Patto collusivo volto a contenere i costi dell’OPA obbligatoria
Intesa anticoncorrenziale nel mercato del cemento e danno da perdita di chance
La perdita di “chance” costituisce un danno patrimoniale risarcibile, quale danno emergente, qualora sussista un pregiudizio certo, anche se non nel suo ammontare, consistente nella perdita di una possibilità attuale ed esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, della sua attuale esistenza.
Esecuzione forzata in forma specifica di un contratto preliminare di cessione di quote
Risoluzione del contratto, inadempimento e buona fede delle parti
La valutazione dell’esecuzione del contratto in termini di correttezza e buona fede deve essere effettuata con riferimento ad entrambe le parti; se l’obbligato alla prestazione non ha reso noti alla controparte i cambiamenti che avrebbero necessariamente inciso sulla possibilità di adempiere l’obbligazione residua a proprio carico, tale comportamento è contrario ai principi di correttezza e buona fede ove direttamente incidente sulla successiva impossibilità di garantire l’adempimento divenuta vera e propria impossibilità di adempiere.
Sequestro preventivo dell’azienda e responsabilità del custode giudiziario
In caso di sequestro preventivo dell’azienda, la peculiare natura del bene sequestrato incide sul tipo di gestione affidata al custode, che non assume una dimensione meramente statica e conservativa, come per la generalità delle cose assoggettate alla misura cautelare reale, ma dinamica e funzionale. L’amministratore giudiziario dell’azienda sociale si sostituisce infatti all’imprenditore (e dunque agli amministratori, i cui poteri sono sospesi in costanza di sequestro) e, pur non assumendo la formale qualifica di imprenditore, è comunque tenuto a orientare la gestione aziendale nella prospettiva di garantire la prosecuzione dell’attività sociale, a salvaguardia della utilità economica dell’impresa, dei livelli occupazionali e nell’ottica di incremento della redditività del bene sottoposto alla misura cautelare reale. In questa prospettiva, gli obblighi gravanti sull’amministratore giudiziario ricalcano, quanto a contenuto, quelli incombenti sull’amministratore della società, che è spogliato di ogni funzione per il periodo della custodia.
In ogni caso di sequestro di azienda, sia essa gestita sotto forma di ditta individuale, di società di persone o di capitali, ovvero in diversa forma di ente collettivo, grava sul custode/amministratore giudiziario nominato, l’onere della continuazione dell’attività dell’azienda. La violazione dell’obbligo di continuazione dell’impresa o la non corretta attività di gestione dell’azienda sociale espongono il custode a responsabilità nei confronti della società per i danni che abbia eventualmente causato. In particolare, pur non essendo soggetto all’azione sociale di responsabilità ex art. 2392 ss. c.c. (non rivestendo questi la veste di amministratore in senso stretto), sarà comunque tenuto al risarcimento dei pregiudizi che con comportamento doloso o colposo, operando in contrasto con gli obblighi sullo stesso gravanti nello svolgimento dell’attività aziendale, abbia arrecato alla società.
I bilanci registrano gli accadimenti economici che interessano l’attività di impresa, non li determinano; di talché, dalla loro irregolare redazione o da ritardi nella relativa presentazione non può discendere ex se un danno in capo alla società idoneo a dar luogo a responsabilità risarcitoria, potendo ascriversi rilievo solo a quegli atti di mala gestio legati sotto il profilo della causalità giuridica al pregiudizio.
Intese anticoncorrenziali e tutela del consumatore che stipula il contratto a valle
Il provvedimento n. 55 del 2/5/2005 emesso dalla Banca d’Italia in funzione di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate. Il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario. Inoltre, va allocato in capo all’attore l’onere della prova dell’adesione, da parte della banca convenuta, alla ipotizzata intesa restrittiva anticoncorrenziale, inclusa la circostanza che la fideiussione omnibus rilasciata sia conforme al modello contrattuale, che si assume lesivo della normativa antitrust e che la libertà di scelta del fideiussore sia stata effettivamente lesa.
La l. 287/1990 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia un interesse processualmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura, o alla diminuzione, di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte a un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto a una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza e, dall’altro, che il cosiddetto contratto a valle costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti. Pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 c.c., il consumatore finale, che subisce un danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione a monte, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno, di cui all’art. 33 della l. 287/1990.
La nullità per violazione della disciplina antitrust è espressamente prevista per le intese illecite tra imprenditori, non anche per i contratti stipulati a valle, rispetto ai quali, qualora costituiscano lo sbocco delle intese illecite e ne rappresentino l’esecuzione, l’ordinamento giuridico riconosce soltanto la tutela risarcitoria a favore del contraente danneggiato.
La nullità dell’intesa a monte non si comunica al contratto collegato a valle. Infatti, per affermare la nullità derivata di un contratto a valle rispetto a quella dichiarata del contratto a monte tra soggetti diversi, salva la prova della illiceità e contrarietà a norma imperativa della convenzione, è necessario dimostrare un nesso di dipendenza delle fideiussioni con la deliberazione dell’ABI ovvero un collegamento negoziale nel suo significato tecnico. Tuttavia, la circostanza che l’impresa collusa uniformi al programma anticoncorrenziale le manifestazioni della propria autonomia privata non appare sufficiente a privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragione pratica. Inoltre, i contratti conclusi in aderenza alla prassi di seguire gli schemi ABI neppure possono qualificarsi come illeciti ex se, atteso che sebbene l’art. 2 della legge 287/1990 vieti le suddette intese sancendone la nullità ad ogni effetto, nulla dispone circa le sorti dei rapporti commerciali tra le imprese parti dell’intesa anticoncorrenziale e altri contraenti. Non è sufficiente la semplice violazione della norma imperativa dell’art. 2 della legge 287/1990, ma occorre che per effetto di tale violazione si determini una situazione di oggettiva incompatibilità tra il precetto posto dalla disposizione antimonopolistica e la regola negoziale contenuta nei contratti a valle dell’intesa. È dunque necessario che la proibizione contenuta nella norma, che fa divieto alle imprese di conformare la propria condotta e le proprie scelte strategiche secondo standard comportamentali illeciti, investa anche il precetto che le parti si sono date e in base al quale intendono disciplinare i propri rapporti a valle.