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1 Giugno 2022

Differenze tra la responsabilità dell’amministratore verso i creditori sociali e verso il singolo socio o creditore

L’azione proposta ex art. 2395 c.c. ha natura extracontrattuale e ne ricorrono i presupposti quando vi è la prova di una condotta dolosa o colposa posta in essere in violazione degli obblighi previsti dalla legge o dallo statuto, di un pregiudizio diretto ed immediato al patrimonio individuale del socio o del terzo e della sussistenza di un nesso di causalità tra condotte e pregiudizio.

L’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. si propone di tutelare l’integrità del patrimonio sociale, in relazione all’obbligo della sua conservazione; essa riveste natura di azione aquiliana ex art. 2043 c.c. in cui il danno ingiusto è integrato dalla lesione dell’aspettativa di prestazione dei creditori sociali, a garanzia della quale è posto il patrimonio della società, trovando così fondamento nel principio generale della tutela extracontrattuale del credito di cui agli artt. 2740 e 2043 c.c.

Tra gli obblighi esistenti in capo all’amministratore vi sono sicuramente quelli di tutelare il patrimonio sociale e conservare, con esso, la garanzia di soddisfazione dei creditori. Affinché vi possa essere risarcimento per comportamento illegittimo dell’amministratore, occorre tuttavia che sia provata non solo l’illiceità del comportamento, ma anche la conseguenza dannosa che da questa discende, in modo causalmente connesso.

27 Maggio 2022

Mancato assolvimento dell’onere probatorio nell’azione sociale di responsabilità e disciplina del conflitto di interessi nella s.r.l.

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei dover imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo. Pertanto, l’attore ha l’onere di fornire la prova dell’esistenza di un danno attuale e concreto (ossia il depauperamento del patrimonio sociale) e la riconducibilità del pregiudizio al fatto lesivo dell’amministratore. Spetta, invece, all’amministratore provare l’inesistenza del danno, o altrimenti la non imputabilità a sé dell’evento lesivo, fornendo elementi positivi a smentita degli addebiti contestati, dimostrando la propria osservanza dei doveri, nonché il corretto adempimento degli obblighi impostigli dalla legge o dallo statuto.

L’art. 2475 ter c.c. prevede una disciplina del conflitto di interessi degli amministratori di s.r.l. autonoma e diversificata rispetto a quella prevista per le s.p.a. Infatti, in primo luogo, nell’ambito delle s.r.l. rilevano i soli interessi dell’amministratore che siano in contrasto con l’interesse sociale, mentre per le s.p.a. l’art. 2391 c.c. prende in considerazione ogni interesse che l’amministratore possa avere in una determinata operazione; in secondo luogo, nella s.r.l. manca una disciplina concernente obblighi di comunicazione, motivazione ed astensione diretti a prevenire l’abuso da parte degli amministratori in conflitto; infine, i rimedi previsti nella s.r.l. per reagire all’assunzione di una decisione o al compimento di un atto viziato da conflitto di interessi hanno carattere successivo ed invalidatorio, diversamente dalla disciplina prevista per le s.p.a. caratterizzata dall’impostazione, in via preventiva, di obblighi comportamentali gravanti sugli amministratori. In particolare, nelle s.r.l. sussiste un conflitto di interessi tra amministratore e società quando, in relazione a una determinata decisione, a un vantaggio anche potenziale dell’amministratore fa fronte uno svantaggio della società, o viceversa (potendo anche accadere che l’amministratore, per evitare un danno, pregiudichi le ragioni della società). Premesso, quindi, che non vi è una specifica disciplina concernente gli obblighi di informazione dell’amministratore potenzialmente in conflitto di interessi, ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’amministratore per conflitto di interessi è richiesto il positivo accertamento, in concreto, di un effettivo pregiudizio per la società. Ciò emerge tanto dall’art. 2476 c.c., a norma del quale la responsabilità dell’amministratore insorge solo a fronte di un danno per la società, quanto dal disposto dello stesso art. 2475 ter c.c., laddove indica che le decisioni assunte dall’organo amministrativo in conflitto di interessi possono essere impugnate qualora cagionino un danno patrimoniale alla società.

La mancata percezione di utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio (necessario ai fini dell’affermazione della responsabilità nei confronti del singolo socio ai sensi dell’art. 2476, co. 6 [ora 7], c.c.), poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.

30 Marzo 2022

Responsabilità dell’amministratore per danno diretto e responsabilità solidale del socio di s.r.l.

