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6 Maggio 2022

I criteri per l’individuazione dell’amministratore di fatto

Le norme di legge che disciplinano l’attività degli amministratori di una società di capitali, dettate al fine di consentire un corretto svolgimento dell’amministrazione dell’ente, sono applicabili non soltanto alle persone fisiche immesse, nelle forme stabilite dalla legge, mediante atto negoziale di preposizione gestoria nelle funzioni di amministrazione, ma anche a coloro che si siano di fatto ingeriti nella gestione della società in assenza di una qualsivoglia investitura da parte dell’assemblea, sia essa irregolare o implicita. Ne consegue che i responsabili delle violazioni di dette norme vanno individuati, anche nell’ambito del diritto privato, non sulla base della loro qualificazione formale, bensì con riguardo al contenuto delle funzioni concretamente esercitate; con l’ulteriore, necessaria, precisazione che l’individuazione della figura del cosiddetto “amministratore di fatto” presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non anche meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. Al fine di far emergere il soggetto che effettivamente esercita le funzioni gestorie e di individuare, quindi, l’amministratore di fatto è possibile far riferimento a elementi quali: (i) assenza di una efficace investitura assembleare; (ii) attività esercitata (non occasionalmente ma) continuativamente; (iii) funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto; (iv) autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria, ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori di diritto.

Azione sociale di responsabilità davanti al giudice incompetente e traslatio iudicii

In caso di traslatio iudicii ex artt. 50 c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c., la riassunzione davanti al giudice competente va effettuata con comparsa – o atto equipollente, citazione o ricorso, che tuttavia presenti i requisiti formali ex art. 125 disp. att. c.p.c. – da notificarsi alla controparte (al procuratore costituito o alla parte personalmente se non costituita) entro il termine assegnato dal giudice dichiaratosi incompetente, o entro tre mesi dalla comunicazione della pronuncia di incompetenza. Se la forma dell’atto non è vincolante, è invece indispensabile che la notifica avvenga nel termine prescritto, a pena di estinzione del processo.

30 Aprile 2022

Mancata convocazione dell’assemblea per la ricapitalizzazione ex art. 2482 ter c.c. e responsabilità dell’amministratore unico

Il mancato adempimento dell’obbligo di convocare l’assemblea per la ricapitalizzazione di una s.r.l. ex art. 2482 ter c.c. non integra di per sé una responsabilità dell’amministratore nei confronti del creditore sociale insoddisfatto, atteso che, ove l’amministratore avesse ottemperato all’obbligo richiamato, i soci avrebbero potuto scegliere, in luogo della ricapitalizzazione, l’alternativa loro offerta dalla legge di sciogliere la società, cui sarebbero comunque conseguite l’incapienza del patrimonio sociale e, quindi, l’infruttuosità di qualsiasi tentativo di escussione del creditore.

22 Aprile 2022

I poteri-doveri degli amministratori non delegati e dei sindaci ed i relativi profili di insorgenza di responsabilità sociale

Con riferimento alla responsabilità degli amministratori esecutivi e del direttore generale di una società per azioni, il richiamo al principio del business judgement rule (ovvero l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione quale fonte di danno per la società) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse da compiersi sia ex ante, sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere. Sussiste in altri termini la responsabilità degli amministratori, allorquando le operazioni poste in essere siano state quantomeno avventate e contrarie agli interessi della società; grava sugli amministratori l’onere della prova – con riferimento agli addebiti contestati – della osservanza dei doveri previsti dall’art. 2392 c.c., con la conseguenza che gli amministratori dotati di deleghe (c.d. operativi) – ferma l’applicazione della business judgement rule – rispondono non già con la diligenza del mandatario, come nel caso del vecchio testo dell’art. 2392 c.c. , ma in virtù della diligenza professionale esigibile ex art.1176 comma 2 c.c.

