Esercizio dei poteri di controllo dei soci non amministratori di S.r.l.
La valutazione della fondatezza del ricorso cautelare con cui il socio che non partecipa all’amministrazione della s.r.l. domanda di avere accesso alla consultazione della documentazione inerente alla gestione della società tiene conto, sul piano del fumus, della previsione contenuta all’articolo l’art. 2476 co. 2 c.c., la quale stabilisce che i soci che non partecipano all’amministrazione della s.r.l. hanno il diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite un professionista di loro fiducia, i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione. Sul piano del periculum, tale valutazione può essere fondata sulla documentata mancanza di risposta alla richiesta formale di informazioni avanzata dal ricorrente e sul rifiuto della banca di fornire direttamente la documentazione in mancanza di autorizzazione della società.
Sopravvenuta la cessazione della materia del contendere, la fondatezza della domanda cautelare comporta che le spese vengano poste a carico della parte convenuta, che ha reso necessario provvedere ad instaurare il rimedio cautelare.
Legittimazione attiva e passiva nel reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione
Alla proposizione del reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione di cui all’art. 2492, co. 3, c.c. sono legittimati attivamente anche i componenti del collegio sindacale; quanto alla legittimazione passiva, essa deve riconoscersi in capo solo ai liquidatori e non già alla società.
Nel caso in cui sia proposto reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione (o sia proposta l’azione impugnativa del bilancio sociale), nel caso in cui, nel corso del giudizio, il bilancio sia revocato dall’assemblea dei soci e di tale fatto sia dato atto solo da una parte, non può dichiararsi cessata la materia del contendere, bensì dev’essere rilevata la sopravvenuta carenza di interesse ad agire in capo agli attori, poiché la pronuncia di nullità/annullabilità di un bilancio ormai revocato è inidonea a spiegare alcun effetto utile alla parte che ha proposto la domanda. Invero, la cessione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e non può essere dichiarata laddove la sopravvenienza del fatto sia dedotta da una sola parte e l’altra non aderisca a tale prospettazione.
Cessazione della materia del contendere e nel giudizio d’impugnazione del bilancio di società cooperativa
La cessazione della materia del contendere, quale evento preclusivo della pronuncia giudiziale, può configurarsi solo quando, nel corso del processo, sopravvenga una situazione che elimini completamente e in tutti i suoi aspetti la posizione di contrasto tra le parti, facendo in tal modo venir meno del tutto la necessità di una decisione sulla domanda quale originariamente proposta in giudizio ed escludendo così sotto ogni profilo l’interesse delle parti ad ottenere l’accertamento, positivo o negativo, del diritto, o di alcuno dei diritti inizialmente dedotti in causa. La cessazione della materia del contendere non preclude la decisione sulle spese di lite, che deve avvenire facendo ricorso alla regola della soccombenza virtuale.
Revoca della delibera impugnata e cessazione della materia del contendere
La revoca della delibera impugnata, intervenuta nel corso del giudizio, comporta la necessità di dichiarare la cessazione della materia del contendere, trattandosi di una situazione sopravvenuta che elimina completamente la posizione di contrasto tra le parti e fa venir meno la necessità di una pronuncia sulla domanda originariamente proposta.
La dichiarazione di cessazione della materia del contendere non preclude la decisione sulle spese di lite, da assumere facendo ricorso alla regola della soccombenza virtuale, che comporta la necessità di ripercorrere l’iter decisionale, al fine di verificare quale sarebbe stato l’esito finale del giudizio.
Sostituzione della delibera nulla per irregolare convocazione del socio di s.r.l.
Ha legittimazione ad agire in giudizio per l’accertamento dell’invalidità della delibera assembleare per irregolare convocazione il socio che, benché al momento dell’introduzione del giudizio risultasse aver perso la qualifica di socio, sia stato nelle more reintegrato nella compagine sociale in forza di provvedimenti cautelari di sospensione delle precedenti delibere di esclusione.