La norma di cui all’art. 2476, co. 7, c.c., nel prevedere il diritto al risarcimento dei danni spettante ai singoli soci che si assumano direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori, regola, al pari di quella di cui all’art. 2395 c.c., una specie della fattispecie generale di responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2043 c.c. e dell’obbligo ivi fatto al danneggiante di risarcire i danni causati contra ius a terzi con atti e fatti non iure dati. Ciò in quanto mentre il rapporto che si forma tra la società di capitali e l’amministratore ha la sua fonte in un atto di nomina e di accettazione che instaura tra le parti un vero e proprio contratto avente ad oggetto la diligente gestione – secondo statuto e legge – della società, tale per cui il dovere dell’organo amministrativo di conservare e investire al meglio il patrimonio sociale ha natura contrattuale e il suo inadempimento – anche sotto il profilo degli oneri processuali di prova – è regolati dagli artt. 1218 e 1176 c.c., per quanto concerne il rapporto tra il socio e la società il diaframma della persona giuridica è tale da rendere i soci, nei rapporti con l’amministratore, terzi sia pur qualificati privi di un diretto e vincolante rapporto obbligatorio con il gestore del patrimonio sociale. Ne consegue che, ove i soci alleghino che determinati atti gestori abbiano inferto un danno diretto alla propria sfera giuridico-patrimoniale, incombe pienamente loro la prova piena della condotta illecita – anche sotto il suo profilo soggettivo di colpevolezza – nonché del danno e del nesso di causalità, pure diretta, tra i due termini della fattispecie risarcitoria.

L’azione individuale di responsabilità in materia societaria esige che il comportamento doloso o colposo dell’amministratore, posto in essere tanto nell’esercizio dell’ufficio, quanto al di fuori delle incombenze ad esso correlate, abbia determinato un danno che incida direttamente sul patrimonio del socio o del terzo. È, invece, irrilevante che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale danno sia ricollegabile ad un inadempimento della società, né, infine, che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società e a suo vantaggio. Infatti, dalla formulazione dell’art. 2395 c.c. emerge chiaramente come l’unico dato significativo ai fini della sua applicazione sia costituito dall’incidenza del danno. La sussistenza di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente si pongono come elementi tanto necessari, quanto sufficienti al riguardo.

La responsabilità solidale del socio di s.r.l. di cui all’art 2476 co 8 c.c. prevede tre presupposti per il riconoscimento della responsabilità: l’alterità soggettiva del socio rispetto agli amministratori, il compimento da parte dell’amministratore di un atto dannoso e la qualità di socio del soggetto che decide od autorizza (intenzionalmente) il compimento dell’atto dannoso.

La responsabilità viene in rilievo non già per una semplice assenza di controllo e neppure, in ipotesi di effettiva esistenza dell’atto dannoso, per la mera riconducibilità di tale atto al socio, ma solo in caso di intenzionale decisione o autorizzazione, da parte del socio, di quegli specifici atti dannosi da intendersi quale piena coscienza di compiere quell’atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e perciò deve indicare la riferibilità psicologica dell’atto al socio. Per tale ragione, la responsabilità del socio è solidale con quella degli amministratori. Il socio per integrare la fattispecie di cui all’art. 2476, co. 8, c.c. deve aver compiuto atti o comportamenti tali da supportare intenzionalmente l’azione illegittima e dannosa poi posta in essere dagli amministratori: è sufficiente che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio dell’antigiuridicità dell’atto e che, nonostante ciò, costui partecipi alla fase decisionale finalizzata al successivo compimento di quell’atto da parte dell’amministratore. L’intenzionalità, in questa prospettiva, è costituita dalla piena coscienza di compiere quell’atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e, in definitiva, dalla riferibilità psicologica dell’atto al socio.

24 Gennaio 2022

Il danno diretto nell’azione di responsabilità ex art. 2395 c.c.

La prospettazione da parte del socio o del terzo di un danno meramente riflesso rispetto alla lesione alla garanzia patrimoniale della società non integra le condizioni essenziali per l’accoglimento dell’azione ex art. 2395 c.c. Infatti, l’azione individuale del socio o del terzo nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisce solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio, o il terzo, sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.

A norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.fall.

Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori. La destinazione del patrimonio sociale di una società in sofferenza patrimoniale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare, e il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

Il pagamento preferenziale può arrecare un danno solo ai singoli creditori rimasti insoddisfatti, ma non alla società, perché si tratta di operazione neutra per il patrimonio sociale, che vede diminuire l’attivo in misura esattamente pari alla diminuzione del passivo conseguente all’estinzione del debito.

8 Gennaio 2022

Cessione della partecipazione in pendenza dell’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 3 c.c. Oggetto dell’azione di responsabilità per danno diretto

La cessione dell’intera partecipazione da parte del socio di s.r.l., in pendenza del giudizio avente ad oggetto l’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 3 c.c. da quest’ultimo esercitata, determina la declaratoria di improcedibilità della domanda per sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire dell’attore, posto che le condizioni dell’azione devono non solo sussistere al momento della proposizione della domanda giudiziale, ma devono altresì persistere sino al momento della relativa decisione.

L’ex socio, quale soggetto terzo, resta invece legittimato a proseguire l’azione di responsabilità per danno diretto esercitata nei confronti dell’amministratore e del socio concorrente nell’illecito, ai sensi dell’art. 2476, co. 7 e 8 c.c.

Con tale azione, devono essere contestati addebiti di natura gestoria, vale a dire condotte inerenti all’amministrazione in senso stretto dell’ente, connotate in senso illecito in ambito endo-societario e riverberantisi in danno di singoli soci o terzi.

