Sopravvenuta carenza di legittimazione a impugnare la delibera assembleare di s.r.l. per perdita della qualità di socio
Risulta improcedibile, per sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire, l’impugnativa di delibera assembleare di s.r.l. nel caso in cui l’attore abbia perso la qualità di socio in corso di causa.
Integrale compensazione delle spese di lite in caso di sopravvenuta carenza di legittimazione attiva
E’ corretto disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti in ragione del carattere sopravvenuto della dirimente perdita della legittimazione attiva dell’attrice quanto alla domanda ex art. 2394 c.c. Tale valutazione, infatti, è da ritenersi coerente con il disposto dell’art. 92, comma 2, c.p.c. – come modificato dal D.L. n. 132/2014 – e con la pronuncia n. 77/2018 della Corte Costituzionale, con cui è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo il citato art. 92 nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano – oltre alle ipotesi normativamente previste di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata e di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti – “altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”, nel caso in esame consistenti proprio nella sopravvenuta perdita della legittimazione attiva della parte attrice.
Sopravvenuta carenza d’interesse della CONSOB a coltivare l’impugnazione del bilancio ex art. 157 TUF
La sopravvenuta revoca dalle negoziazioni su un mercato regolamentato delle azioni di una società convenuta dalla CONSOB in un giudizio d’impugnazione del bilancio d’esercizio ex art. 157 TUF determina la carenza dell’interesse processuale in capo all’attore – legittimato straordinario – a coltivare il giudizio, essendo quella dell’art. 157 TUF appunto una legittimazione straordinaria avente quale presupposto-elemento soggettivo lo status di società emittente azioni ammesse alle negoziazioni su un mercato regolamentato (cfr. art. 119 TUF).
Il caso Telecom: sopravvivenza della legittimazione del rappresentante comune degli azionisti di risparmio alla fusione per incorporazione
Nell’ambito di una fusione per incorporazione, gli azionisti di risparmio della società incorporata conservano – anche in seguito all’efficacia della fusione e sino alla statuizione definitiva del giudice – la legittimazione al risarcimento del danno per erroneità e inadeguatezza del rapporto di cambio, azione esercitata in persona del loro rappresentante comune impugnando la deliberazione di fusione della loro società nella società incorporante.
Pertanto, ove il loro rappresentante comune, in esecuzione di esplicito mandato assembleare, eserciti la rappresentanza processuale attribuitagli dal combinato disposto degli artt. 147 T.U.F. e 2418 c.c. e successivamente, la categoria azionaria speciale degli azionisti di risparmio cessi di esistere, ciò non può comportare l’improcedibilità dell’azione già intentata sull’assunto di una sopravvenuta carenza di legittimazione degli azionisti di risparmio, e per essi del loro rappresentante comune, altrimenti si attribuirebbe al soggetto per definizione controinteressato (ovverosia la maggioranza assembleare degli azionisti ordinari) un diritto sostanzialmente potestativo di eliminare una tutela che la legge riconosce invece espressamente agli azionisti di risparmio.
Perdita della qualità di socio nel corso del giudizio di responsabilità contro l’amministratore: improcedibilità dell’azione
L’art. 2476, terzo comma, c.c., laddove accorda a ciascun socio la legittimazione a promuovere azione di responsabilità nei confronti degli amministratori per i danni al patrimonio sociale derivanti dall’inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, contempla un’ipotesi di sostituzione processuale. Con il rimedio in oggetto il socio [ LEGGI TUTTO ]
Presupposti per la responsabilità ex art. 2476, co. 7 (già co. 6), c.c.
La responsabilità risarcitoria dell’amministratore di una s.r.l. verso il socio o il terzo, ex art. 2476, co. 6, c.c., non è invocabile in base al mero riscontro dell’inopportunità delle scelte gestionali dell’amministratore e della loro incidenza negativa sul patrimonio del socio, ma esige un fatto illecito, cioè un comportamento doloso o colposo che integri violazione degli obblighi dell’amministratore medesimo, siano quelli specifici inerenti alla carica, ovvero quelli generali stabiliti dall’ordinamento. L’azione individuale spettante ai soci o ai terzi per il risarcimento dei danni ad essi derivati per effetto di atti dolosi o colposi degli amministratori presuppone che i danni stessi non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano stati direttamente cagionati ai soci o ai terzi come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori medesimi; tale azione individuale, pertanto, è rimedio utilmente esperibile solo quando la violazione del diritto individuale del socio e del terzo sia in rapporto causale diretto con l’azione degli amministratori.