Per quanto riguarda, invece, gli amministratori non esecutivi, con la riforma del 2003 è stato abrogato il generico dovere di vigilanza ed è stato introdotto il dovere di agire informati, cioè di acquisire relativamente alla gestione della società quelle informazioni che sono necessarie per poter prendere decisioni meditate e consapevoli (art. 2381 cc.). E’ stata resa più rigorosa la diligenza esigibile dagli amministratori che è passata dalla generica diligenza del mandatario a quella professionale caratterizzata da una triplice articolazione, ovvero diligenza richiesta: i. dalla natura dell’incarico; ii. dalle competenze; iii. dal dovere degli amministratori di agire informati. Il sistema della responsabilità degli amministratori privi di deleghe posto dagli artt. 2381 e 2392 c.c., conforma l’obbligo di vigilanza dei medesimi non più come avente ad oggetto “il generale andamento della gestione” – quale controllo continuo ed integrale sull’attività dei delegati – ma richiedendo loro, secondo la diligenza esigibile sin dal momento dell’accettazione della carica, di informarsi ed essere informati, anche su propria sollecitazione, degli affari sociali, e di trarne le necessarie conseguenze. Il perdurante dovere di controllo in capo ai medesimi può precisarsi come obbligo di informazione attiva e passiva, nonché di conseguente attivazione, al fine di scongiurare le condotte dei delegati da cui possa derivare danno alla società. In tal senso, permane l’obbligo di attivarsi, qualora a conoscenza di fatti pregiudizievoli, per impedire il compimento o eliminare o attenuare le conseguenze dannose; rispondendo in caso di condotta inerte e di verificarsi del fatto pregiudizievole antidoveroso altrui a titolo di colpa.

Con riferimento ai membri del Collegio sindacale, si osserva che l’art. 2407 c.c. impone ai sindaci l’adempimento dei loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico e ne prevede la responsabilità solidale con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica. I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 c.c. e ss. si estendono a tutta l’attività sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello dei creditori sociali: tali doveri non riguardano soltanto il controllo meramente formale sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma si estendono all’acquisizione di informazioni pregnanti sull’andamento generale dell’attività sociale così come su specifiche operazioni.

La responsabilità “concorrente” dei sindaci ha come presupposto di fatto l’inadempimento degli amministratori: ove l’organo gestorio abbia perpetrato un illecito, i componenti del collegio possono essere ritenuti solidalmente responsabili ove, attraverso il loro colpevole inadempimento, abbiano cooperato alla produzione dell’evento dannoso. Si tratta di una forma di responsabilità diretta per fatto proprio ricollegabile ad un comportamento commissivo od omissivo (doloso o colposo) dei sindaci. Per configurare la responsabilità dei membri del collegio sindacale per omessa vigilanza, non è necessaria la prova che gli stessi conoscessero in concreto l’attività illecita svolta dall’organo amministrativo, essendo per contro sufficiente la rappresentabilità ovvero la conoscenza potenziale di tali illeciti. In tal senso, il dovere di sorveglianza – posto a garanzia dei soci e dei creditori ed a tutela di una finalità preventiva (evitare evento o danno) o mitigatoria (ridurre le conseguenze) delle condotte illegittime gestorie – si concretizza nell’obbligo di: i. vigilare, non solo in funzione preventiva rispetto ad ipotetici atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche in funzione del controllo di un corretto operato della società; ii. esercitare, ove necessario, gli ampi poteri di cui dispone il collegio sindacale di fronte alle iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo (il cui mancato esercizio determina il concorso dei sindaci nell’illecito civile commesso dagli amministratori).

Il potere di controllo dei sindaci non si esplica soltanto sulla base delle informazioni offerte dagli amministratori, ma anche attraverso i poteri di indagine loro attribuiti, con la conseguenza che l’obbligo di vigilanza che la legge impone ai sindaci si concretizza in un monitoraggio concreto e costante della gestione e, pertanto, i Sindaci: i. in presenza di informazioni insufficienti o lacunose da parte degli amministratori devono attivarsi in proprio per acquisire gli elementi mancanti; ii. devono svolgere autonomamente ispezioni e controlli e chiedere al consiglio di amministrazione precisazioni e chiarimenti in relazione alle operazioni sociali, non limitandosi a ricevere passivamente le informazioni trasmesse ma assumendo con un ruolo attivo di ricerca dei necessari elementi di valutazione ed esercitando in modo tempestivo il potere-dovere ispettivo.

I poteri-doveri di controllo attribuiti ai sindaci non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello concorrente dei creditori sociali. Ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi – secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale – se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato, tenuto conto di tutta la possibile gamma di iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica (quali la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c., la segnalazione all’assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l’impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex art. 2446-2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., ed ogni altra attività possibile ed utile). Ove i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta illecita gestoria contraria alla corretta gestione dell’impresa, non è sufficiente ad esonerarli da responsabilità la dedotta circostanza di essere stati tenuti all’oscuro dagli amministratori o di avere essi assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, allorché, assunto l’incarico, fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e di porvi rimedio, onde l’attivazione conformemente ai doveri della carica avrebbe potuto permettere di scoprire tali fatti e di reagire ad essi, prevenendo danni ulteriori.