Pertanto, se l’attore – richiamando specificamente la responsabilità per danno diretto – contesta  delle condotte che si risolvono non in un atto relativo alla gestione della società, ma in un accordo tra i soci quanto alle loro scelte di partecipazione alla ricapitalizzazione dell’ente, la domanda dev’essere rigettata, in quanto palesemente estranea rispetto allo schema normativo espressamente richiamato, non essendo consentito al Tribunale operare una diversa qualificazione della pretesa risarcitoria [nel caso di specie, con l’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 7 e 8 c.c. l’attrice aveva espressamente contestato di essere stata costretta – dall’amministratore in concorso con l’altro socio – a partecipare (indirettamente) alla copertura delle perdite mediante cessione della propria partecipazione, per un corrispettivo pari al valore nominale della quota, che risultava superiore rispetto all’ammontare complessivo delle perdite che ella sarebbe stata chiamata a coprire pro-quota, quantificando il danno diretto in misura pari alla differenza tra il corrispettivo incassato dalla cessione e la somma che avrebbe impiegato a fronte di una diretta partecipazione alle perdite].

4 Maggio 2018

Responsabilità dell’amministratore per danni diretti cagionati al singolo socio

L’elemento di diversità dell’azione individuale di responsabilità ex artt. 2476, co. 6 [ora 7], per le s.r.l., e 2395, per le s.p.a, c.c. rispetto all’azione sociale ed a quella dei creditori è rappresentato dall’incidenza diretta del danno sul patrimonio del socio o del terzo. Infatti, mentre l’azione sociale è finalizzata al risarcimento del danno al patrimonio sociale, che incide soltanto indirettamente sul patrimonio dei soci per la perdita di valore delle loro azioni o della loro quota sociale, e l’azione dei creditori sociali mira al pagamento dell’equivalente del credito insoddisfatto a causa dell’insufficienza patrimoniale causata dall’illegittima condotta degli amministratori, e quindi ancora una volta riguarda un danno che costituisce il riflesso della perdita patrimoniale subita dalla società, l’azione individuale postula la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio o del terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società.

Al contrario, non rileva che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale danno sia o meno ricollegabile a un inadempimento della società, né infine che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società e a suo vantaggio, dato che la formulazione dell’art. 2395 c.c. pone in evidenza che l’unico dato significativo ai fini della sua applicazione è costituito, appunto, dall’incidenza del danno.

L’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l. può essere esercitata sia dalla società, titolare del diritto al risarcimento del danno, sia dal socio, indipendentemente dalla consistenza della partecipazione sociale. Tuttavia, il socio – non essendo titolare del diritto al risarcimento del danno – fa valere in nome proprio il diritto spettante alla persona giuridica. Ne consegue, dunque, che la società – quale soggetto titolare del diritto in favore del quale si esercita l’azione – deve necessariamente partecipare, ex art. 102 c.p.c., sia al processo relativo all’azione sociale, sia ad eventuali procedimenti cautelari. Qualora, poi, al momento dell’esercizio dell’azione sociale, il soggetto asseritamente responsabile dei danni al patrimonio sociale sia ancora titolare dei poteri di rappresentanza sostanziale della società, è necessaria la nomina di un curatore speciale ex art. 78, co. 2, c.p.c.

La figura dell’amministratore di fatto ricorre qualora un soggetto, non formalmente investito della carica, si ingerisca nell’amministrazione, esercitando (di fatto) i poteri propri inerenti alla gestione della società. In particolare, sussiste la figura dell’amministratore di fatto ove ricorrano le seguenti condizioni: (i) assenza di una efficace investitura assembleare; (ii) attività esercitata (non occasionalmente, ma) continuativamente; (iii) funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto; (iv) autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria, ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori di diritto. Sicché, è amministratore di fatto chi, senza valido titolo gestisce, da solo o anche con l’amministratore formale, la società, esercitando con sistematicità e completezza un potere di fatto corrispondente a quello degli amministratori di diritto.

Nell’ambito della disciplina delle società a responsabilità limitata non è specificamente prevista un’azione di merito volta alla revoca dell’amministratore. Il terzo comma dell’art. 2476 c.c. disciplina esclusivamente l’azione di risarcimento del danno e la revoca dell’amministratore in via d’urgenza, non consentendo, quindi, al giudice alcun potere di sostituire la propria volontà a quella dei soci della società nella nomina di altro amministratore in luogo di quello revocato. Del resto, la riforma del diritto societario – che, da una parte, non ha più previsto la decadenza automatica dalla carica dell’amministratore in presenza della deliberazione assembleare di esercitare l’azione di responsabilità e, dall’altra, non ha inteso conservare l’applicabilità alle società a responsabilità limitata dell’istituto di cui all’art. 2409 c.c. – ha introdotto la nuova misura della revoca dell’amministratore in sede cautelare: l’art. 2476 c.c. prevede, quale strumento cautelare tipico, la revoca dell’amministratore per gravi irregolarità in relazione alla domanda di merito, volta alla condanna del medesimo al risarcimento del danno patito dalla società, azione esercitabile da ciascun socio, ma volta a reintegrare il patrimonio sociale del pregiudizio a questo cagionato.