Responsabilità degli amministratori non esecutivi
Ai fini della decorrenza della prescrizione dell’azione sociale di responsabilità rileva non già il momento in cui il presupposto dell’azione prevista dall’art. 2394 c.c. è effettivamente conosciuto dai creditori sociali, ma il momento in cui il presupposto di quell’azione diviene da loro oggettivamente percepibile, con due precisazioni: in primo luogo, questo presupposto riguarda l’insufficienza della garanzia patrimoniale generica della società e non corrisponde perciò né allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., né alla perdita integrale del capitale sociale; in secondo luogo, il momento in cui questo presupposto diviene oggettivamente conoscibile dai creditori sociali non coincide necessariamente con la dichiarazione di fallimento, ma può collocarsi tanto anteriormente quanto posteriormente ad essa.
L’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, rilevante ai fini del decorso della prescrizione quinquennale, può risultare dal bilancio sociale che costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere. Sicché spetta al giudice di merito, con un apprezzamento in fatto insindacabile in cassazione, accertare se la relazione dei sindaci al bilancio che abbia evidenziato l’inadeguatezza della valutazione di alcune voci – a fronte della quale l’assemblea abbia comunque deliberato la distribuzione di utili ai soci, senza rilievi da parte degli organi di controllo -, sia idonea a integrare di per sé l’elemento della oggettiva percepibilità per i creditori circa la falsità dei risultati attestati dal bilancio sociale.
In tema di responsabilità degli amministratori, l’assenza di delega non esonera di per sé da responsabilità, poiché sugli amministratori grava l’obbligo di verificare e controllare il corretto esercizio della delega conferita ad altri. Di fatti, ai sensi dell’art. 2381, co. 3, c.c., i componenti del CdA deleganti sono comunque tenuti a valutare l’operato dei delegati, richiedere informazioni, impartire direttive, avocare a sé il compimento di atti, tutti doveri che si riflettono nella responsabilità solidale degli amministratori, prevista dall’art. 2392, co. 2, c.c. nel caso in cui pur essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno adottato le misure idonee a impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
La responsabilità dell’amministratore non esecutivo si configura come condotta omissiva colposa, laddove la colpa può consistere, in primo luogo, in un difetto di conoscenza, per non avere rilevato colposamente l’altrui illecita gestione: non è decisivo che nulla traspaia da formali relazioni del comitato esecutivo o degli amministratori delegati, né dalla loro presenza in consiglio, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni, non essendo esonerato da responsabilità l’amministratore che abbia accolto il deficit informativo passivamente. Pertanto, si può parlare di colpa in capo all’amministratore nel non rilevare i cd. segnali d’allarme, individuabili anche nella soggezione all’altrui gestione personalistica.
L’amministratore non esecutivo non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della mera posizione di garanzia, ma risponde per una propria condotta omissiva consistente nel mancato esercizio dei poteri impeditivi che l’ordinamento gli riconosce, quali, ad esempio, le richieste di convocazione del consiglio di amministrazione, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima o all’impugnazione della deliberazione viziata, l’attivazione ai fini all’avocazione dei poteri, gli inviti ai delegati di desistere dall’attività dannosa, la denunzia alla pubblica autorità, con informazione al p.m. ai fini della richiesta ex art. 2409 c.c., nella formulazione ante riforma.
Nel caso di responsabilità dell’amministratore per omesso versamento di imposte, il danno risarcibile non coincide con le imposte non versate, che, siccome dovute, rappresentano un debito titolato, che non diventa danno solo per il fatto di essere rimasto inadempiuto, ma è pari all’importo delle sanzioni, spese esecutive e aggi, che non sarebbero stati applicati se l’amministratore avesse ottemperato tempestivamente all’obbligo di versamento delle imposte.
In tema di responsabilità dei sindaci, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, co. 2, c.c. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate ovvero denunciandole al tribunale, ai sensi dell’art. 2409 c.c.
