Responsabilità dell’amministratore di fatto ex art. 146 l.fall.
Del danno derivato dalle distrazioni nei confronti del patrimonio sociale devono rispondere, sotto il profilo soggettivo, sia l’amministratore di diritto sia coloro che, sulla base della documentazione acquisita, abbiano assunto il ruolo di amministratori di fatto. Non costituiscono infatti circostanze di esonero dalla responsabilità civile dell’amministratore per il danno derivato alla società e ai creditori dalla violazione degli obblighi imposti dalla carica, né l’essersi prestato ad assumere solo formalmente la carica di amministratore fungendo da prestanome del soggetto a cui è demandata di fatto la gestione né lo svolgimento del mandato nella completa ignoranza dell’operato del terzo incaricato dell’esecuzione delle attività proprie dell’amministratore.
Il curatore fallimentare che, al fine di ottenere un risarcimento del danno per equivalente pecuniario, eserciti l’azione di responsabilità ex art. 146 l.f. nei confronti dell’amministratore di diritto di una società di capitali deve dedurre tutti i comportamenti tenuti da quest’ultimo in violazione di specifici obblighi derivanti dalla legge e dallo statuto nonché dimostrare il pregiudizio – causalmente e logicamente connesso all’illecito prospettato – che da tali comportamenti sia derivato nella sfera giuridica della società. La responsabilità contrattuale dell’amministratore nei confronti della società è, infatti, una responsabilità civile che non è configurabile in termini semplicemente sanzionatori della condotta illecita prospettata attraverso la concezione di una sorta di punitive damage sganciato nella sua determinazione dall’effettiva dimostrazione della natura e consistenza del pregiudizio che dall’illecito sarebbe derivato alla società.
La semplice violazione dell’obbligo di regolare tenuta delle scritture contabili da parte dell’amministratore non è una condotta idonea a determinare un materiale pregiudizio nella sfera patrimoniale della società e, pertanto, non giustifica il riconoscimento del risarcimento del danno con natura e finalità sanzionatoria rispetto alla violazione formale. Discorso diverso vale invece per eventuali operazioni distrattive poste in essere dall’organo gestorio. In particolare, la responsabilità di quest’ultimo per la violazione degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale compromessa da prelievi di cassa o pagamenti a favore di terzi ingiustificati per la mancanza di idoneo riscontro della loro causa nella contabilità e documentazione sociale deve ritenersi dimostrata per presunzioni ove l’amministratore convenuto non provi la riferibilità all’attività sociale delle spese o la destinazione dei pagamenti all’estinzione di debiti sociali
Legittimo il rimborso dei finanziamenti soci in assenza dell’allegazione dei presupposti di cui all’art. 2467 c.c.
Le eventuali rimesse eseguite dalla società a favore di alcuni soci a titolo di restituzione di finanziamenti soci non possono essere annoverate fra i pagamenti ingiustificati, laddove il fallimento attore non alleghi l’esistenza – al momento dell’erogazione dei prestiti e del loro rimborso – dei presupposti stabiliti dall’art. 2467 c.c. per l’operatività dell’invocata postergazione.
Azione di responsabilità del fallimento nei confronti dell’amministratore per violazioni di norme ambientali
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art.146, comma 2, LF, dipendendo da rapporti che si trovano già nel patrimonio dell’impresa al momento dell’apertura della procedura concorsuale a suo carico, e che si pongono con questa in relazione di mera occasionalità, non riguarda la formazione dello stato passivo e non è attratta alla competenza funzionale del tribunale fallimentare ex art.24 LF, restando soggetta a quella del tribunale delle imprese, ex art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 168 del 2003, propria di tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, da chiunque promosse.
L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art.2394 cod. civ. promossa dal curatore fallimentare ex art.146 legge fall. (nel testo vigente prima della riforma avvenuta con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n.5, applicabile “ratione temporis”) è soggetta a prescrizione che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art.2740 cod. civ.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui all’art.5 della legge fall., derivante, “in primis”, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.