L’avvenuta sostituzione, in pendenza di giudizio, della delibera impugnata con altra delibera adottata in conformità della legge comporta la cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 2377 co. 8 c.c., a sua volta richiamato dall’art. 2479 ter c.c. in tema di società a responsabilità limitata. A tal riguardo, non assume rilevanza il fatto che l’invalidità dedotta dal ricorrente sia riconducibile alla fattispecie della nullità. Invero, costituisce ius receptum il principio di diritto secondo il quale la sanatoria dei vizi, contemplata dall’art. 2377 c.c., opera anche in caso di nullità della delibera; specie ove la nullità dipenda da vizi che, seppur radicali, afferiscono a profili di natura formale, quali quelli inerenti alla convocazione dei soci. Né può parlarsi di assoluta inesistenza della delibera impugnata, trattandosi di atto collegiale che, seppur affetto dal vizio di convocazione dell’attore, è in ogni caso univocamente riferibile all’assemblea dei soci della convenuta ed al contempo espressivo della volontà collegiale manifestata dai partecipanti mediante l’esercizio dei rispettivi diritti di voto.
Tuttavia, il vizio di convocazione del socio attore rileva sul piano della regolamentazione delle spese di lite, poiché dimostra l’originaria fondatezza della domanda attorea. Tale vizio non può ritenersi sanato dal fatto che il voto del socio irregolarmente convocato sarebbe stato comunque ininfluente ai fini del raggiungimento del quorum deliberativo. Al riguardo va osservato che in tema di società a responsabilità limitata, la deliberazione dell’assemblea assunta senza la convocazione di uno dei soci è da ritenersi nulla poiché l’omessa convocazione comporta la mancanza, in concreto, di un elemento essenziale dello schema legale della deliberazione assembleare che determina l’inesistenza giuridica di quest’ultima.
I limiti della business judgment rule
Il sindacato giudiziale sulla condotta degli amministratori della società, quale fonte di responsabilità, non può avere ad oggetto il merito delle scelte imprenditoriali, non potendosi addebitare gli esiti economici negativi di dette scelte che dipendano dal rischio economico a cui è soggetta l’impresa, secondo il principio della business judgment rule. Tuttavia, la regola di insindacabilità in discussione trova precisi limiti che, se travalicati, impongono un giudizio di responsabilità gestoria in capo agli amministratori. La regola di insindacabilità gestoria incontra un primo limite che concerne il grado di diligenza dell’amministratore nel processo decisionale seguito, che deve essere preceduto dalle verifiche e dall’acquisizione di informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo. Un secondo limite concerne la razionalità della scelta, dovendo sussistere coerenza tra le informazioni assunte, le verifiche effettuate e la decisione assunta.
Revoca della delibera del CdA invalida e soccombenza virtuale
Il principio di cui all’art. 2377, co. 8, c.c. è espressione specifica del più generale principio di soccombenza che governa il regime delle spese processuali. In tal senso, la sostituzione da parte di un’ente di una delibera impugnata con altra presa in conformità della legge e dell’atto costitutivo implica il riconoscimento da parte dell’ente dell’invalidità della delibera sostituita, con la conseguenza che le spese processuali dovranno essere sostenute dall’ente medesimo.
Pagamento delle spese di giudizio in caso di cessazione della materia del contendere
Viene meno la ragion d’essere sostanziale della lite una volta intervenuto il pagamento spontaneo da parte dei convenuti di quanto richiesto da parte attrice. Tale circostanza priva le parti di ogni interesse a proseguire il giudizio, venendo meno ogni ragione di contrasto tra di esse.
Rispetto al regolamento delle spese del giudizio, l’art. 91 c.p.c. prevede il principio della soccombenza che, nel caso in cui vi sia cessazione della materia del contendere, si declina nel principio della soccombenza virtuale, secondo il quale le spese processuali gravano sulla parte che sarebbe risultata soccombente secondo un apprezzamento prognostico sulla fondatezza della domanda proposta. Non trova invece applicazione il secondo periodo del comma 1 dell’art. 91 c.p.c. – secondo cui il giudice “se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92” – qualora le parti abbiano richiesto la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, mentre la norma in oggetto presuppone una pronuncia di accoglimento della domanda di una delle parti e dunque una pronuncia nel merito, la cui necessità nel presente procedimento è venuta meno.