Nullità della delibera di approvazione del bilancio d’esercizio
La funzione del bilancio consiste non soltanto nel misurare gli utili e le perdite dell’impresa al termine dell’esercizio, ma – come risulta dall’art. 2423 c.c. – anche nel fornire ai soci ed al mercato tutte le informazioni che il legislatore ha ritenuto al riguardo di prescrivere. Stante la rilevata funzione informativa del bilancio, l’interesse del socio, che lo legittima ad impugnare per nullità la deliberazione di approvazione di un bilancio redatto in violazione delle prescrizioni legali, non dipende solo dalla frustrazione dell’aspettativa, dal medesimo socio vantata, alla percezione di un dividendo o, comunque, di un immediato vantaggio patrimoniale che una diversa e più corretta formulazione del bilancio possa eventualmente evidenziare, ma ben può nascere dal fatto che la poca chiarezza o la scorrettezza del bilancio non permetta al socio di avere tutte le informazioni – destinate a riflettersi anche sul valore della singola quota di partecipazione – che il bilancio dovrebbe invece offrirgli, ed alle quali, attraverso la declaratoria di nullità e la conseguente necessaria elaborazione di un nuovo bilancio emendato dai vizi del precedente, egli legittimamente aspira. Deve, pertanto, riconoscersi sussistente l’interesse del socio ad agire per l’impugnativa della detta delibera quando egli possa essere indotto in errore dall’inesatta informazione fornita sulla consistenza patrimoniale e sull’efficienza economica della società, ovvero quando, per l’alterazione od incompletezza dell’esposizione dei dati, derivi o possa derivare un pregiudizio economico circa il valore della sua partecipazione.
Il bilancio d’esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, co. 2, c.c. è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.
L’esigenza di fornire informazioni in merito alle operazioni con parti correlate nella nota integrativa costituisce una declinazione del più generale principio di trasparenza del bilancio, poiché la conclusione di contratti con società collegate o controllate ovvero con persone fisiche in stretto rapporto con chi è tenuto alla redazione del bilancio può indurre il sospetto di conflitti d’interesse e di scelte di favore, non del tutto adeguate e rispondenti all’interesse della società. Le informazioni sono necessarie a fronte di operazioni che, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, sono suscettibili di orientare e influenzare le decisioni di coloro che usufruiscono delle indicazioni e informazioni contenute nel bilancio. Per interpretare il criterio delle “normali condizioni di mercato”, che esonerano dall’obbligo di informativa, occorre valutare non solo il prezzo, ma anche le motivazioni in base a cui si è concluso l’affare con tale controparte contrattuale piuttosto che con soggetti terzi.
Impugnativa di bilancio: la valutazione delle partecipazioni immobilizzate
In tema di redazione del bilancio di esercizio, l’art. 2426, co. 1, n. 1, c.c. impone che le immobilizzazioni siano iscritte al costo di acquisto e l’art. 2423 bis, co. 1, n. 6, c.c. prescrive che i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro (c.d. principio di continuità dei bilanci). Pertanto, l’appostazione di una partecipazione detenuta in altra società al costo di acquisto e per un valore coerente con quanto rappresentato nel bilancio precedente risulta ossequiosa di detti principi, rispetto ai quali la mera diversa valorizzazione in un atto di donazione tra privati non riveste alcuna efficacia euristica.
Non sono compromettibili in arbitri le controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili
Il criterio distintivo tra diritti disponibili e indisponibili al fine dell’accertamento della possibilità di devolvere una controversia ad arbitri si fonda sull’incidenza o meno della stessa controversi non solo sui diritti dei soci, ma anche su di quelli di terzi, dovendosi in tal ultimo caso parlare di diritti indisponibili mentre nel primo caso di diritti disponibili. In caso di diritti disponibili l’interesse coinvolto è, pertanto, meramente privatistico, ovvero riferito ai componenti la sola compagine sociale, mentre nel caso di diritti indisponibili l’interesse coinvolto è di tipo pubblico, ovvero coinvolgente anche l’interesse dei terzi estranei alla compagine sociale, anche in ragione di violazione di norme imperative.
Le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita, e quindi nulla, la delibera di approvazione. Ne consegue che non è compromettibile in arbitri la controversia relativa alla validità della delibera di approvazione del bilancio.
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società, le quali sono nulle in relazione all’oggetto (illecito o impossibile) per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, venendo in rilievo norme non solo imperative, ma dettate a tutela, oltre che dell’interesse dei singoli soci, dell’interesse collettivo dei soci e di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, e quindi riguardanti diritti indisponibili.
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale di cui all’art. 2447 c.c., per violazione delle norme sulla redazione della situazione patrimoniale ex art. 2446 c.c., vertendo tale controversia, al pari dell’impugnativa della delibera di approvazione del bilancio per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, su diritti indisponibili, essendo le regole dettate dagli artt. 2446 e 2447 c.c. strumentali alla tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche dei terzi.