Secondo un condivisibile e consolidato orientamento di legittimità, fatto costitutivo della pretesa risarcitoria nei confronti di amministratori di società è la ricorrenza di un danno al patrimonio sociale (e, quindi, ai creditori alla cui soddisfazione tale patrimonio è destinato) legato da specifico nesso causale ad un inadempimento dei doveri gestori, sicché, in dipendenza di tale principio di causalità, l’attore in responsabilità ha l’onere di allegare un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato [nella specie il Tribunale ha rigettato la domanda del fallimento attore avendo quest’ultimo indicato come danno il deprezzamento dell’immobile sociale, di per sé in realtà connotato in senso neutro sia rispetto al patrimonio sociale sia, specularmente, rispetto alle ragioni dei creditori su tale patrimonio].
Conoscibilità dell’insufficienza del patrimonio sociale e prescrizione dell’azione di responsabilità proposta nei confronti degli amministratori
Il curatore fallimentare che propone l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori della società fallita, ai sensi dell’art. 146 della legge fallimentare, è legittimato ad esercitare congiuntamente l’azione di responsabilità di natura contrattuale verso la società e l’azione di responsabilità di natura extracontrattuale verso i creditori sociali, cumulandone i benefici ai fini della reintegrazione del patrimonio della società fallita anche sotto il profilo del diverso regime di prescrizione che le connota.
Azione dei creditori sociali esercitata dal curatore: decorrenza del termine di prescrizione
L’azione ex art. 146 l. fall. del curatore fallimentare unisce in sé le azioni di responsabilità degli amministratori verso la società (art. 2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2934 c.c.).
Quando il curatore agisce nei confronti del liquidatore (o amministratore) in carica prima della dell’organo fallimentare :
– il termine quinquennale di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.) decorre dalla cessazione del liquidatore (o amministratore) dalla carica, avvenuta al momento della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento.
– il termine quinquennale di prescrizione dell’azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. In questa fattispecie, l’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sul liquidatore (o amministratore) che eccepisce la prescrizione dell’azione. Tuttavia la mera constatazione che da un bilancio precedente la dichiarazione di fallimento fosse rilevabile l’elevata esposizione debitoria della società non implica, di per sé, né che la stessa fosse insolvente, né che il patrimonio fosse insufficiente a soddisfare i creditori sociali.
Unitarietà dell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare: onere della prova e prescrizione
L’art. 146 L.F., secondo cui sono esercitate dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, le azioni di responsabilità contro amministratori, componenti dell’organo di controllo, direttori generali e liquidatori, compendia in sé le azioni di responsabilità degli amministratori verso la società (artt. 2392-2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2394 c.c.). Per quanto riguarda i liquidatori dall’art. 2489, co. 2 c.c. discende l’applicabilità agli stessi delle norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori verso la società (artt. 2932-2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2934 c.c.).
In particolare, è stato rilevato che è nelle facoltà del curatore scegliere quale delle due azioni esercitare o scegliere di esercitarle entrambe. Alla luce del principio dell’unitarietà dell’azione ex art. 146 L.F. (e della natura contrattuale della responsabilità), infatti, questo poco incide sul principio in base al quale grava sul curatore che promuove dette azioni l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, incombendo, per converso, su amministratori e sindaci (e nel caso di specie, sul liquidatore) l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, in riferimento agli addebiti contestati, del rispetto dei doveri e del corretto adempimento degli obblighi loro imposti.
Limitatamente alla prescrizione, ove l’azione esercitata dal curatore fallimentare dovesse essere ricondotta all’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c., il termine quinquennale è da considerarsi sospeso, a norma dell’art. 2941 n. 7 c.c., fino alla cessazione del liquidatore dall’incarico. Anche qualora, poi, l’azione esercitata dalla curatela fallimentare dovesse essere riconducibile all’azione dei creditori sociali ex 2394 c.c., essa si prescriverebbe nel termine di cinque anni decorrenti dal momento dell’oggettiva percepibilità da parte dei creditori dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. L’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si sia manifestata e sia divenuta conoscibile già prima della data di dichiarazione del fallimento – alla luce della predetta natura contrattuale della responsabilità – grava su colui che eccepisce la prescrizione e la mera contestazione dell’esposizione debitoria della società non assolve a ciò, non implicando, di per sé, né che la società sia insolvente, né che il patrimonio sia insufficiente a soddisfare i creditori sociali.
Azione di responsabilità degli amministratori e chiamata in causa di terzi
In tema di responsabilità civile costituisce principio generale l’estensione della domanda svolta contro il convenuto nei confronti del terzo, che il convenuto abbia chiamato in corresponsabilità.