Le dimissioni presentate non esonerano il sindaco da responsabilità, in quanto non integrano adeguata vigilanza sullo svolgimento dell’attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perché la diligenza impone, piuttosto, un comportamento alternativo, allora le dimissioni diventando anzi esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità.

20 Aprile 2022

Azione di responsabilità ex art. 2476 c.c.: profili processuali e natura del debito risarcitorio

L’art. 2476, co. 3, c.c. contempla un’ipotesi di sostituzione processuale che rende comunque necessaria la compartecipazione al giudizio della società titolare del credito risarcitorio, in quanto nel suo patrimonio confluirà la somma eventualmente liquidata all’esito positivo del giudizio, onde, la sua presenza attiva, con possibilità anche di resistere all’azione, si giustifica anche in ragione del brocardo nemo invitus locupletari potest.

Alla luce del disposto dell’art. 2476 c.c., chi non riveste il ruolo di legale rappresentante, socio e/o creditore della società non è legittimato in alcun modo ad agire per conto e/o in luogo di quest’ultima per far valere la responsabilità degli amministratori.

L’interesse richiesto per la legittimazione all’intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti (art. 105, co. 2, c.p.c.), deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tal che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere – anche solo in via indiretta o riflessa – pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa.

14 Aprile 2022

Azione personale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali

L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c., in tema di s.p.a., e l’art. 2476, co. 7, c.c., in tema di s.r.l., esigono che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società. La mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.

14 Aprile 2022

Quantificazione del danno per indebita prosecuzione dell’attività in presenza di una causa di scioglimento

Il danno arrecato alla società ed ai creditori sociali per l’indebita prosecuzione dell’attività malgrado la sussistenza di una causa di scioglimento, nell’impossibilità di un più preciso conteggio, può quantificarsi, secondo i criteri consolidati nella più recente giurisprudenza di legittimità, nella differenza tra il patrimonio netto stimato alla data del fallimento, e quello stimato alla data del verificarsi della causa di scioglimento, dedotti quei costi che sarebbero stati sostenuti anche nella fase di liquidazione, e previa riclassificazione dei dati patrimoniali in prospettiva liquidatoria.

14 Aprile 2022

L’azione del terzo creditore ex art. 2476, comma 7 c.c.: onere della prova

La riconducibilità della responsabilità ex art. 2476, co. 7, c.c. allo schema della responsabilità aquiliana comporta che è sul creditore che agisce che grava l’onere di allegare in maniera specifica e di provare a) la addebitabilità agli amministratori, di omissioni e condotte in violazione degli obblighi specifici e dei doveri connessi alla carica rivestita; b) i pregiudizi patrimoniali diretti asseritamente subiti e, non ultimo, c) il nesso eziologico tra gli addebiti formulati ed i danni prospettati.

11 Aprile 2022

Azione sociale di responsabilità nella s.r.l.

L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità deve essere deliberato, anche nelle società a responsabilità limitata, dall’assemblea dei soci. L’autorizzazione assembleare, dunque, si pone come requisito necessario per attribuire al legale rappresentante della società la legittimazione processuale e la volontà dei soci deve necessariamente essere espressa mediante una deliberazione da assumersi nell’assemblea in sede ordinaria (art. 2364, co. 1 n. 4, c.c.), non essendo ammesse forme equipollenti.

L’azione sociale di responsabilità si configura, per consolidata giurisprudenza, come un’azione risarcitoria di natura contrattuale, derivante dal rapporto che lega gli amministratori alla società e volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del depauperamento cagionato dalla cattiva gestione degli amministratori e dalle condotte da questi posti in essere in violazione degli obblighi gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo, ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’obbligo di intervento preventivo e successivo. E’ onere della parte attrice allegare l’inadempimento sussistente in capo all’amministratore degli obblighi a lui imposti dalla legge e/o dall’atto costitutivo, nonché discendenti dal generale obbligo di vigilanza al fine di evitare il determinarsi di eventi dannosi.

La condotta dell’amministratore di s.r.l., equiparata per tale aspetto ai doveri che devono connotare il contegno degli amministratori di s.p.a., deve informarsi alla diligenza richiesta per la natura dell’incarico ed alle specifiche competenze del settore; trattasi, dunque, della speciale diligenza richiesta, ai sensi dell’art. 1176, 2° comma, al professionista e non, come previsto nei tempi precedenti alla riforma del diritto societario entrata in vigore il’1.1.2004, alla generica diligenza del mandatario.