Legittimazione attiva e interesse ad agire, in quanto condizioni dell’azione, devono essere posseduti da chi agisce in giudizio tanto al momento della proposizione della domanda quanto al momento della decisione. Il potere-dovere del giudice di decidere il merito della controversia dipende infatti, oltre che dalla legittimazione, dalla sussistenza di un interesse concreto e attuale in capo all’attore, in difetto del quale la domanda deve essere dichiarata inammissibile. Il difetto della qualità di socio in capo all’attore al momento della proposizione della domanda, o a quello della decisione della controversia, esclude di regola la sussistenza in lui dell’interesse ad agire per evitare la lesione attuale di un proprio diritto e per conseguire con il giudizio un risultato pratico giuridicamente apprezzabile. Tuttavia, all’ex socio devono essere riconosciuti legittimazione ed interesse ad impugnare la delibera in conseguenza della quale egli ha perso tale qualità. Infatti, la legittimazione viene riconosciuta eccezionalmente all’ex socio nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta: poiché in tal caso anche la stessa legittimazione dell’attore ad ulteriormente interferire con l’attività sociale sta o cade a seconda che la deliberazione impugnata risulti o meno legittima, sarebbe allora logicamente incongruo, e si porrebbe insanabilmente in contrasto con i principi enunciati dall’art. 24, co. 1, Cost. l’addurre come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.
Il socio ha dritto a una chiara, corretta e veritiera rappresentazione di bilancio anche in caso di perdita del capitale sociale e di azzeramento del valore economico della singola partecipazione.
Finanziamenti infragruppo postergati e responsabilità di amministratori e sindaci
Nella situazione in cui la holding, operando già a patrimonio netto negativo e quindi in modo tale da traslare sui propri creditori il rischio delle sue nuove iniziative imprenditoriali, esegue finanziamenti nei confronti di una società controllata operativa a sua volta sull’orlo dell’insolvenza non sono configurabili i cc.dd. vantaggi compensativi che presuppongono l’operatività secondo criteri di economicità di tutte le società del gruppo in modo tale che l’impiego delle risorse a favore di una controllata sia effettivamente compensato nel patrimonio della controllante dal risalire dei proventi dell’attività della controllata operativa in misura tale da assicurare il soddisfacimento anche del suo ceto creditorio. Non valgono, quindi, a configurare vantaggi compensativi per la massa dei creditori della holding che opera a patrimonio netto negativo né la destinazione del finanziamento alla riduzione del passivo della controllata di cui hanno beneficiato solo i suoi creditori, né la liberazione dalle garanzie prestate tramite un’altra società controllata di cui si è avvantaggiata semmai solo la massa dei creditori della controllata garante.
L’art. 2467 c.c. si applica anche ai finanziamenti eseguiti dai soci amministratori di società per azioni.
Imputazione a riserva degli utili e abuso di maggioranza
L’aspettativa alla distribuzione di utili discende dalla natura stessa del contratto di società, in cui l’esercizio in comune di un’attività economica è attuato precisamente allo scopo di dividerne gli utili, ai sensi dall’art. 2247 c.c.; tuttavia, la dichiarazione di abusività della delibera sulla distribuzione degli utili costituisce una extrema ratio nell’ambito del sistema societario, pena la pretermissione del metodo maggioritario, che del primo rappresenta architrave fondante. L’interesse del socio di società di capitali alla distribuzione di utili deve infatti essere contemperato con l’interesse della società, i cui organi sono liberi di decidere in merito alle scelte fondamentali della vita sociale, qual è la destinazione dei profitti rinvenienti dall’attività caratteristica.
Il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di società impone di sanzionare con l’annullamento la delibera che sia priva di una qualsiasi utilità per la società e che contestualmente arrechi un danno al socio di minoranza, in assenza di una ragione giustificatrice, segno dell’intento deliberato dei soci di maggioranza di ledere i diritti degli altri soci.
Impugnazione della delibera di approvazione del bilancio e cessazione della materia del contendere
Impugnativa di bilancio e non necessaria impugnazione dei bilanci approvati medio tempore. L’interesse della società e il conflitto di interessi del socio
Non è fondata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse del socio ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio, in ragione della mancata impugnazione dei bilanci di esercizio successivi, con conseguente intangibilità dei saldi di tali bilanci, per il principio di continuità dei valori di bilancio, posto che, ai sensi dell’art. 2434 bis, co. 1, c.c., l’impugnazione del bilancio può essere promossa se al momento dell’instaurazione del giudizio non sia stato ancora approvato il bilancio dell’esercizio successivo, a nulla rilevando che, nelle more del giudizio, siano stati approvati i bilanci degli anni successivi, e ciò in ragione del fatto che la durata del processo non può ripercuotersi negativamente a scapito di colui che ha proposto l’impugnazione tempestivamente.
