Responsabilità dei liquidatori per violazione della par condicio creditorum rispetto a credito litigioso
Fermo restando l’obbligo dei liquidatori di dare conto negli atti liquidatori dell’esistenza di un contenzioso pendente tra la società poi cancellata e l’attrice, la responsabilità dei liquidatori per violazione della par condicio creditorum è da escludersi per mancanza dei presupposti oggettivo e soggettivo qualora il credito vantato dall’attrice non fosse stato certo, liquido ed esigibile al momento della chiusura della liquidazione della società, quindi non fosse, in quel momento, prioritario sugli altri crediti vantati contro la società liquidata, anche tenuto conto delle valutazioni sommarie avvenute in pendenza del giudizio, prima della redazione del bilancio finale di liquidazione, e a prescindere dalle risultanze della CTU espletata in tale giudizio (nel caso di specie, in sede cautelare, il fumus della pretesa risarcitoria per vizi della cosa era stato ritenuto insussistente).
La cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, costituita in giudizio a mezzo di procuratore che tale evento non abbia dichiarato in udienza o notificato alle altre parti nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che detto procuratore continua a rappresentare la parte come se l’evento interruttivo non si fosse verificato.
Responsabilità del liquidatore: natura della responsabilità e onere probatorio in capo ai creditori
In tema di responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della società ex art. 2495, co. 2, c.c., il conseguimento, nel bilancio finale di liquidazione, di un azzeramento della massa attiva non in grado di soddisfare un credito non appostato nel bilancio finale di liquidazione, ma, comunque, provato nella sua sussistenza già nella fase di liquidazione, è fonte di responsabilità illimitata del liquidatore verso il creditore pretermesso, qualora sia allegato e dimostrato che la gestione operata dal liquidatore evidenzi l’esecuzione di pagamenti in spregio del principio della par condicio creditorum, applicato nel rispetto delle cause legittime di prelazione ex art. 2741, co. 2, c.c.
L’individuazione della tipologia di responsabilità in capo al liquidatore ha importanti implicazioni sull’onere probatorio che grava in capo ai creditori che intendono esercitare l’azione di responsabilità. Trattandosi di responsabilità aquiliana il detto onere sarà maggiormente gravoso, di conseguenza il creditore pregiudicato non dovrà limitarsi a dimostrare l’esistenza di presupposti oggettivi quali la condotta illecita, il danno e il nesso di causalità, ma dovrà provare anche l’esistenza del presupposto soggettivo del dolo o della colpa del liquidatore. Più nello specifico, dovrà dimostrare che il suo credito era liquido ed esigibile, ossia che nel bilancio di liquidazione vi fosse una massa attiva sufficiente e bastevole al suo soddisfacimento e che la stessa sia stata illecitamente utilizzata per il pagamento dei soci. In ultimo, il creditore dovrà provare la condotta colposa o dolosa del liquidatore, dovrà dimostrare che la mancanza dell’attivo patrimoniale sia stata cagionata dall’imperizia del liquidatore, che ha esercitato in malo modo le proprie funzioni. Sul liquidatore grava invece la cosiddetta prova liberatoria: invero, per potersi esonerare da profili di responsabilità ha l’onere di allegare e dimostrare che l’intervenuto azzeramento della massa attiva tramite il soddisfacimento dei debiti sociali non è riferibile a una condotta assunta in danno del diritto del singolo creditore di ricevere uguale trattamento rispetto ad altri creditori, salve le cause legittime di prelazione.
La responsabilità diretta verso i creditori sociali degli amministratori di società di capitali presuppone comportamenti degli amministratori funzionali a una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (art. 2740 c.c.), con conseguente diritto dei creditori sociali di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.
Azione di responsabilità verso i liquidatori e i soci di s.r.l.
Poiché ai sensi dell’art. 2495, co. 3, c.c., a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese e della sua estinzione, i soci possono essere chiamati a rispondere nei confronti dei creditori esclusivamente nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, nulla sarà dovuto da loro anche se nel corso delle operazioni di liquidazione siano stati rimborsati agli stessi dei finanziamenti da loro effettuati in precedenza, a nulla rilevando che questi potessero avere natura postergata, giacché ciò che rileva ai fini della successione dei soci nei debiti della società a seguito dell’estinzione di quest’ultima è esclusivamente la percezione di somme all’esito dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione.