Giova precisare che, ai fini della risarcibilità del danno, il soggetto agente, oltre ad allegare l’inadempimento dell’amministratore nei termini summenzionati, deve anche allegare e provare l’esistenza di un danno concreto, che si estrinsechi nel depauperamento del patrimonio sociale di cui si chiede il ristoro, nonché nella possibilità di ricondurre detta lesione alla condotta dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico.

La ripartizione dell’onere probatorio attribuisce alla parte attrice l’obbligo non solo di allegare l’inadempimento – nel caso di specie l’acquisto della società identificato come operazione antieconomica per la società e, dunque, lesiva del dovere di diligenza che impegna l’amministratore nei confronti della società stessa – ma anche l’onere di allegare e provare l’esistenza di un danno concreto, causalmente connesso alla condotta dell’amministratore.

11 Aprile 2022

Il limite alla sindacabilità delle scelte gestorie dell’amministratore di s.r.l.

L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità deve essere deliberato, anche nelle società a responsabilità limitata, dall’assemblea dei soci, ai sensi dell’art. 2487 c.c. in relazione all’art. 2393, co. 1, c.c. nel testo antecedente l’entrata in vigore del d. lgs., 17 gennaio 2003, n.3; la mancanza di tale presupposto, incidente sulla legittimazione processuale del rappresentante della società, può anche essere rilevata d’ufficio dal giudice. L’autorizzazione assembleare, dunque, si pone come requisito necessario per attribuire al legale rappresentante della società la legittimazione processuale e la volontà dei soci deve necessariamente essere espressa mediante una deliberazione da assumersi nell’assemblea in sede ordinaria (art. 2364, co. 1, n. 4, c.c.), non essendo ammesse forme equipollenti. Si ritiene che l’autorizzazione assembleare sia necessaria anche nelle società a responsabilità limitata in forza dell’applicabilità analogica dell’art. 2393 c.c. anche a questo tipo sociale.

La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l’osservanza dei doveri previsti dall’art. 2392 c.c. Per quanto riguarda il nesso di causalità, deve ritenersi che un evento sia da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non), nonché (in virtù del criterio della c.d. causalità adeguata) dando rilievo, all’interno della serie causale, solo a quegli eventi che non appaiono, ad una valutazione ex ante, del tutto inverosimili.

All’amministratore di una società di capitali non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che valutazioni di tal sorta ineriscono alla discrezionalità imprenditoriale e ricadono nell’ambito di applicazione della c.d. business judgment rule, potendo essere al più fatte valere come giusta causa della revoca dell’amministratore e non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.

Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, pur presentando queste profili di rilevante alea economica.

È necessario che il giudizio dell’organo giudicante si limiti alla sola diligenza mostrata nell’apprezzamento preventivo e prudenziale dei margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere. Ne deriva che rileveranno, ai fini del riconoscimento dell’inadempimento all’obbligo di diligenza ex art. 1176, co. 2, c.c. da cui discende responsabilità contrattuale, unicamente le condotte omissive delle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

Nella delimitazione del perimetro applicativo della c.d. business judgment rule occorre riferirsi ad alcune regole fondamentali riguardanti le facoltà decisionali degli stessi amministratori nella gestione della società. L’amministratore, difatti, è tenuto ad agire in modo informato e a operare con la cautela e la diligenza da lui esigibile ex art. 2392 c.c., deve decidere nei limiti di legge e operando non in conflitto di interessi.

Non può, tuttavia, affermarsi l’assoluta insindacabilità delle scelte di gestione dell’organo amministrativo, in quanto sussistono due ordini di limiti all’operatività della business judgment rule. Innanzitutto, la scelta di gestione è insindacabile ove legittimamente compiuta e, inoltre, essa non deve essere irrazionale. Per quanto concerne il primo limite all’applicazione del principio, è necessario operare un controllo sul processo decisionale che ha portato l’amministratore a compiere una determinata scelta. Relativamente al secondo limite, è necessario che la scelta sia definita come razionale e non irragionevole; ciò implica non solo che l’amministratore abbia posto in essere la diligenza esigibile in relazione al tipo di scelta e con le cautele, verifiche e informazioni necessarie, ma che sia ulteriormente necessario che queste abbiano condotto l’amministratore ad una scelta razionale e meditata.