Il conflitto di interessi non rappresenta ex se una condizione in grado di inficiare la votazione, sia essa una delibera dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione; in dette ipotesi, infatti, l’invalidità dell’atto è subordinata non solo al fatto che il voto determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria per l’approvazione della delibera sia espressione del soggetto in capo al quale si configura una situazione di conflitto d’interessi, ma anche alla condizione che tale delibera possa recare alla società un danno, seppur in via solo potenziale. Ai fini dell’annullamento della delibera per conflitto di interessi è essenziale che essa sia idonea a ledere l’interesse sociale, inteso come l’insieme di quegli interessi che sono comuni ai soci, in quanto parti del contratto di società, e che concernono la produzione del lucro, la massimizzazione del profitto sociale (ovverosia del valore globale delle azioni o delle quote), il controllo della gestione dell’attività sociale, la distribuzione dell’utile, l’alienabilità della propria partecipazione sociale e la determinazione della durata del proprio investimento. Si ha conflitto di interessi rilevante quale causa di annullabilità delle delibere assembleari quando vi è un conflitto tra un interesse non sociale e uno qualsiasi degli interessi che sono riconducibili al contratto di società.
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili. Identica ratio si rinviene nel caso di censura dell’approvazione del bilancio d’esercizio da parte del socio amministratore unico in conflitto di interessi ex art. 2479 ter, co. 2, c.c.
Cessazione della materia del contendere e nel giudizio d’impugnazione del bilancio di società cooperativa
La cessazione della materia del contendere, quale evento preclusivo della pronuncia giudiziale, può configurarsi solo quando, nel corso del processo, sopravvenga una situazione che elimini completamente e in tutti i suoi aspetti la posizione di contrasto tra le parti, facendo in tal modo venir meno del tutto la necessità di una decisione sulla domanda quale originariamente proposta in giudizio ed escludendo così sotto ogni profilo l’interesse delle parti ad ottenere l’accertamento, positivo o negativo, del diritto, o di alcuno dei diritti inizialmente dedotti in causa. La cessazione della materia del contendere non preclude la decisione sulle spese di lite, che deve avvenire facendo ricorso alla regola della soccombenza virtuale.
La rilevanza probatoria delle scritture contabili
A norma dell’art. 2709 c.c., i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione – senza distinguere i libri obbligatori per legge e quelli richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell’impresa da quelli meramente facoltativi – fanno sempre prova contro l’imprenditore, mentre per valere a suo favore occorre che ricorrano i presupposti previsti dall’art. 2710 c.c., ossia: (i) che siano regolarmente tenuti, nonché bollati e vidimati; (ii) che riguardino rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa; (iii) che si facciano valere in una controversia con un altro imprenditore. Le risultanze delle annotazioni contabili fanno sorgere una presunzione iuris tantum contraria all’imprenditore, poiché egli può liberamente contrastare le proprie registrazioni con qualunque mezzo di prova. Ed invero, l’art. 2709 c.c., nello statuire che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, pone una presunzione semplice di veridicità, a sfavore di quest’ultimo; pertanto, tali scritture, come ammettono la prova contraria, così possono essere liberamente valutate dal giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento probatorio, e il relativo apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se sufficientemente motivato.
Il medesimo principio vale anche per l’utilizzabilità delle scritture contabili a favore dell’imprenditore nei rapporti con l’altro imprenditore inerenti all’esercizio dell’impresa, la cui efficacia probatoria, non avendo esse valore di prova legale, è rimessa dall’art. 2710 c.c. al libero apprezzamento del giudice di merito.
Possiedono l’efficacia probatoria di cui all’art. 2709 c.c. anche i bilanci delle società per azioni, redatti ed approvati conformemente agli artt. 2423-2435 c.c., i quali quindi possono costituire utile prova delle obbligazioni sociali. Ne consegue che la prova che il bilancio di una società di capitali, regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione, fornisce in ordine ai debiti della società medesima, è affidata alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa.