delle società incorporate in quanto l’azione di responsabilità sociale già esercitabile dalla società partecipante alla fusione costituisce componete attiva della medesima che è transitata ex art 2504 bis c.c. nella società risultante dalla fusione ex art 2504 bis c.c. (nei confronti di quegli amministratori gli amministratori della società post-fusione possono agire per conseguire il ristoro di danni cagionati al patrimonio della società), la legittimazione all’azione si fonda sugli artt. 42 e 43 l.fall. o sugli artt. 142 e 143 d.lgs. 14/2019. A medesime conclusioni si giunge per l’azione di responsabilità verso i sindaci e verso i revisori.
L’efficacia probatoria della relazione dei commissari straordinari ex art. 4, co. 2, d.l. 347/2003 e art. 28 d.lgs. 270/1999 va valutata a seconda della natura delle risultanze emergenti. Infatti, la relazione, formata da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, fa piena prova fino a querela di falso degli atti e dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere stati da lui compiuti o avvenuti in sua presenza; invece, il contenuto della relazione che riguarda circostanze desunte attraverso l’esame della documentazione dell’imprenditore o l’espressione di valutazioni da parte dei commissari straordinari rimane validamente valutabile. La relazione presenta, comunque, un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata mediante una specifica prova contraria.
Azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare: questioni processuali
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. per le s.p.a. e dall’art. 2476, co. 3 e 6, c.c. per le s.r.l., a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma – quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali -, implicando una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi e indipendenti, con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe, sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione e dei limiti al risarcimento ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.
L’azione sociale, intrapresa ai sensi dell’art. 2476, co. 3, c.c., mira a far valere la responsabilità degli amministratori per quelle violazioni dei loro doveri che abbiano cagionato un pregiudizio patrimoniale alla società. Questi, infatti, sono chiamati ad adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, esponendosi a responsabilità per i danni derivanti dall’inosservanza dei cennati doveri. L’inadempimento degli amministratori ai loro obblighi può essere fatto valere direttamente dalla società sicché in ipotesi di esercizio della predetta azione nel caso di fallimento, la sostituzione del curatore alla società fallita è una manifestazione specifica del generale effetto per cui il curatore, ai sensi dell’art. 43 l. fall. sta in giudizio nelle controversie relative ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento.
L’insufficienza patrimoniale – cui si ricollega la responsabilità degli amministratori e dei sindaci della società verso i creditori – deve essere individuata nell’eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa, ovverossia in una situazione in cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, risulti insufficiente al soddisfacimento di questi ultimi. Essa va distinta dall’eventualità della perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest’ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo perché tutti i beni sono assorbiti dall’importo dei debiti e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. L’insufficienza patrimoniale è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, definita dall’art. 5 l. fall. come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, così come potrebbe accadere l’opposto, vale a dire che l’impresa possa presentare una eccedenza del passivo sull’attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste (per esempio ricorrendo ad ulteriore indebitamento).
Il criterio dello sbilancio fallimentare può prospettarsi soltanto per quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio in ragione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore; o comunque per quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza. Il giudice non può pervenire in via automatica ad una liquidazione equitativa del danno secondo tale criterio, ma unicamente laddove il curatore, dopo aver allegato gli inadempimenti dell’amministratore almeno astrattamente idonei a porsi come causa del danno lamentato, indichi le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.
Responsabilità dell’amministratore di società cooperativa facente parte dei confidi minori per rilascio di fideiussioni in favore del pubblico
È precluso ai cc.dd. confidi minori di cui all’art. 155, co. 4, TUB il rilascio di garanzie in favore del pubblico. La funzione dei confidi minori, infatti, è quella di assicurare alle imprese associate delle garanzie collettive per l’accesso al credito tramite la costituzione di un fondo consortile a cui contribuiscono tutti i soci. Detto fondo è funzionale sia alla costituzione delle garanzie, sia a coprire le perdite derivanti da crediti assistiti da garanzia mutualistica nell’ambito soggettivo dei soci; di conseguenza, la concessione di garanzie a soggetti non soci determina un rischio e una eventuale perdita a carico della cooperativa indebiti. Pertanto, è fondata e va accolta l’azione esercitata dal curatore fallimentare nei confronti dell’amministratore che abbia sottoscritto, in nome e per conto della cooperativa, garanzie a favore di terzi non soci della stessa cooperativa.
Nel caso di deliberazione adottata dall’assemblea di una società, qualora nel relativo verbale sia dato atto della partecipazione di un determinato soggetto, incombe su colui il quale contesta la validità o, addirittura, l’inesistenza di quella assemblea, provare la propria mancata partecipazione alla stessa.
Responsabilità dell’amministratore e criteri di quantificazione del danno
Nell’ambito di un’azione per sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c., il periculum in mora deve essere fondato – cioè supportato dalla presenza o da elementi oggettivi, concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, oppure da elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio – nonché riferito alla perdita della garanzia del credito e quindi all’eventualità che detto patrimonio subisca alterazioni tali da compromettere, in caso di inadempimento, la realizzazione coattiva del credito.
Nell’ambito di un’azione risarcitoria promossa contro un amministratore, in punto di quantificazione del danno, il criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare è applicabile quando la mancanza delle scritture contabili o l’insufficienza delle stesse sia addebitale al gerente. Qualora la mancanza delle scritture contabili sia invece imputabile al fallimento attore che ha mancato di produrle in giudizio, il danno è quantificabile secondo il criterio dei netti patrimoniali.
Azione di responsabilità contro l’amministratore di società cooperativa e onere della prova
In caso di azione di responsabilità promossa contro gli amministratori di una società di capitali, ove i comportamenti che si assumono illeciti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto, l’onere della prova gravante sulla parte attrice non si esaurisce nel dimostrare che l’amministratore abbia posto in essere le condotte produttive del danno, ma anche che in questo modo siano stati violati i suoi doveri di lealtà o di diligenza, spettando poi all’amministratore allegare e provare i fatti idonei a escludere o a attenuare la sua responsabilità.