È negligente la condotta del liquidatore che, nel corso delle operazioni di liquidazione, rimborsa ai soci finanziamenti che devono considerarsi postergati ai sensi dell’art. 2467 c.c. in quanto effettuati in un momento in cui vi era un eccessivo squilibrio tra l’indebitamento e il patrimonio netto e, comunque, quando la situazione finanziaria avrebbe consigliato un conferimento.
Ai sensi dell’art. 2476, co. 8, c.c. nella s.r.l. i soci possono essere chiamati a rispondere in solido con gli amministratori per gli illeciti gestori compiuti da questi ultimi soltanto laddove i soci medesimi abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi così come si prevede il concorso di responsabilità dei soci per gli illeciti gestori compiuti dai liquidatori, posto che a questi ultimi si applicano le stesse norme degli amministratori in punto di responsabilità (art. 2489, co. 2, c.c.). Tale responsabilità è, tuttavia, ricollegata all’approvazione o all’autorizzazione di singole operazioni contrarie ai doveri di diligenza compiute dall’amministratore o dal liquidatore, che chi agisce in giudizio ha l’onere di individuare e allegare specificamente.
Sull’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore della società
Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, dei liquidatori, e dei sindaci di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., la quale, assumendo contenuto inscindibile e connotazione autonoma rispetto alle prime, attesa la ratio ad essa sottostante identificabile nella destinazione di strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali, implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne immuta i presupposti.
L’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale. La prescrizione dell’azione proposta nei confronti degli amministratori e dei sindaci per mala gestio resta quinquennale e decorre non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, o dalla cessazione dalla carica, bensì dal momento dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti e, per meglio dire, dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado di venire a conoscenza di tale insufficienza. Detta disciplina, stante il disposto dell’art. 2489 c.c. che rinvia, quanto alla responsabilità del liquidatore, alle norme sull’amministratore, si applica anche ai liquidatori di società di capitali.
L’insufficienza patrimoniale di cui all’art. 2394 c.c. non corrisponde alla perdita integrale del capitale sociale, che può verificarsi anche in presenza di un pareggio tra attivo e passivo, né allo stato di insolvenza, trattandosi di uno squilibrio patrimoniale più grave e definitivo che può essere sia anteriore che posteriore alla dichiarazione di fallimento. Per presunzione iuris tantum, fondata sull’id quod plerumque accidit, la manifestazione di tale insufficienza si identifica con la dichiarazione di fallimento, mediante lo spossessamento del debitore e la presa in consegna delle attività da parte dell’organo della procedura. Tale presunzione non esclude come, in concreto, il deficit si sia manifestato in un altro momento, ma incombe sull’amministratore che eccepisce la prescrizione provare che l’insufficienza preesisteva e che era oggettivamente conoscibile da parte dei creditori in un momento anteriore alla dichiarazione di fallimento.
Nonostante i doveri di amministratori e liquidatori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, essi possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione. Debbono considerarsi atti utili alla liquidazione, ai sensi dell’art. 2489 c.c., tutti quelli volti alla realizzazione dell’attivo e alla eliminazione del passivo sociale, in modo da consentire il riparto finale del residuo. La professionalità e la diligenza richieste secondo la natura dell’incarico conferito costituiscono parametri da valutarsi comunque con riferimento al fine ultimo della liquidazione ed estinzione della società e al compimento dei soli atti utili al raggiungimento di tale scopo; l’attività discrezionale, e come tale insindacabile, dei liquidatori ha quindi come limiti la ragionevolezza e la coerenza con le finalità proprie della particolare fase della vita della società cui sono preposti. Analogamente alla responsabilità degli amministratori, anche quella dei liquidatori è quindi una responsabilità qualificata e, per non incorrere in responsabilità, i liquidatori devono agire con la diligenza del corretto liquidatore, determinata in relazione all’incarico e alle specifiche competenze.