Tale principio tuttavia non opera laddove l’attore abbia esplicitamente dichiarato che non intende estendere la domanda nonché qualora in sede di formazione dello stato passivo il credito sia stato ammesso dal giudice delegato.
Azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare: violazione degli obblighi gestori e omessa azione di responsabilità del liquidatore
Nel giudizio di responsabilità promosso dal curatore fallimentare contro l’amministratore della società in liquidazione, avente ad oggetto l’esecuzione di lavori presso l’immobile sede dell’attività sociale a spese della società, deve verificarsi quali tra le spese sostenute debbano considerarsi di straordinaria amministrazione e, quindi, a carico del locatore. Solo in relazione a tali spese può infatti dirsi fondato l’addebito all’amministratore per avere omesso di chiederne il rimborso.
Con riferimento al mancato recupero di un credito della società condotta, la difesa dell’amministratore che si limiti a dedurre l’incapacità patrimoniale del debitore e, quindi, l’inutilità dell’eventuale azione di recupero che si sarebbe dovuta intraprendere, non è idonea a provare il corretto adempimento della prestazione a carico dell’amministratore, tenuto conto del fatto che anche una mera messa in mora avrebbe evitato il decorso della prescrizione del diritto di credito.
Quanto all’azione esercitata nei confronti del liquidatore per l’omesso esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore inadempiente ai propri doveri gestori, la circostanza per cui il costo dell’operazione contestata all’amministratore era da considerarsi “nella norma” non esclude che possa essere stato compiuto un atto di amministrazione non conforme alle regole di corretta gestione societaria. Analogamente, priva di rilievo ai fini dell’accertamento della responsabilità del liquidatore convenuto è la circostanza per cui la crisi aziendale possa essere stata determinata da altri fattori, trattandosi anch’esso di un dato che non elide l’atto di mala gestio realizzato dall’amministratore.
Durata del termine di prescrizione delle azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali e sussistenza di reati penali e fallimentari
La sussistenza di reati compiuti dagli amministratori di società determina (ai sensi dell’art. 2947, co. 1, c.c.) l’applicazione del maggior termine di durata della prescrizione all’azione civile di responsabilità, con la conseguenza che il termine non è più quello quinquennale ma il diverso e più lungo previsto dalla specifica fattispecie penale.
In caso di fallimento della società, il termine ordinario di prescrizione quinquennale per l’azione sociale di responsabilità (art. 2393, co. 4 c.c.) e per quella dei creditori sociali (artt. 2394 e 2949 c.c.) subisce – per effetto della sussistenza di reati fallimentari (quali ad esempio quello di bancarotta) – l’incremento del periodo di durata (6 o anche 10 anni) connesso e conseguente al reato compiuto, applicandosi in tal caso il maggior termine di prescrizione previsto per la fattispecie illecita compiuta.
In ipotesi di addebiti specifici di condotte lesive e pregiudizievoli nei confronti degli organi gestori, la Curatela non può ricorrere a criteri equitativi di liquidazione del danno come quello della differenza tra attivo e passivo del fallimento.
A prescindere dalla attendibilità, comunque, resta fermo che le dichiarazioni di circostanze sfavorevoli contenute nelle scritture contabili hanno un valore confessorio che conferisce una efficacia probatoria contra se rispetto all’amministratore che le ha redatte: conseguentemente è onere dello stesso convenuto dimostrare analiticamente le movimentazioni del denaro e delle vendite attraverso le relative pezze di appoggio; onere probatorio che deve essere assolto in modo ancora più rigoroso se si considera un quadro di sostanziale inadempimento di basilari obblighi gestori.
Esperimento unitario da parte del curatore fallimentare dell’azione sociale di responsabilità e di quella riconosciuta al ceto creditorio
Sia l’azione sociale di responsabilità, sia quella (di cui all’art. 2394 del codice civile, per le società per azioni, e all’art. 2476, comma 6, del codice civile, per le società a responsabilità limitata) riconosciuta al ceto creditorio – rappresentato, post fallimento, dal curatore – nei confronti degli amministratori per inosservanza degli obblighi su di essi incombenti in vista della conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, possono essere esperite unitariamente dalla curatela fallimentare, ma non per questo motivo perdono le rispettive distinzioni quanto a presupposti e termini prescrizionali, ben potendo, in particolare, essere prescritta l’una ma non anche l’altra.