È da escludersi che sussista lo stato d’insolvenza in presenza di un passivo di bilancio, o allorché la difficoltà di adempimento delle obbligazioni sia momentanea, e non cronica, e riguardi non tutte le obbligazioni, ma solo poche obbligazioni in un lasso di tempo limitato. L’insolvenza, invero, dev’essere valutata dinamicamente, in relazione cioè al complesso delle operazioni economiche ascrivibili all’impresa: dunque a un elemento legato non all’incapienza in sé del patrimonio dell’imprenditore ma a una vera impotenza patrimoniale definitiva e irreversibile e non è, invece, ravvisabile in una mera temporanea impossibilità di regolare adempimento delle obbligazioni assunte.
Quando sia imputato all’organo amministrativo e di controllo il mancato incasso d’un credito, maturato dalla società in bonis prima del fallimento, non è sufficiente allegare l’inerzia degli amministratori nella riscossione di esso, occorrendo piuttosto allegare e provare che il credito è divenuto inesigibile a causa di quella inerzia.
Nel caso in cui un amministratore effettui pagamenti preferenziali in una situazione di dissesto, questi sarà tenuto a risarcire i creditori lesi dal pagamento preferenziale, ma non per l’intero credito, bensì per il danno da maggior falcidia dei crediti insinuati al passivo. Questo è rappresentato dalla differenza tra quanto i creditori avrebbero percepito dal riparto fallimentare se il pagamento non fosse stato effettuato, e il creditore preferito si fosse insinuato al passivo fallimentare, e quanto hanno effettivamente percepito.
Sul compenso dell’amministratore non previsto dallo statuto o da delibera assembleare
Il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.
Il creditore che agisca per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte del suo diritto limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
E’ escluso che il rapporto tra amministratore e società (c.d. rapporto d’amministrazione) possa essere ricondotto a un contratto d’opera , né, a maggior ragione, a un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato, dovendo essere inquadrato invece tra i rapporti societari . La conseguenza di tale impostazione non può che essere l’inapplicabilità dell’art. 36 Cost. e dell’art, 409, comma 1, n. 3) c.p.c. al rapporto di amministrazione in ambito societario, nel quale il compenso figura come elemento naturale ma non essenziale che può essere riconosciuto all’amministratore solo ove previsto dallo statuto o deliberato dai soci.
La responsabilità del liquidatore: natura e onere della prova
Giusto il disposto di cui all’art. 2489 c.c., il liquidatore ha il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società e risponde per gli eventuali danni derivanti dall’inosservanza di tale dovere, nonché di quello di adempiere i propri doveri con la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell’incarico, secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori, con le relative conseguenze in punto di riparto dell’onere della prova.
L’omessa tenuta o conservazione delle scritture contabile è condotta che non può essere assunta, in sé stessa, quale fonte di un diritto al risarcimento ove non si dimostri che essa è stata causa di violazioni che hanno prodotto un danno alla società, ai creditori o ai terzi, indicando le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.
Sull’onere della prova nell’azione di responsabilità contro l’amministratore e il liquidatore
Chi promuove l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore o del liquidatore deve allegare e provare l’esistenza di un danno attuale e concreto, cioè il depauperamento del patrimonio sociale, di cui si chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore o del liquidatore inadempiente. Incombe, viceversa, sull’amministratore/liquidatore l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi a lui imposti.
Gli effetti della morte del socio nella società di persone e azioni esperibili dagli eredi del socio defunto a tutela della partecipazione all’attivo finale di liquidazio
Nel caso in cui si verifichi la morte del socio nelle società di persone la legge, all’art. 2284 c.c., prevede tre possibili alternative: (i) lo scioglimento del singolo rapporto con la prosecuzione della società tra i soci superstiti come effetto legale della morte del socio cui consegue ex art 2289 c.c. il diritto degli eredi alla liquidazione del valore della quota alla data dello scioglimento del rapporto di società; (ii) lo scioglimento anticipato della società: si tratta di facoltà rimessa alla decisione dei soci superstiti che deve trovare causa nella morte del socio; in questo caso gli eredi del socio defunto hanno diritto non alla liquidazione della quota del socio defunto ex art 2289 c.c., ma alla quota di liquidazione che gli sarebbe spettata ex art 2282 c.c.; essi restano sempre creditori della società, ma la liquidazione viene condotta cumulativamente con quella degli altri soci, la causa di scioglimento sorta limitatamente al socio deceduto apre in questa ipotesi le porte allo scioglimento di tutta la società, gli eredi avranno un’aspettativa di credito il cui oggetto non è più il valore della quota ex art 2289 co 2 c.c. ma la partecipazione all’attivo finale di liquidazione, senza che gli eredi acquistino la qualità di soci durante la fase di scioglimento; quindi può dirsi che in caso di morte del socio sorge per la società con riferimento alla liquidazione degli eredi del socio defunto una obbligazione alternativa; (iii) la continuazione della società con gli eredi del socio defunto, scelta cui devono partecipare anche gli eredi del socio deceduto, situazione che esclude alcun credito degli eredi. Gli eredi del socio deceduto nelle prime due opzioni non acquistano mai la posizione del socio defunto nell’ambito della società; di conseguenza, essi non sono legittimati ad esercitarne le prerogative, né partecipano alla fase di scioglimento e di liquidazione, e la salvaguardia della loro posizione di titolari verso la società di un credito trova sede nelle disposizioni a tutela dei terzi e dei creditori sociali, soprattutto con riferimento alle operazioni poste in essere durante la liquidazione che possano compromettere il loro credito.
Sull’azione di responsabilità promossa dal curatore
Il curatore del fallimento di una società di capitali può, con un’unica azione, proporre ex art. 146, co. 2 e 3, l.fall. domande risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori e i sindaci, tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità contrattuale di questi verso la società, per inadempimento colposo agli obblighi generali di vigilanza e di intervento preventivo e successivo (ex artt. 2392 e 2407 c.c.), quanto a quelli della responsabilità extracontrattuale verso i creditori sociali, per inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, necessaria all’assolvimento della sua generica funzione di garanzia (ex artt. 2394 e 2407 c.c.).
Nell’ambito delle azioni di responsabilità intentate dal curatore fallimentare nei confronti degli amministratori della società fallita, non è sufficiente lamentare la violazione da parte di questi delle norme di legge e dell’atto costitutivo o la non corretta e oculata gestione della società, ma è altresì indispensabile dedurre e dimostrare la diminuzione del patrimonio della società e il nesso causale tra la predetta e le suddette condotte. Anche le azioni di responsabilità intentate dal curatore fallimentare nei confronti del liquidatore per comportamenti da questi posti in essere a decorrere dalla messa in liquidazione della società devono, per trovare accoglimento, essere parimenti giustificate dalla causazione di un danno patrimoniale.
Sulla natura dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore
Il curatore del fallimento di una società di capitali può, con un’unica azione, proporre ex art. 146, co. 1 e 2, l. fall., domande risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori e i sindaci, tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità contrattuale di questi verso la società, per inadempimento colposo agli obblighi generali di vigilanza e di intervento preventivo e successivo (ex artt. 2392 e 2407 c.c.), quanto a quelli della responsabilità extracontrattuale verso i creditori sociali, per inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, necessaria all’assolvimento della sua generica funzione di garanzia (ex artt. 2394 e 2407 c.c.).
Nell’ambito delle azioni di responsabilità intentate dal curatore fallimentare nei confronti degli amministratori della società fallita, non è sufficiente lamentare la violazione da parte di questi delle norme di legge e dell’atto costitutivo o la non corretta e oculata gestione della società, ma è altresì indispensabile dedurre e dimostrare la diminuzione del patrimonio della società e il nesso causale tra questa e le condotte. Anche le azioni di responsabilità intentate dal curatore fallimentare nei confronti del liquidatore per comportamenti da questi posti in essere a decorrere dalla messa in liquidazione della società devono, per trovare accoglimento, essere parimenti giustificate dalla causazione di un danno patrimoniale.